giovedì 19 giugno 2014

Balcani e Diritti: una geografia dell'ignoto?

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La questione della tutela e della promozione dei diritti umani, nella sua declinazione contemporanea, è stata sempre, a partire almeno dalla fine della seconda guerra mondiale e dall'immane tragedia segnata dalla Shoah, al tempo stesso, motivo di impegno e apprensione per i difensori dei diritti e gli operatori di pace e fonte di discussioni e diatribe in merito a politicizzazioni e strumentalizzazioni a riguardo.
Per non farla troppo lunga, parto da uno spunto di “riflessione” stimolato dai contenuti di un recente comunicato di Amnesty International sulla Serbia e i Balcani, pubblicato il 17 Giugno scorso col titolo, molto impegnativo, «Serbia: l'adesione all'Unione Europea è la chiave per porre fine all'impunità per i crimini di guerra», provando ad articolare il contenuto di alcuni interrogativi - nel verso di chiederci che senso possa avere una riflessione più attenta e complessiva sui temi sollevati dal comunicato e quale valore aggiunto possa rappresentare, tra gli altri media, il cinema dei diritti umani come fonte di pluralizzazione e conoscenza.
Articolando, di conseguenza, una possibile riflessione in tre punti, apparentemente contraddittori, se non mutuamente escludenti, ed invece molto legati, sostanzialmente, tra di loro.
Il primo: essere d'accordo sull'"effettività", "efficacia" ed "intensità" della ricerca, dell'individuazione e della consegna alla giustizia dei perpetratori di gravi crimini del diritto internazionale o di gravi violazioni di diritti umani, fondamentali e universali, dunque per questo naturali e indivisibili, è ovvio e rasenta la banalità, sebbene non possa darsi, in ogni caso, per scontato o acquisito.
D'altro canto, un modo meno ovvio di affrontare la vicenda sarebbe quello di condurre una indagine più approfondita su tutte le violazioni più gravi e significative (la gravità e la rilevanza, poi, in base a quali parametri, qualitativi e/o quantitativi?... anche qui il discorso ci porterebbe lontano ed anche la letteratura sull'argomento potrebbe non essere granché di aiuto), occorse in "tutti" i Paesi e per responsabilità di "tutte" le autorità politiche e militari (una cosa è un Paese, una cosa un popolo, un'altra cosa ancora una sua leadership politico-militare) attivamente impegnatesi nei conflitti a cavallo tra la "guerra dei dieci giorni" del 1991 (Slovenia) e gli "scontri dei valichi" tra il Luglio e il Novembre 2011 (Kosovo).
Si verrebbe, in pratica, a delineare una geografia dell'ignoto. Qualcuno ricorda, ad esempio, Karlovac (1991-1992), i massacri della Sava e di Bijelijna (1992), i fatti di Medak Pocket (1993), il massacro di Ahmići (1993), la strage di Markale (1994), l'assedio di Knin (1995), la strage di Niš (1999) e il massacro di Krushë (1999), fino ai pogrom del 17 Marzo 2004 e gli scontri dell'autunno 2011 (Kosovo)?... Si tratta, come si vede, di un intero ventennio, ma solo così, con gli strumenti ed i linguaggi opportuni, si può dare minimamente la portata di ciò che è accaduto e, per alcuni versi e nelle loro conseguenze, continua ad accadere nei "Balcani".
Il secondo: mettere sul "banco degli imputati" di volta in volta questo o quel Paese è un'operazione sempre poco convincente, molto povera dal punto di vista storico-culturale, come dimostra la nostra, peraltro superficialissima, “geografia dell'ignoto”, e, soprattutto, sempre passabile di essere sospetta (e, di conseguenza, di venire strumentalizzata) in termini "anti-qualcuno" o "anti-qualcosa". La Serbia, per altri aspetti la Bosnia, oggi anche, in una certa misura, il Kosovo, sembra essere sempre, costantemente, sotto la luce dei riflettori, "a prescindere", come direbbe qualcuno, dal fatto che al governo vi siano gli eredi (socialisti) di Milošević, quelli (liberali) della “Buldog Revolucija” o quelli (nazionalisti) del SRS che fu di Šešeli.
Ecco che, allora, dei tentativi, peraltro controversi e contraddittori, oltre che problematici ed elefantiaci, di riforma interna del sistema giudiziario, della procedura legale e della rule of law neanche si parla, e si finisce per richiamare, ogni volta, dall'esterno, pressantemente, ai "compiti a casa da svolgere" e alle riforme da "attuare prontamente".
Il tema delle riforme diventa allora, troppo spesso, un pretesto, ed è questo il terzo punto: proprio nel momento in cui il dossier negoziale per l'adesione europea viene aperto a Bruxelles, si inaugura una nuova campagna mediatica, questa volta a New York, sui criminali di guerra e le violazioni dei diritti umani. Con tanto di corollario: «fare come in Croazia».
Peccato, anche in questo caso, che dei crimini di guerra si finisca per parlare solo a senso unico, e quando in Croazia la "politica" liscia il pelo alle sollevazioni per divellere le targhe in cirillico, a Vukovar e non solo, neanche una parola. Giustizia a senso unico e, come si vede dalla scelta delle circostanze, giustizia ad orologeria. Tutt'altro di ciò che la causa della difesa di diritti, universali ed indivisibili, a pensarci bene, richiederebbe.
Si tratta allora di moltiplicare strumenti ed occasioni ed è (anche) per questo che, come nella precedente edizione, anche i "lavori in corso" della prossima edizione del Festival del Cinema per i Diritti Umani affronteranno la sfida di trattare del Mediterraneo e, in particolare, dei Balcani, del nesso tra diritti (di tutte le generazioni) e violazioni (di tutti i tipi) raccogliendo una istanza di libertà ed una occasione di conoscenza. Qui più che altrove il cinema per i diritti umani si fa, concretamente, "cartografia del possibile".

lunedì 2 giugno 2014

Una mobilitazione popolare: per un 2 Giugno di democrazia e di pace

Presidio Ucraina Antifascista: fonte PDCI Nazionale
Ogni anno, da diversi anni a questa parte, il 2 Giugno rappresenta, al tempo stesso, un'occasione e un contenitore: l'occasione per confermare e rivendicare, contro ogni deriva neo-militarista e revisionista, il carattere democratico e antifascista della nostra Costituzione, su cui si fonda (si dovrebbe, concretamente, fondare) la nostra Repubblica; e il contenitore di programmi e progetti, attivazioni ed iniziative che provino a mettere a fuoco le emergenze, vecchie e nuove, intorno alle quali riporre a tema l'elaborazione, cara ai movimenti per la pace e la nonviolenza, contro la guerra e l'imperialismo, per la democrazia ed il disarmo.
Ovviamente, l'esistenza dell'occasione e l'organizzazione del contenitore non risolvono da sé il problema: problema, che è oggi, anzitutto, quello della “messa a rete” e della “messa a sistema”, delle attivazioni e dei percorsi che, maturati all'interno e per iniziativa del movimento stesso, troppe volte faticano, pur perseguendo i medesimi obiettivi, a procedere insieme, a sviluppare le opportune sinergie ed a trovare le necessarie convergenze. A Napoli, città metropolitana, ponte tra le culture e porta del Mediterraneo, con le sue mille istanze e contraddizioni, la ricchezza del suo tessuto associativo e la varietà del suo panorama migratorio, tutto ciò assume connotati estremi, vivacissimi ed esplosivi. Per mille ragioni e - anche - in occasioni recenti.
Prendiamo il caso dell'Ucraina, tenendo a mente, sin da subito, che non di sola Ucraina si tratta, dal momento che, soprattutto all'indomani del recente discorso di Barack Obama a West Point, dovrebbero essere chiari i connotati dell'imperialismo statunitense, incarnati nel nuovo multilateralismo aggressivo (o, meglio, multilateralismo minaccioso) di quella che finalmente si afferma compiutamente come la “nuova” dottrina Obama, destinata a superare ed aggiornare, al tempo stesso, la “vecchia” dottrina Bush (per la quale sia consentito di rimandare al ns. “Da Bush a Bush”, Città del Sole Ed., qui): combinazione efficace di soft power ed hard power, introduzione di una diplomazia aggressiva, diversificazione ed ampliamento delle opzioni politiche e militari a disposizione, rivendicazione dell'impianto “messianico” alla esportazione della “democrazia” e conferma della guerra quale strumento di tutela ed affermazione degli interessi “americani”, ovunque minacciati, o semplicemente messi in discussione, ai quattro angoli del globo.
Senza disdegnare il ricorso a vecchi arnesi, che tuttavia, nella nuova configurazione del pianeta e alla luce della “ansia da leadership”, che anche il discorso obamiano minacciosamente ripropone, ri-assumono un aspetto sorprendentemente nuovo e finanche innovativo: destabilizzazioni e guerre per procura; sostegno alle istanze eversive, ovunque collocate e comunque ispirate (persino fasciste e naziste, all'occorrenza), per rovesciare il tiranno (alias: anti-americano o, semplicemente, non ultra-americano) di turno; appoggio diretto, in uomini e mezzi, consiglieri ed armati, media ed armi, a tutti quei soggetti (talvolta anche singoli) e organizzazioni (talvolta partiti, talvolta gruppi, talvolta fondazioni) che operano “dall'interno” delle singole compagini da rovesciare e sbaragliare in nome e per conto della democrazia liberale “a stelle e strisce”.
Non si sbaglia, dunque, a far correre la mente, non solo ad esempi che tendono a fare parte della storia, sebbene le loro propaggini si dipanino drammaticamente nella più imminente attualità, come mostrano i casi della Libia e della Siria, ma anche ai ben più imminenti casi del Venezuela, con i tentativi golpisti e le guarimbas delle destre ricche contro il governo bolivariano, e dell'Ucraina, dove la sollevazione golpista, ampiamente sostenuta e militarmente combattuta da settori fascisti e persino neo-nazisti, ha prima rovesciato un governo e poi dato corso ad una violenta repressione militare contro quella parte di popolo e di Paese meno incline a sopportare i diktat della junta. A Napoli, come si accennava, il 2 Giugno delle forze più conseguentemente democratiche e antifasciste, sarà dedicato alla mobilitazione per la pace e contro la guerra.
Dopo il presidio democratico al consolato ucraino (9 maggio), le iniziative di volantinaggio e l'assemblea aperta “Giù le Mani dall'Ucraina”, contro la guerra e il fascismo, per la pace e la democrazia, presso lo spazio ROSS@ nella Galleria Principe (23 maggio), la mostra-convegno promossa da cittadini e cittadine, provenienti dalle più varie repubbliche della ex Unione Sovietica, presso il Centro Culturale “La Città del Sole”, contro le aggressioni e le stragi della junta golpista (29 maggio), ha gettato i presupposti di un coordinamento delle mobilitazioni, che sarà lanciato proprio, simbolicamente, in occasione del 2 Giugno, per attivare un percorso di sensibilizzazione sociale, contro la minaccia fascista e le derive autoritarie, il precipizio della guerra e delle aggressioni che drammaticamente si affacciano, ancora, nel cuore dell'Europa.