martedì 10 gennaio 2012

Una (tarda) premessa di metodo


Tra le numerose modalità attraverso le quali si può esplorare e percorrere il “sentiero della pace” vi è certamente quella del “contact” (o “network”) building, vale a dire la costruzione di contatti e la realizzazione di reti. Tale modalità consiste  nello sviluppo, nella ricerca e nel consolidamento di una serie di contatti “chiave” funzionali, in primo luogo, alla conoscenza delle realtà di pace attive nei contesti-obiettivo e, di conseguenza, alla verifica di fattibilità in ordine alla costruzione di proficue ipotesi di attivazione e di percorribili partenariati strategici. Il tutto, essenzialmente, allo scopo di consolidare tali realtà di pace attive “in loco” quali autentiche capacità locali di pace (“Local Capacities for Peace”), in linea con le indicazioni strategiche provenienti dal progetto e dalla metodologia “Do No Harm” che, nella elaborazione originaria di Mary Anderson, recava la medesima denominazione.
In tale scopo, sono contenute insieme, la premessa ed il traguardo dell’azione, intendendo utilizzare, per la prima volta ai fini dei nostri scopi, il lessico proprio della nonviolenza alla quale la Carovana di Pace, attraverso l’applicazione degli approcci della trasformazione positiva, si informa. La premessa consiste nell’ articolare, rafforzare e promuovere (nel senso dell’ “empowerment”, vale a dire “capacitazione”), dentro le cosiddette “local capacities for peace”, le altrettanto importanti “peace constituencies”, vale a dire quegli “enzimi di pace”,  costitutivamente presenti anche dentro le società post-conflitto, capaci di attivare od orientare il dibattito pubblico verso una più matura e conseguente consapevolezza di pace ovvero di ri-pristinare e ri-attivare processi di educazione civica e ri-costruzione della fiducia (“confidence building”) necessari al lavoro di trasformazione positiva (costruttiva) dei conflitti.
Il traguardo è ugualmente ambizioso, dal momento che richiede a tutti gli attori impegnati di provare a costruire una vera e propria “infrastruttura di pace”, luoghi di relazione e canali di attività orientati alla ripresa del dialogo, della fiducia e della collaborazione sociale nelle realtà lacerate e divise dall’insorgenza del conflitto. La realizzazione di questa “infrastruttura di pace” non può limitarsi al semplice, seppur importante, “intervento civile di pace”, ma deve provare a consolidare, con le realtà del partenariato locale, un vero e proprio Servizio Civile di Pace, magari articolato in forza dell’azione di addestrati e professionali Corpi Civili di Pace. Si tratta di una “rete strutturata per il peace-building”, capace di attivare la leva della trasformazione nonviolenta, mediante la proposta di azioni diversificate ed integrate, quali: “empowerment”, “confidence building” (costruzione della fiducia), peace education (educazione alla pace), HR monitoring (monitoraggio dei Diritti Umani) e, fondamentalmente, “capacity building” (“costruzione” della comunità locale attraverso il rafforzamento delle capacità esistenti, come illustrato dalle applicazioni riferite alle cosiddette “Tecnologie per l’accesso e per l’autonomia”). 

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