lunedì 18 novembre 2013

La questione del voto a Mitrovica e le prospettive della convivenza


fonte: reteccp.org 

L'appello (quasi) corale rivolto dalle autorità politiche di Belgrado ai cittadini serbi kosovari di Mitrovica sembra avere avuto successo: alle elezioni ripetute nei seggi elettorali, fatti bersaglio di sabotaggio e violenza nella precedente tornata, l'affluenza è stata più significativa, il clima generale indubbiamente migliore rispetto all'occasione precedente, l'assenza sostanziale di violenza e di incidenti sicuramente più confortante.

Come si ricorderà, in occasione del primo turno delle elezioni amministrative in Kosovo, le prime tenute nel quadro del dialogo bilaterale tra Belgrado e Pristina inaugurato dagli storici accordi del 19 Aprile, il sabotaggio delle elezioni da parte dei nazionalisti e le formazioni contrarie all'accordo poté dirsi senza dubbio riuscito: un'affluenza nel Kosovo (serbo) del Nord di volta in volta tra l'8 e il 12%, tre seggi devastati a Mitrovica Nord, un clima diffuso di intimidazione e un contesto generale di ostilità alla partecipazione elettorale.

L'importanza, civile e politica, di Mitrovica, nel nuovo Kosovo post-19-Aprile, è fuori discussione. Il venire meno dell'adesione agli accordi “distruggerebbe il concetto stesso di Comunità dei Comuni Serbi del Kosovo-Metohia”, architrave dell'autonomia serba nel Kosovo albanese. È a Mitrovica Nord, infatti, che hanno sede tutte le istituzioni serbe collegate a Belgrado; ed è ancora Mitrovica il centro della “pressione politica” delle diverse interpretazioni, a Belgrado e Pristina, di tali accordi, oltre che di ogni ipotesi sostenibile di convivenza, essendo l'unica città in Kosovo in cui serbi ed albanesi si trovano “fianco a fianco”.

Dopo la decisione assunta dalla Commissione Elettorale Centrale, è stata indetta, domenica 17 Novembre, la ripetizione delle operazioni di voto nei seggi di Mitrovica Nord, laddove il materiale elettorale era stato danneggiato ed era stato impossibile procedere allo spoglio e allo scrutinio. Stavolta, secondo i primi dati ufficiali, oltre 5.200 persone hanno partecipato al voto di Mitrovica, con una percentuale di affluenza pari a poco più del 22%. Considerato anche il migliore clima di sicurezza, un risultato più promettente.

Si tratta di un dato risonante, sebbene non entusiasmante, anche alla luce delle dichiarazioni della vigilia. A differenza di quanto continua a ripetere la stampa mainstreaming, l'affluenza alle urne dei serbi del Kosovo non può, in linea di diritto, essere giudicata alla stregua delle categorie del “successo” o del “fallimento”, né tanto meno potranno essere considerate come un “esame di maturità” per i serbi del Kosovo, a meno di non voler ricorrere ai soliti stereotipi o le solite presunte lezioni di “democrazia e stato di diritto”.

Il dato vero è semmai un altro: la maturità della società civile in Kosovo, in tutte le sue articolazioni etno-linguistiche, in cui, il dato della frattura tra serbi a Nord (che solo in quest'ultima tornata superano la soglia psicologica del 20% di affluenza) e serbi a Sud del fiume Ibar, i serbi del cosiddetto Kosovo interno, che, sin dal precedente turno elettorale, si erano recati in numero significativo alle urne, eleggendo alcuni sindaci serbi al primo turno, s'accompagna all'altro dato, della partecipazione dei kosovari albanesi, che hanno animato una campagna elettorale dai toni generalmente moderati e un'affluenza al voto che, seppure insoddisfacente, mostra tuttavia un certo segno di un interesse di non poco conto.

Il messaggio che si trae da quest'ultima domenica elettorale in Kosovo è dunque duplice: da un lato, si consolida la preoccupazione rispetto al ruolo di una parte di establishment, sia a Belgrado sia in particolare a Pristina, che non sembra particolarmente interessata a un'effettiva e duratura convivenza civica e lavora attivamente per i propri interessi e per lo status quo ante; dall'altro, si conferma il dinamismo del ruolo della società civile che, anche alla luce dei risultati elettorali, manda un messaggio chiaro, in entrambe le direzioni, a Pristina e a Belgrado, e sembra muoversi verso una più consapevole direzione democratica.

mercoledì 6 novembre 2013

Un confronto aperto: il Sarajevo 2014 Peace Event e i tanti perché della non adesione


http://www.cnj.it/documentazione/gavrilo.htm
Cari amici ed amiche del MIR,

vi ringrazio molto, personalmente, della vostra comunicazione. Mi sento, in via preliminare, di unirmi a molti degli auspici che nella vostra lettera (che si può leggere in scorrimento) sono contenuti: 

in primo luogo, quale premessa di metodo, quello ad evitare di addentrarsi in diatribe o polemiche politico-storiografiche che necessiterebbero di sedi più adeguate per potere essere sviluppate e rischierebbero di instradare la nostra riflessione lungo un binario sterile o auto-compiaciuto; in secondo luogo, quale proposta di merito, quello a concorrere con tutte le riflessioni e le osservazioni che saremo in grado di elaborare a fare maturare il confronto ed il dibattito tra le forze del movimento per la pace e la nonviolenza.

Proprio perché condivido tale premessa, se volete, “di metodo” e “di merito” nello stesso tempo, il mio intervento a cui si fa riferimento, dal titolo “Peace Event Sarajevo 2014: perché non aderire”, non va letto in maniera politicistica o strumentale. Non si tratta di un appello al boicottaggio, semplicemente di una riflessione in merito all'opportunità di non aderire ad un evento con i presupposti, il profilo e l'impostazione come quelli che stanno evidentemente caratterizzando questa rassegna. Basti fare riferimento, a titolo di esempio, al passaggio finale dell'articolo, in cui appunto si sottolinea come «tutto questo non intende mettere in discussione la “buona fede” di chi, animato sinceramente dalla volontà di offrire un contributo fattivo alla promozione di un percorso internazionale di pace e giustizia, ha inteso confermare la propria adesione all’evento, tra cui, anche alcune associazioni italiane impegnate sul tema della pace e della nonviolenza. È semmai il “combinato disposto” dei detti, inaccettabili, presupposti e del susseguente, preoccupante, panorama di supporter, a dare ragione a quanti, giudicando inammissibile che attori poco limpidi o apertamente compromessi con le politiche dominanti di guerra e di aggressione possano farla da protagonisti, ne hanno preso le distanze». La ricapitolazione che l'articolo offre a tal proposito credo che sia esaustiva e ripeterla in questa sede sarebbe senz'altro ridondante e non aggiungerebbe altro.

Per questo, mi sento, senza difficoltà alcuna, di poter confutare la valutazione, molto “politica” peraltro, che viene avanzata in un punto della lettera aperta in relazione al mio intervento, vale a dire quello di “assumere acriticamente il punto di vista di una sola parte, quella serba. E di questa prevalentemente il punto di vista più istituzionale-governativo”. Anche in merito a questo aspetto, basterebbe leggere l'intervento stesso, almeno nel passaggio in cui si mette in evidenza come ciò (riferito all'impostazione dell'evento ed alla lettura storiografica che vi retro-agisce) «è bastato ad alienare all’organizzazione del “Sarajevo Peace Event 2014” il favore della gran parte della opinione pubblica serba, con non pochi intellettuali che si sono assai negativamente espressi contro l’operazione di falsificazione e di manipolazione che sovrintende all’evento del 2014, e con lo stesso vertice politico e istituzionale della Repubblica Serba di Bosnia …che ha prima stigmatizzato la separazione ed il non coinvolgimento dei serbi di Bosnia e quindi formalmente invitato i serbi di Bosnia a non aderire e a non partecipare ad un evento di tale natura». D'altro canto, anche la stampa internazionale ha, occasionalmente, ospitato prese di posizione di intellettuali o personalità (non solo quindi il mondo “istituzionale-governativo”) molto critiche o contrarie al profilo dell'evento.

Ecco perché, in definitiva, mi sembra mal impostata l'ambivalenza provocatoria tra il “promuovere il dialogo” e il “boicottare iniziative solo perché un governo non le vuole”: sia perché molte delle premesse nell'impostazione stessa dell'evento mal si confanno all'intenzione (o per lo meno rendono assolutamente illeggibile l'intenzione) di “promuovere il dialogo”, appunto per il carattere unilaterale, escludente e divisivo che tale percorso ha già nei fatti assunto, sia perché le prese di posizione contrarie all'evento nella sfera politico-istituzionale sono successive e non precedenti alle prese di posizione, variamente critiche o contrarie, espresse da altri settori dell'opinione pubblica e del mondo intellettuale, in particolare serbi, ma, evidentemente, non solo. Per quanto mi riguarda, e con le realtà che hanno già condiviso tale orientamento, non posso dunque che confermare la non adesione all'evento di Sarajevo 2014, convinto, in tal senso, che tra i ruoli dell'operatore di pace vi sia sicuramente quello di contribuire a gettare ponti e valicare frontiere, non certo quello di concorrere ad alimentare divisioni ed ostilità. Auspicando quindi nuovi spunti e nuove sollecitazioni. 

un caro saluto di pace,

Gianmarco Pisa 


 ***


Caro GianMarco,

abbiamo letto il tuo intervento “Peace event Sarajevo 2014: perché non aderire”, scritto su http://www.cnj.it/documentazione/gavrilo.htm#gpisa e l’abbiamo commentato durante il nostro consiglio nazionale tenutosi a Roma il 19,20 ottobre scorso.

Francamente dobbiamo dirti che ci è dispiaciuto molto vedere questo appello a boicottare l’evento di Sarajevo, su cui stiamo lavorando con altre associazioni italiane e straniere da ormai 2 anni. Per questo abbiamo voluto scrivere questa lettera aperta in cui cerchiamo di spiegare perché secondo noi occorre aderire.

Partiamo da una precisazione: l’evento di Sarajevo non vuole ricordare, né celebrare alcunché. L’idea di un evento di pace è nata nel corso di alcuni incontri tra associazioni nonviolente, prevalentemente facenti capo al Mir internazionale e ai coordinamenti per il decennio sull’educazione alla pace e alla nonviolenza, 2 anni fa, nel 2011. Certamente l’ispirazione erano i saloni della pace di Parigi, tenutisi fino al 2008, e sospesi per mancanza dei fondi di sostegno pubblico (dunque come puoi ben vedere non ci sono ricchi “donatori” dietro); sin dall’inizio l’idea era di realizzare un evento più che un salone, ed un evento possibilmente aperto alla partecipazione di associazioni e movimenti di base soprattutto dell’Est Europa, solitamente assenti per complesse ragioni storico politiche. E si era pensato ad una rosa di città candidate a ospitare questo evento: tra queste Trieste, Berlino, Vienna, Budapest. Alla fine si optò per Sarajevo proprio per il significato simbolico che tale città assume nel 2014, in riferimento agli avvenimenti che portarono alla Grande Guerra, oltre che perché questa città è stata teatro di quella che al momento, e speriamo per sempre, è stata l’ultima guerra combattuta in Europa.

Proprio perché il 2014 ci saranno eventi celebrativi ed alla memoria di quella che fu una tragica scelta per il mondo intero, si scelse Sarajevo per raccontare un’altra storia, che da una parte si oppone a quella come a tutte le altre guerre, dall’altra si proietta in un futuro che vogliamo profondamente diverso e per cui ci battiamo: a un secolo di guerre viste come soluzioni ai conflitti, vogliamo proporre una via alternativa di interventi civili di pace: invitati tutti coloro, che pur con errori e imperfezioni, talvolta con ingenuità, provano sul campo questa alternativa. Sappiamo benissimo che l’”incidente” (va bene chiamarlo così?) di Sarajevo del 1914 è stato solo il pretesto per scatenare la prima guerra mondiale, che ebbe tutt’altre cause che solo in parte avevano a che fare con le questioni balcaniche; ciò è non solo ben chiaro a noi, ma largamente accettato dalla storiografia sia pacifista che non.


Noi non vogliamo assolutamente addentrarci in discussioni politico storiografiche, né vogliamo organizzare un simposio sulla prima guerra mondiale.

Sappiamo bene, anche, che certe ferite, quelle recenti delle guerre che tra il 1991 ed il 1999 hanno accompagnato il disfacimento della Jugoslavia, non certo quelle di 100 anni fa, sono tuttora profonde da quelle parti, e sono ancora aperte e “sanguinanti”. E’ possibile che chi sta preparando l’evento di Sarajevo non si sia reso pienamente cosciente di quanto, anche una semplice parola al posto di un’altra, possa provocare diffidenze e riaccendere risentimenti. Compito però dei pacifisti in generale e dei nonviolenti in particolare, in occasioni come queste, dovrebbe essere quello di gettare ponti, non di lasciarsi avviluppare dalle contese nazionalistiche locali, come invece si evince dal tuo intervento, che sembra assumere acriticamente il punto di vista di una sola parte, quella serba. E di questa prevalentemente il punto di vista più istituzionale-governativo. Il tuo intervento è ospitato tra l’altro, in un sito Web che non mi sembra molto alla ricerca di dialogo.

Se tu, grazie anche al fatto di lavorare con organizzazioni di società civile serbe, hai rilevato alcuni errori, che, nella preparazione dell’evento di Sarajevo 2014, possano essere discriminanti nei confronti dei Serbi, o di qualunque altra parte, è giusto che tu lo faccia presente. Ed è auspicabile che porti questa tua sensibilità al servizio della preparazione di quest’evento; proprio perché l’intenzione è di favorire un confronto tra tutte le realtà che si richiamano alla pace e, possibilmente, alla nonviolenza. Ci chiediamo infatti quale sia il ruolo degli operatori di pace: quello di promuovere il dialogo o quello di boicottare iniziative solo perché un governo non le vuole?

Sperando che questa nostra possa servire a riprendere una collaborazione e che si porti in quelle terre martoriate un messaggio di pace, ti inviamo un caro saluto


Il consiglio nazionale del MIR