martedì 10 gennaio 2012

... all'Ambasciata per i Visti ...

La visita all’ambasciata è stata l’occasione per fare già il punto su quello che verrà subito dopo la missione settimanale di assessment qui in Kosovo, che del resto si concluderà presto, dal momento che vedrà il nostro rientro in Italia già il giorno 29 di maggio, appena tre giorni dopo (praticamente dovremo concentrare tutta una serie di attività da svolgere insieme nel breve volgere del week-end) l’arrivo qui di Monica (coordinatrice del progetto in Italia) e di Giannina (della direzione dell’Associazione per la Pace).
Si è infatti trattato di accompagnare Advjie e Vuceta, rispettivamente amministratrice dell’AFPK@ e responsabile delle attività di progetto presso la scuola di Kodra Minatore / Mikronaseljie, quartiere presso il quale lei stessa vive, insieme con una piccola comunità albanese a Mitrovica nord, praticamente l’unica realtà albanese enclavizzata dell’intero Kosovo sebbene in condizioni di vita complessivamente (ancorché precarie) migliori di quelle in cui si trova la maggior parte delle enclavi serbe diffusamente sparse sull’intero territorio della regione e direttore didattico della scuola serba di Gojbuljie, villaggio misto in cui ad una maggioranza albanese si contrappone un quartiere abitato esclusivamente da serbi, all’interno della municipalità a larga maggioranza albanese di Vucitrn/Vushtri, non molto lontano da Mitrovica in direzione sud.
Mi trovo quindi ancora una volta confrontato con la realtà dell’enclave e quindi, della privazione dei diritti e delle libertà personale (che, quando non avviene de jure, certamente avviene de facto) e dell’annosa questione della libertà di movimento che è finita talmente impastoiata negli odii reciproci e nelle rivendicazioni contrapposte da aver trasformato oggi, praticamente, il Kosovo in una gigantesca prigione  cielo aperto, dominata dalla più grande base militare americana in Europa (la famigerata Camp Bondsteel), devastata da tassi di inquinamento altissimi, pensiamo solo ai liquami e i veleni prodotti, giorno dopo giorno, dalla Trepca e dall’altrettanto famigerato “mostro” di Obilic, un clamoroso reattore geo-termico,  e in cui chi paga le spese sono i cittadini comuni: gli albanesi kosovari costretti e lungaggini ed attese per dei visti che forse non riusciranno mai ad avere e, soprattutto, i serbo-kosovari, ormai come dimenticati dalle autorità, che si ostinano a ripeterti che loro fanno pratica quotidiana di accoglienza, di rispetto e di bilinguismo, ad estenuanti attese,  travagli e difficoltà.
Come se non me ne fossi già sufficientemente reso conto sarebbe bastato fare vista a due delle realtà più amare (insieme, per altri versi, al campo di Osterode) che caratterizzano il panorama delle nostre destinazioni progettuali, ma soprattutto, più in generale, di tutto il Kosovo: e cioè l’enclave albanese di Kodra e l’enclave serba di Gojbuljie, di ritorno dal nostro accompagnamento a Pristina.
Kodra è un quartiere ghetto, in cui gli albanesi si raccolgono (come nelle vicine, ed anch’esse tristemente famose per i fatti del 17 marzo) “Tre Torri” e vivono di fianco a fianco ai serbi: i rapporti di buon vicinato certo non mancano, tuttavia è davvero impressionante ascoltare i racconti di Advjie, del padre preso e minacciato, dei paramilitari serbi (uno dei quali è praticamente un suo vicino di casa, con la cui figura e la cui memoria si trova pertanto, tutti i giorni, a dover fare i conti) che minacciano lei e i suoi familiari, delle sue cose abbandonate o più volte depredate e infine di lei costretta a fuggire da casa, senza portare nulla con sé, come se si fosse in una tragedia primordiale eppure nel cuore della “civilissima” Europa, appena pochi anni or sono.
Gojbuljie, non è dissimile ma a parti rovesciate: ulteriore testimonianza, se si vuole, dell’universalità dramma che vive questa terra e questo popolo: al di là di un confine che solo a me sembra immaginario e che invece sia Naser, sia Advjie, sia, soprattutto, Vuceta sanno chiaramente identificare, comincia il villaggio serbo, circondato da ettari ed ettari di terra non coltivata (ancora di proprietà dei serbi fuggiti e le cui case sono state date alle fiamme dagli albanesi, che hanno generalmente potuto edificare nuove loro proprietà ma non prendere possesso della terra, che ancora, per circa il 50-60 % dell’intero territorio coltivabile rimane di proprietà serba, questa essendo una delle grandi incognite sulla definizione dello status della regione) e sulla cui collina si tagliano i due edifici delle scuole, ripristinate con fondi dell’Unione Europea e dove oggi possono studiare e giocare i bambini serbi del villaggio, alimentando la speranza di un futuro migliore che non sia quello degli spostamenti nell’ennesimo autobus blindato e scortato dalla polizia internazionale, che mi tocca vedere sulla via del ritorno verso casa.
Del resto anche l’impegno di Gorizia allude proprio a questa direttrice di intervento: i visti appena ritirati consentiranno tanto ad Advjie quanto a Vuceta di partecipare alla conferenza indetta dalla provincia di Gorizia dal titolo “Kosovo: Una Pace Possibile?” Si tratterà  in quella circostanza di offrire un panorama di più ampio respiro al nostro progetto di “IntegrAzione PsicoSociale”, inserendolo attivamente nella realtà del territorio di Gorizia e del Friuli. Basterebbe il solo titolo a dare un senso alla nostra missione in Kosovo…

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