giovedì 5 dicembre 2013

I Balcani, Crocevia del Mediterraneo

Comunicato Stampa


I BALCANI

Crocevia del Mediterraneo

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Festival Cinema dei Diritti Umani,
Napoli, VI edizione 

Mercoledì 11 Dicembre
2013

Università degli Studi   
"Suor Orsola Benincasa"
[Napoli | C.so V. Emanuele 292]

PAN - Palazzo delle Arti
[Napoli | Via dei Mille 60]
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Mercoledì 11 dicembre alle 10,00 il Festival ritorna all'Università degli Studi di Napoli "Suor Orsola Benincasa" (Corso Vittorio Emanuele, 292) con il convegno I Balcani a crocevia, tra Europa e Conflitti” a cura di Gianmarco Pisa (Segretario Istituto Italiano Ricerca per la Pace - Rete Corpi Civili di Pace) e Operatori Di Pace - Campania con Antonello Petrillo (sociologo, docente presso Università degli Studi di Napoli "Suor Orsola Benincasa"), Ottavio di Grazia (docente di "Culture, Identità, Religioni" presso Università degli Studi di Napoli "Suor Orsola Benincasa"), Tommaso Di Francesco (redattore esteri “Il Manifesto”), Fabio Marcelli (Ricercatore ISGI | Istituto Studi Giuridici Internazionali - CNR) e Patrizia Sentinelli (direttrice di "Altramente", esperta di cooperazione internazionale). Ospite internazionale la regista Sonja Blagojevic, vincitrice del XXII Festival Internazionale del Cinema Etnografico di Belgrado. Partecipano inoltre Kumjana Novakova, direttrice del Festival dei Diritti Umani di Sarajevo e Turi Finocchiaro, direttore del Faito Doc Festival - Festival Cinema Documentario. In prossimità del 2014, centenario dell'inizio della I Guerra Mondiale e tra gli anniversari del “lungo ventennale” della Guerra di Bosnia, alla fine di un 2013 che ha visto il rilancio dell'iniziativa per l'integrazione europea e celebrato la stipula dei primi accordi di dialogo tra Belgrado e Pristina dopo la Guerra del Kosovo, i Balcani Occidentali sono sempre più, al tempo stesso, epicentro e margine della complessità e delle contraddizioni della costruzione europea. Nel corso dell'evento sarà proiettato il film KOSMA” di Sonja Blagojevic (Serbia, 2013, 75 min.).

Al Pan - Palazzo delle Arti di Napoli, alle 17,00 si torna poi a parlare di Balcani in una tavola rotonda dal titolo Un lungo dopo-guerra: i Balcani Occidentali tra memoria e cooperazione internazionale” a cura di Gianmarco Pisa (Segretario Istituto Italiano Ricerca per la Pace - Rete Corpi Civili di Pace), Operatori Di Pace – Campania, CEICC-ED con la partecipazione di Tommaso Di Francesco (redattore esteri “Il Manifesto”), Patrizia Sentinelli (direttrice di "Altramente", esperta di cooperazione internazionale), Kumjana Novakova (direttrice HRFF Serajevo), Turi Finocchiaro (regista, direttore Festival Faito DOC), Sonja Blagojevic (regista), Manuela Marani (esperta di cooperazione internazionale, RESeT), Luigi Cafiero (Manager cooperazione internazionale), Lorenzo Giroffi (regista e scrittore). Il progetto degli “Operatori di Pace - Campania” dal titolo “Corpi Civili di Pace in Kosovo”, sostenuto dal Comune di Napoli, intende anche essere l'occasione per una indagine volta a ri-costruire terreni condivisi per il dialogo e il riconoscimento reciproco tra le comunità. In chiusura, sarà proiettato il film La Besa di Luce” di T. Finocchiaro e N. Rossetti (Belgio/Francia, 2007, 53 min.). Durante il forum è prevista inoltre la proiezione del reportage di Lorenzo Giroffi dal titolo Essere Kosovaro” oltre all'illustrazione dei contenuti del volume di Gianmarco Pisa dal titolo Corpi Civili di Pace in Azione”, una ricerca-azione per la pace edita da "Ad Est dell'Equatore" (Napoli, 2013).


ufficio stampa:
Antonio Puzzi, 3475650976 – press@cinenapolidiritti.it
Paola Silvestro, pasilvestro@gmail.com
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www.reteccp.org



lunedì 18 novembre 2013

La questione del voto a Mitrovica e le prospettive della convivenza


fonte: reteccp.org 

L'appello (quasi) corale rivolto dalle autorità politiche di Belgrado ai cittadini serbi kosovari di Mitrovica sembra avere avuto successo: alle elezioni ripetute nei seggi elettorali, fatti bersaglio di sabotaggio e violenza nella precedente tornata, l'affluenza è stata più significativa, il clima generale indubbiamente migliore rispetto all'occasione precedente, l'assenza sostanziale di violenza e di incidenti sicuramente più confortante.

Come si ricorderà, in occasione del primo turno delle elezioni amministrative in Kosovo, le prime tenute nel quadro del dialogo bilaterale tra Belgrado e Pristina inaugurato dagli storici accordi del 19 Aprile, il sabotaggio delle elezioni da parte dei nazionalisti e le formazioni contrarie all'accordo poté dirsi senza dubbio riuscito: un'affluenza nel Kosovo (serbo) del Nord di volta in volta tra l'8 e il 12%, tre seggi devastati a Mitrovica Nord, un clima diffuso di intimidazione e un contesto generale di ostilità alla partecipazione elettorale.

L'importanza, civile e politica, di Mitrovica, nel nuovo Kosovo post-19-Aprile, è fuori discussione. Il venire meno dell'adesione agli accordi “distruggerebbe il concetto stesso di Comunità dei Comuni Serbi del Kosovo-Metohia”, architrave dell'autonomia serba nel Kosovo albanese. È a Mitrovica Nord, infatti, che hanno sede tutte le istituzioni serbe collegate a Belgrado; ed è ancora Mitrovica il centro della “pressione politica” delle diverse interpretazioni, a Belgrado e Pristina, di tali accordi, oltre che di ogni ipotesi sostenibile di convivenza, essendo l'unica città in Kosovo in cui serbi ed albanesi si trovano “fianco a fianco”.

Dopo la decisione assunta dalla Commissione Elettorale Centrale, è stata indetta, domenica 17 Novembre, la ripetizione delle operazioni di voto nei seggi di Mitrovica Nord, laddove il materiale elettorale era stato danneggiato ed era stato impossibile procedere allo spoglio e allo scrutinio. Stavolta, secondo i primi dati ufficiali, oltre 5.200 persone hanno partecipato al voto di Mitrovica, con una percentuale di affluenza pari a poco più del 22%. Considerato anche il migliore clima di sicurezza, un risultato più promettente.

Si tratta di un dato risonante, sebbene non entusiasmante, anche alla luce delle dichiarazioni della vigilia. A differenza di quanto continua a ripetere la stampa mainstreaming, l'affluenza alle urne dei serbi del Kosovo non può, in linea di diritto, essere giudicata alla stregua delle categorie del “successo” o del “fallimento”, né tanto meno potranno essere considerate come un “esame di maturità” per i serbi del Kosovo, a meno di non voler ricorrere ai soliti stereotipi o le solite presunte lezioni di “democrazia e stato di diritto”.

Il dato vero è semmai un altro: la maturità della società civile in Kosovo, in tutte le sue articolazioni etno-linguistiche, in cui, il dato della frattura tra serbi a Nord (che solo in quest'ultima tornata superano la soglia psicologica del 20% di affluenza) e serbi a Sud del fiume Ibar, i serbi del cosiddetto Kosovo interno, che, sin dal precedente turno elettorale, si erano recati in numero significativo alle urne, eleggendo alcuni sindaci serbi al primo turno, s'accompagna all'altro dato, della partecipazione dei kosovari albanesi, che hanno animato una campagna elettorale dai toni generalmente moderati e un'affluenza al voto che, seppure insoddisfacente, mostra tuttavia un certo segno di un interesse di non poco conto.

Il messaggio che si trae da quest'ultima domenica elettorale in Kosovo è dunque duplice: da un lato, si consolida la preoccupazione rispetto al ruolo di una parte di establishment, sia a Belgrado sia in particolare a Pristina, che non sembra particolarmente interessata a un'effettiva e duratura convivenza civica e lavora attivamente per i propri interessi e per lo status quo ante; dall'altro, si conferma il dinamismo del ruolo della società civile che, anche alla luce dei risultati elettorali, manda un messaggio chiaro, in entrambe le direzioni, a Pristina e a Belgrado, e sembra muoversi verso una più consapevole direzione democratica.

mercoledì 6 novembre 2013

Un confronto aperto: il Sarajevo 2014 Peace Event e i tanti perché della non adesione


http://www.cnj.it/documentazione/gavrilo.htm
Cari amici ed amiche del MIR,

vi ringrazio molto, personalmente, della vostra comunicazione. Mi sento, in via preliminare, di unirmi a molti degli auspici che nella vostra lettera (che si può leggere in scorrimento) sono contenuti: 

in primo luogo, quale premessa di metodo, quello ad evitare di addentrarsi in diatribe o polemiche politico-storiografiche che necessiterebbero di sedi più adeguate per potere essere sviluppate e rischierebbero di instradare la nostra riflessione lungo un binario sterile o auto-compiaciuto; in secondo luogo, quale proposta di merito, quello a concorrere con tutte le riflessioni e le osservazioni che saremo in grado di elaborare a fare maturare il confronto ed il dibattito tra le forze del movimento per la pace e la nonviolenza.

Proprio perché condivido tale premessa, se volete, “di metodo” e “di merito” nello stesso tempo, il mio intervento a cui si fa riferimento, dal titolo “Peace Event Sarajevo 2014: perché non aderire”, non va letto in maniera politicistica o strumentale. Non si tratta di un appello al boicottaggio, semplicemente di una riflessione in merito all'opportunità di non aderire ad un evento con i presupposti, il profilo e l'impostazione come quelli che stanno evidentemente caratterizzando questa rassegna. Basti fare riferimento, a titolo di esempio, al passaggio finale dell'articolo, in cui appunto si sottolinea come «tutto questo non intende mettere in discussione la “buona fede” di chi, animato sinceramente dalla volontà di offrire un contributo fattivo alla promozione di un percorso internazionale di pace e giustizia, ha inteso confermare la propria adesione all’evento, tra cui, anche alcune associazioni italiane impegnate sul tema della pace e della nonviolenza. È semmai il “combinato disposto” dei detti, inaccettabili, presupposti e del susseguente, preoccupante, panorama di supporter, a dare ragione a quanti, giudicando inammissibile che attori poco limpidi o apertamente compromessi con le politiche dominanti di guerra e di aggressione possano farla da protagonisti, ne hanno preso le distanze». La ricapitolazione che l'articolo offre a tal proposito credo che sia esaustiva e ripeterla in questa sede sarebbe senz'altro ridondante e non aggiungerebbe altro.

Per questo, mi sento, senza difficoltà alcuna, di poter confutare la valutazione, molto “politica” peraltro, che viene avanzata in un punto della lettera aperta in relazione al mio intervento, vale a dire quello di “assumere acriticamente il punto di vista di una sola parte, quella serba. E di questa prevalentemente il punto di vista più istituzionale-governativo”. Anche in merito a questo aspetto, basterebbe leggere l'intervento stesso, almeno nel passaggio in cui si mette in evidenza come ciò (riferito all'impostazione dell'evento ed alla lettura storiografica che vi retro-agisce) «è bastato ad alienare all’organizzazione del “Sarajevo Peace Event 2014” il favore della gran parte della opinione pubblica serba, con non pochi intellettuali che si sono assai negativamente espressi contro l’operazione di falsificazione e di manipolazione che sovrintende all’evento del 2014, e con lo stesso vertice politico e istituzionale della Repubblica Serba di Bosnia …che ha prima stigmatizzato la separazione ed il non coinvolgimento dei serbi di Bosnia e quindi formalmente invitato i serbi di Bosnia a non aderire e a non partecipare ad un evento di tale natura». D'altro canto, anche la stampa internazionale ha, occasionalmente, ospitato prese di posizione di intellettuali o personalità (non solo quindi il mondo “istituzionale-governativo”) molto critiche o contrarie al profilo dell'evento.

Ecco perché, in definitiva, mi sembra mal impostata l'ambivalenza provocatoria tra il “promuovere il dialogo” e il “boicottare iniziative solo perché un governo non le vuole”: sia perché molte delle premesse nell'impostazione stessa dell'evento mal si confanno all'intenzione (o per lo meno rendono assolutamente illeggibile l'intenzione) di “promuovere il dialogo”, appunto per il carattere unilaterale, escludente e divisivo che tale percorso ha già nei fatti assunto, sia perché le prese di posizione contrarie all'evento nella sfera politico-istituzionale sono successive e non precedenti alle prese di posizione, variamente critiche o contrarie, espresse da altri settori dell'opinione pubblica e del mondo intellettuale, in particolare serbi, ma, evidentemente, non solo. Per quanto mi riguarda, e con le realtà che hanno già condiviso tale orientamento, non posso dunque che confermare la non adesione all'evento di Sarajevo 2014, convinto, in tal senso, che tra i ruoli dell'operatore di pace vi sia sicuramente quello di contribuire a gettare ponti e valicare frontiere, non certo quello di concorrere ad alimentare divisioni ed ostilità. Auspicando quindi nuovi spunti e nuove sollecitazioni. 

un caro saluto di pace,

Gianmarco Pisa 


 ***


Caro GianMarco,

abbiamo letto il tuo intervento “Peace event Sarajevo 2014: perché non aderire”, scritto su http://www.cnj.it/documentazione/gavrilo.htm#gpisa e l’abbiamo commentato durante il nostro consiglio nazionale tenutosi a Roma il 19,20 ottobre scorso.

Francamente dobbiamo dirti che ci è dispiaciuto molto vedere questo appello a boicottare l’evento di Sarajevo, su cui stiamo lavorando con altre associazioni italiane e straniere da ormai 2 anni. Per questo abbiamo voluto scrivere questa lettera aperta in cui cerchiamo di spiegare perché secondo noi occorre aderire.

Partiamo da una precisazione: l’evento di Sarajevo non vuole ricordare, né celebrare alcunché. L’idea di un evento di pace è nata nel corso di alcuni incontri tra associazioni nonviolente, prevalentemente facenti capo al Mir internazionale e ai coordinamenti per il decennio sull’educazione alla pace e alla nonviolenza, 2 anni fa, nel 2011. Certamente l’ispirazione erano i saloni della pace di Parigi, tenutisi fino al 2008, e sospesi per mancanza dei fondi di sostegno pubblico (dunque come puoi ben vedere non ci sono ricchi “donatori” dietro); sin dall’inizio l’idea era di realizzare un evento più che un salone, ed un evento possibilmente aperto alla partecipazione di associazioni e movimenti di base soprattutto dell’Est Europa, solitamente assenti per complesse ragioni storico politiche. E si era pensato ad una rosa di città candidate a ospitare questo evento: tra queste Trieste, Berlino, Vienna, Budapest. Alla fine si optò per Sarajevo proprio per il significato simbolico che tale città assume nel 2014, in riferimento agli avvenimenti che portarono alla Grande Guerra, oltre che perché questa città è stata teatro di quella che al momento, e speriamo per sempre, è stata l’ultima guerra combattuta in Europa.

Proprio perché il 2014 ci saranno eventi celebrativi ed alla memoria di quella che fu una tragica scelta per il mondo intero, si scelse Sarajevo per raccontare un’altra storia, che da una parte si oppone a quella come a tutte le altre guerre, dall’altra si proietta in un futuro che vogliamo profondamente diverso e per cui ci battiamo: a un secolo di guerre viste come soluzioni ai conflitti, vogliamo proporre una via alternativa di interventi civili di pace: invitati tutti coloro, che pur con errori e imperfezioni, talvolta con ingenuità, provano sul campo questa alternativa. Sappiamo benissimo che l’”incidente” (va bene chiamarlo così?) di Sarajevo del 1914 è stato solo il pretesto per scatenare la prima guerra mondiale, che ebbe tutt’altre cause che solo in parte avevano a che fare con le questioni balcaniche; ciò è non solo ben chiaro a noi, ma largamente accettato dalla storiografia sia pacifista che non.


Noi non vogliamo assolutamente addentrarci in discussioni politico storiografiche, né vogliamo organizzare un simposio sulla prima guerra mondiale.

Sappiamo bene, anche, che certe ferite, quelle recenti delle guerre che tra il 1991 ed il 1999 hanno accompagnato il disfacimento della Jugoslavia, non certo quelle di 100 anni fa, sono tuttora profonde da quelle parti, e sono ancora aperte e “sanguinanti”. E’ possibile che chi sta preparando l’evento di Sarajevo non si sia reso pienamente cosciente di quanto, anche una semplice parola al posto di un’altra, possa provocare diffidenze e riaccendere risentimenti. Compito però dei pacifisti in generale e dei nonviolenti in particolare, in occasioni come queste, dovrebbe essere quello di gettare ponti, non di lasciarsi avviluppare dalle contese nazionalistiche locali, come invece si evince dal tuo intervento, che sembra assumere acriticamente il punto di vista di una sola parte, quella serba. E di questa prevalentemente il punto di vista più istituzionale-governativo. Il tuo intervento è ospitato tra l’altro, in un sito Web che non mi sembra molto alla ricerca di dialogo.

Se tu, grazie anche al fatto di lavorare con organizzazioni di società civile serbe, hai rilevato alcuni errori, che, nella preparazione dell’evento di Sarajevo 2014, possano essere discriminanti nei confronti dei Serbi, o di qualunque altra parte, è giusto che tu lo faccia presente. Ed è auspicabile che porti questa tua sensibilità al servizio della preparazione di quest’evento; proprio perché l’intenzione è di favorire un confronto tra tutte le realtà che si richiamano alla pace e, possibilmente, alla nonviolenza. Ci chiediamo infatti quale sia il ruolo degli operatori di pace: quello di promuovere il dialogo o quello di boicottare iniziative solo perché un governo non le vuole?

Sperando che questa nostra possa servire a riprendere una collaborazione e che si porti in quelle terre martoriate un messaggio di pace, ti inviamo un caro saluto


Il consiglio nazionale del MIR

sabato 19 ottobre 2013

Per un Dialogo di Pace tra Religioni e Culture il 24 Ottobre al CEICC, Napoli

in occasione del 24 ottobre, giornata mondiale delle nazioni unite,

una riflessione sul valore e il senso del dialogo tra religioni e culture:

abdallah massimo cozzolino, imam, direttore della moschea di napoli
. associazione zayd ibn thabit

simion desrobitu, reverendo, 
chiesa ortodossa romena di s. giovanni il nuovo di suceava

luciano tagliacozzo, biblista, 
studioso di poesia ebraica
. associazione amicizia ebraico-cristiana 

introduce:
gianmarco pisa,
istituto italiano di ricerca per la pace -
rete corpi civili di pace

modera:
ottavio di grazia,
docente di culture identità e religioni, 
università s. orsola benincasa di napoli

saluti istituzionali:
clara degni,
comune di napoli


Giovedì 24 Ottobre 2013: ore 17.00

CEICC - Europe Direct
Via Partenope 36, Napoli





venerdì 20 settembre 2013

Peace Event Sarajevo 2014: perché non aderire

L’idea di un Evento di Pace a Sarajevo in occasione del centenario della prima guerra mondiale e del lungo ventennale della guerra di Bosnia è stata dettata da alcune circostanze e da una ispirazione di fondo. La circostanza è indubbiamente legata alla ricorrenza: a cento anni dalla Grande Guerra (1914-2014) essa può costituire l’occasione di una riflessione su un secolo breve a lungo attraversato da guerre e conflitti ed a venti anni da uno dei lunghi anni della Guerra di Bosnia (1992-1995) può alimentare la memoria e la riflessione e indurre spunti e sollecitazioni preziose per un secolo nuovo all’insegna della pace e della giustizia, della solidarietà e dell’amicizia tra i popoli. 

È proprio su questo terreno che, sin dalla sua indizione, il “Sarajevo Peace Event 2014” non ha mancato di suscitare dubbi e perplessità, di alimentare resistenze e divisioni anziché solidarietà e amicizia, di finire per accendere polemiche e lacerazioni, in una direzione paradossalmente eguale e contraria a quella mostrata nei suoi intendimenti dichiarati. Il tutto, sin dall’ispirazione di fondo: quella di fare in terra di Bosnia qualcosa di analogo a quanto realizzato in occasione dei Saloni per la Pace di Parigi nell’ambito delle celebrazioni e delle iniziative inquadrate nel programma della Decade delle Nazioni Unite per una Cultura di Pace e Nonviolenza (2001-2010); col rischio di fare dell’evento di Sarajevo più una vetrina dei grandi “donatori inter-nazionali” che una occasione utile al “lavoro di pace”.  

Sin dalla dichiarazione programmatica, infatti, l’Evento di Pace di Sarajevo attesta come l'anno 2014 segna il 100° anniversario dell'inizio della prima guerra mondiale, che è stata innescata dall'assassinio dell'erede al trono austriaco a Sarajevo il 28 giugno 1914. Questa può essere vista come una data simbolica per un secolo di "cultura della guerra e della violenza", con due guerre mondiali e innumerevoli guerre regionali - tra cui quella nei paesi dell'ex Jugoslavia negli anni Novanta, quando Sarajevo ha sofferto l'assedio della città nella "ultima guerra in Europa" - così come per il dominio globale della violenza strutturale e culturale.  

Una dichiarazione nella quale l’uccisione di Francesco Ferdinando, erede al trono asburgico (della potenza allora occupante, in Bosnia) è considerata alla stregua di un mero assassinio e, di conseguenza, l’azione di Gavrilo Princip (irredentista serbo-bosniaco, patriota e rivoluzionario) ridotta ad una mera azione terroristica (secondo la vulgata bosniacca e austriaca che ha fatto di un movimento di liberazione, Mlada Bosna, la “Giovane Bosnia”, né più né meno di un movimento violento, estremista e terrorista).  

Ciò è bastato ad alienare all’organizzazione del “Sarajevo Peace Event 2014” il favore della gran parte dell'opinione pubblica serba, con non pochi intellettuali che si sono assai negativamente espressi contro l’operazione di falsificazione e di manipolazione che sovrintende all’evento del 2014, e con lo stesso vertice politico e istituzionale della Repubblica Serba di Bosnia (una delle due entità delle quali si compone la Bosnia Erzegovina all’indomani degli Accordi e della Costituzione di Dayton, 1995) che ha prima stigmatizzato la separazione e il non coinvolgimento dei serbi di Bosnia e quindi formalmente invitato i serbi di Bosnia a non aderire e a non partecipare ad un evento di tale natura.  

Preoccupazioni analoghe sono state ribadite, al più alto livello, anche dal premier serbo, il socialista Ivica Dacic, che è tornato sulla questione della revisione e della mistificazione della storia, e sulla campagna di denigrazione ed emarginazione dei serbi, che vorrebbe metterli, in un modo o nell’altro, ancora una volta, sul banco degli imputati, bollandoli come nazionalisti e guerrafondai ed attribuendo loro il grosso delle colpe e delle responsabilità per la destabilizzazione che ha portato alla prima guerra mondiale.  

Il 99° anniversario della famosa battaglia di Cer, celebrato lo scorso 19 Agosto con i più alti onori militari e statali a Tekeris, vicino Loznica, nella Serbia occidentale, come la battaglia in cui l’esercito serbo ha segnato la prima vittoria per le forze alleate contro l'esercito austro-ungarico durante la stessa prima guerra mondiale, ha costituito l’occasione e la cornice, per le massime autorità statali serbe e in primo luogo per il premier Dacic, per tornare sulla questione e puntualizzare la posizione. 

Rivolgendosi ai cittadini riuniti nell’occasione, Dacic ha detto che la Serbia deve lottare per la verità sulla Grande Guerra, cento anni dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, e deve contrastare il tentativo in corso di “revisione” della storia. Ha inoltre espresso la preoccupazione che, nella celebrazione del 100° anniversario della prima guerra mondiale a Sarajevo, i serbi siano ancora una volta “messi ai margini” ed accusati di incitamento del più grande conflitto armato della storia moderna.  

Tali tentativi sono stati rinnovati con maggiore insistenza anche nel corso degli ultimi mesi, in modo da incolpare i serbi per l’assassinio di Sarajevo, in cui i membri della organizzazione irredentista, Mlada Bosna, hanno colpito il principe austro-ungarico Francesco Ferdinando e la moglie il 28 giugno 1914. Il fatto di collocare in tale evento l’inizio reale del conflitto mondiale dimostra il tentativo di falsificazione in atto e la strumentalizzazione dell’evento stesso. Un fatto che viene ignorato in questo contesto è che l’assassinio di Sarajevo è stato utilizzato come scusa e pretesto per le tendenze imperialiste e per i piani di aggressione da parte dell’Austria-Ungheria e della Germania, come è stato ricordato da Dacic. 

Tale processo di autentico, negativo, “revisionismo storico”, passa sia per la lettura strumentale della storia, sia per le iniziative che intendono muoversi sul terreno del ricordo, della memoria e del simbolico. Dacic ha ricordato che vi sono annunci che indicano l’intenzione, da parte delle autorità cittadine, di erigere un monumento in onore di Francesco Ferdinando a Sarajevo, aggiungendo che questo potrebbe rappresentare una “sanzione” della revisione della storia in atto e che deve essere evitato. Ha infine ricordato che Gavrilo Princip e gli altri partecipanti ai fatti di Sarajevo non erano solo serbi, ma membri del movimento jugoslavo, per l’unità degli Slavi del Sud, che ha raccolto molti croati e molti musulmani.  

Questo è il motivo per cui è importante, per preservare una memoria corretta e limpida degli eventi che hanno avuto luogo cento anni fa, ricordare e illustrare i contenuti degli eventi e il reale svolgimento dei fatti e trasferirli correttamente presso le più giovani generazioni. Non va dimenticato che i serbi sono stati tra le maggiori vittime nella prima guerra mondiale e hanno dovuto affrontare, in quella circostanza, il peggior ultimatum che un Paese abbia potuto, sino a quel momento, imporre a un altro Stato.  

Le maggiori potenze dell’epoca hanno preso parte all'aggressione alla Serbia, e la Serbia avrebbe continuato a subire aggressioni a sfondo imperialistico anche negli anni a seguire, come dimostrano l’invasione e il bombardamento di Belgrado ad opera dei Nazisti nel 1941, nel corso della seconda guerra mondiale, e l’ultimatum di Rambouillet e l’aggressione della NATO contro l’intera Serbia nel 1999, guerra per la quale si stimano danni complessivi per oltre cento miliardi di dollari. Per intendersi, l’intero Prodotto Lordo della Serbia, nel 2013, è di poco superiore ai quaranta miliardi di dollari.  

Tutto questo ovviamente non intende mettere in discussione la “buona fede” di chi, animato sinceramente dalla volontà di offrire un contributo fattivo alla promozione di un percorso internazionale di pace e giustizia, ha inteso confermare la propria adesione all’evento, tra cui, anche alcune associazioni italiane impegnate sul tema della pace e della nonviolenza. È semmai il “combinato disposto” dei detti, inaccettabili, presupposti e del susseguente, preoccupante, panorama di supporter, a dare ragione a quanti, giudicando inammissibile che attori poco limpidi o apertamente compromessi con le politiche dominanti di guerra e di aggressione, possano farla da protagonisti, ne hanno preso le distanze.  

USAID è il sostenitore e lo sponsor principale delle organizzazioni bosniache che coordinano il processo; l’Open Society di George Soros è tra i principali supporter e finanziatori di una ampia platea di organizzazioni e fondazioni che sono sin dall’inizio nella rete dei promotori dell’evento; alcuni tra i protagonisti hanno tra i propri sponsor e supporter, sia a livello di organizzazioni sia a livello di progetti, ambasciate straniere non esattamente indifferenti al passato (storico e recente) e al presente della complessa vicenda di guerra dei Balcani, tra cui l’Austria e in particolare la Francia e la Germania.  

Quest’ultima, come è stata il principale sponsor delle secessioni unilaterali che, tra il 1991 e il 1992, hanno inaugurato la stagione lunga e sanguinosa della disgregazione della Jugoslavia, è oggi il principale finanziatore della “cabina di regia” istituzionale che sovra-intende al complesso delle celebrazioni del centenario e uno dei motori della ridda di eventi che sono in cartellone al 2014. Se tale è l’inaugurazione di un nuovo secolo all’insegna di “pace e nonviolenza”, c’è davvero poco di cui nutrire speranza.
 

sabato 27 luglio 2013

Corpi Civili di Pace, in Kosovo ed oltre ...

Mitrovica (Kosovo): Foto di Gianmarco Pisa
Un confronto caldo, competente e partecipato, allo stesso tempo. Sin dall'introduzione, ad opera di Clara Degni del Servizio Cooperazione Decentrata, Legalità e Pace del Comune di Napoli, si è capito che l'iniziativa di presentazione del volume “Corpi Civili di Pace in Azione” e del reportage “Essere Kosovaro”, tenuta al CEICC (Europe Direct) di Napoli lo scorso 24 Luglio, sarebbe stata particolare e innovativa: a metà strada tra l'illustrazione di un progetto di ricerca-azione (il primo progetto di un comune finalizzato alla costruzione di Corpi Civili di Pace in area di conflitto) e il confronto sull'attualità dello scenario balcanico, in particolare kosovaro, sullo sfondo delle grandi trasformazioni che sta attraversando la regione e, insieme con lei, l'intera Europa.
Una “rappresentazione” costantemente in bilico tra i temi della cittadinanza attiva e dell'intervento civile per la prevenzione della violenza e la trasformazione dei conflitti, e quelli dell'impegno della società civile e degli attori istituzionali, in primo luogo l'Unione Europea, per la soluzione negoziata delle crisi e per la “pace positiva”. Su questa falsariga, Luciano Griffo, in rappresentanza del Centro Europeo Informazione, Cultura e Cittadinanza, Punto Europe Direct di Napoli, ha posto l'accento sul ruolo dell'Unione Europea, sia attraverso il processo di allargamento sia mediante i programmi di mobilità transnazionale (soprattutto, ma non solo, giovanile, dal “Leonardo” al “Comenius”, passando per l'“Erasmus”), ricordando l'esigenza di innovare e diffondere pratiche di cittadinanza attiva europea, e il compito del CEICC nel promuovere informazione e conoscenza sul mondo dell'Europa e, in particolare, dell'Unione Europea.
Un punto di partenza utile alla discussione, introdotta proprio dall'intenzione di «discutere in maniera leggera di contenuti niente affatto “leggeri”» e dall'annotazione, quasi in premessa di metodo, di sapere distinguere tra l'Europa, nata e morta a Sarajevo, per riprendere l'adagio famoso di Alex Langer, uno dei principali ispiratori del movimento europeo per i Corpi Civili di Pace, e che si appresta tra un anno a celebrare il centenario della Prima Guerra Mondiale e uno degli anniversari del “lungo ventennale” della Guerra di Bosnia (1992-1995), e l'Unione Europea, la cui crisi economica e politica ne accentua ancora di più la contraddizione dell'essere, al tempo stesso, primo sostenitore umanitario al mondo (quasi 700 milioni di euro nel bilancio 2013, con cinque destinazioni prioritarie, Mali, Sudan, Rep. Dem. del Congo, Pakistan e Somalia), e artefice, attraverso gli interessi nazionali dei Paesi Membri, di vere e proprie azioni di guerra (dalla partecipazione euro-atlantica alla aggressione della Serbia alla recente iniziativa franco-britannica in Libia).
Per questo è così esigente e necessaria l'azione dei civili che, autonomamente dai governi, si impegnano, forti dell'ispirazione nonviolenza, a intervenire “sui” e “nei” conflitti, a sostegno delle vittime e a supporto degli sforzi della società civile locale per il superamento dei conflitti armati e la ricostruzione di nuovi presupposti di dialogo, fiducia, ricomposizione e, in definitiva, pace. Il volume di Gianmarco Pisa dedicato ai “Corpi Civili di Pace in Azione” (Ad Est dell'Equatore, 2013) vuole essere, proprio alla luce di questi presupposti, il “racconto” in forma di “saggio” di una azione concreta di promozione della pace e di costruzione dei Corpi Civili di Pace (specie in Kosovo) e di una indagine volta a ri-costruire terreni condivisi di sperimentazione del dialogo e per il reciproco riconoscimento tra le parti stesse del conflitto.
Paradigma e laboratorio, al tempo stesso, del conflitto etno-politico del nostro tempo, esploso in una guerra portata dai bombardieri della NATO (oltre trentamila i raid della NATO contro la Jugoslavia in 78 giorni di guerra nella primavera del 1999) con l'attivo supporto del Governo Italiano (la maggior parte dei raid partivano dalla base di Aviano) fuori qualsivoglia mandato delle Nazioni Unite, il Kosovo è tuttavia terra di storica co-abitazione di popoli e nazionalità e luogo di memorie e narrazioni, nonché di uno dei più ampi e coinvolgenti movimenti nonviolenti di riconciliazione, quello animato da Ibrahim Rugova ed Anton Cetta, che ha portato a riconciliare, superando le reciproche vendette giurate, oltre 1200 famiglie kosovare nel corso degli Anni Novanta.
Ricostruire “una storia” attraverso “le storie” diviene, quindi, importante ed il reportage di Lorenzo Giroffi, “Essere Kosovaro” (First Line Press, 2012) ne è una vivida testimonianza, da un capo all'altro del ponte della città divisa di Mitrovica e a cavallo tra le comunità che rendono viva ed unica la realtà kosovara (non solo Albanesi e Serbi, ma anche Rom, Ashkalij, Egizi, Bosniaci, Turchi e Gorani). Un “ponte di dialoghi” e di nuovi “dialoghi di pace” che meritano la nostra attenzione, in uno scenario che, dopo gli accordi serbo-kosovari del 19 Aprile e il nuovo percorso di adesione europea, dopo la Croazia, della Serbia, torna più attuale che mai. 

venerdì 19 luglio 2013

Caffè Balcani: Corpi Civili di Pace in Azione

Il CEICC (Centro Europeo Informazione Cultura Cittadinanza) del Comune di Napoli,

in collaborazione con le Associazioni:

Operatori di Pace - Campania 

IPRI (Istituto Italiano di Ricerca per la Pace) - Rete CCP (Corpi Civili di Pace)

Noi@Europe

con il supporto istituzionale del Comune di Napoli

organizzano e invitano a partecipare al:


Caffè Balcani
Corpi Civili di Pace in Azione

caffè e dialogo a più voci con:

Gianmarco Pisa, operatore di pace
Istituto di Ricerca per la Pace - Rete CCP

Lorenzo Giroffi, scrittore e reporter
redazione FirstLinePress - quotidiano online

Ottavio di Grazia, docente di culture identità e religioni,
Università S. Orsola Benincasa di Napoli

presentazione del volume di Gianmarco Pisa:
Corpi Civili di Pace in Azione”, ed. “ad est dell'equatore”

proiezione del documentario di Lorenzo Giroffi:
Essere Kosovaro”, redazione FirstLinePress

interviene:
Luigi de Magistris, Sindaco di Napoli

Mercoledì 24 Luglio p.v. ore 17.00

CEICC, Via Partenope 36, Napoli

Nota al Testo

Quando si parla di pace, e anche di nonviolenza, ci si ferma spesso solo agli aspetti generali, di principio, morali. Tutte cose importanti, ma insufficienti. Da tempo tuttavia, e possiamo risalire sino a Gandhi, c’è chi elabora e sperimenta modalità concrete per prevenire, intervenire e riconciliare là dove i conflitti rischiano di degenerare, o sono già degenerati, in guerre e violenze. Il volume di G. Pisa, “Corpi Civili di Pace in Azione” (Ad Est dell'Equatore, Napoli, 2013) ha il pregio di sintetizzare con incisività e chiarezza le linee guida, teoriche e pratiche, che contraddistinguono l’azione dei CCP. È a partire da questi presupposti, arricchiti dalle teorie e metodologie della “trasformazione dei conflitti”, da J. Galtung a P. Lederach, che il libro si articola offrendo le basi e gli indirizzi lungo i quali operano i CCP. Il caso di studio e di intervento concreto è quello dei Balcani, in particolare con l’esperienza dei “Corpi Civili di Pace in Kosovo”, che continua tuttora dopo dieci anni dall’avvio e, pur nella grande complessità della situazione, è una concreta dimostrazione delle possibilità e dell’efficacia del peace-building nonviolento. A maggior ragione in un contesto che, dopo le guerre degli anni Novanta e l'allargamento ad Est dell'Unione Europea, diviene sempre più prossimo e decisivo, nel cuore dell'Europa e sulle sponde di un Mediterraneo, che vorremmo sempre più “mare di pace”. 

Segui l'evento FB alla pagina del CEICC 

martedì 18 giugno 2013

Corpi Civili di Pace in Azione



Quando si parla di pace, e anche di nonviolenza, ci si ferma sovente solo agli aspetti teorici generali, di principio, morali. Tutte cose importanti, ma insufficienti. Da tempo, tuttavia, e possiamo risalire sino a Gandhi, c’è chi elabora e sperimenta modalità concrete per prevenire, intervenire e riconciliare là dove i conflitti rischiano di degenerare, o sono già degenerati, in guerre e violenze. E’ quanto stanno facendo, da anni, sia l’IPRI-Rete dei Corpi Civili di Pace (CCP), su scala italiana sia, più in generale, le Nonviolent Peace Force su scala internazionale. Questo ottimo lavoro di Gianmarco Pisa, ha il pregio di sintetizzare con incisività e chiarezza le linee guida generali, teoriche e pratiche, che contraddistinguono l’azione dei CCP. 

E’ inoltre un utilissimo ampliamento del fascicolo di Azione Nonviolenta del dicembre 2012 dedicato allo stesso tema. 

La nonviolenza, nella concezione di Gandhi, non è la negazione della violenza,ma il superamento della violenza, la ricerca, cioè, di un o strumento più valido per ottenere quei valori (pace, libertà, giustizia) che spesso si ritiene possano essere raggiunti solo con l’uso della forza armata. 

L’azione per il dialogo e la riconciliazione punta alla sperimentazione di corpi nonviolenti di pace per il superamento di quei conflitti che la guerra non ha evidentemente affatto risolto. Alberto L’Abate 

Se la catastrofe bellica e l’olocausto nucleare avevano rappresentato, con la fine della II Guerra Mondiale, il punto di non-ritorno dei piani di guerra dell’imperialismo delle potenze, aprendo la strada alle Nazioni Unite, alla Carta di San Francisco e alla messa al bando della guerra come “strumento ordinario” per dirimere i conflitti internazionali, varando infine, con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (10 Dicembre 1948), lo strumento più potente sin qui a disposizione per il lavoro di pace; la svolta neo-liberale e la nuova corsa agli armamenti, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, avrebbero rappresentato il punto di svolta, insieme con gli euro-missili e le guerre stellari, la fine dell’esperienza storica del socialismo reale e la disgregazione degli Stati multi-etnici. La caduta del Muro di Berlino (9 Novembre 1989) poteva simbolicamente ricollocare sulla scena il protagonismo delle masse popolari e delle rivendicazioni nonviolente, ma finiva per rappresentare viceversa la smentita più clamorosa delle speranze di protagonismo e di rinnovamento che si erano, intanto, consolidate nei cuori e nelle menti dei popoli d’Europa. Il tracollo dell’Unione Sovietica, la tragedia della Jugoslavia, la riscossa dei nazionalismi rappresentavano, al tempo stesso, la faccia feroce della globalizzazione capitalistica e la sfida decisiva per le forze nonviolente, chiamate a re-inventarsi e a ri-concepirsi. Nel suo appello «L’Europa muore o rinasce a Sarajevo» (25 Giugno 1995), Alex Langer elencava le idee-guida dell’elaborazione dei Corpi Civili di Pace: dal valore del diritto all’offerta dell’integrazione; dal sostegno ai costruttori di dialogo alla “prevenzione del conflitto”. Una sfida, in buona parte, ancora tutta innanzi a noi. 

Il volume rappresenta il prodotto della ricerca-azione condotta nell’ambito del progetto per i “Corpi Civili di Pace in Kosovo”, prima sperimentazione promossa da un Ente Locale per la costruzione di Corpi di Pace in area di conflitto. Realizzato dagli “Operatori di Pace – Campania” in partenariato con la IPRI – Rete CCP e, in Kosovo, la Association for Peace Kosovo e il Community Building Mitrovica , in collaborazione con il dipartimento di filosofia della Università di Pristina, il progetto, sostenuto dal Comune di Napoli e tuttora in corso, si propone di formare e di attivare squadre locali per la gestione nonviolenta del conflitto, in primo luogo nella città divisa di Mitrovica, simbolo e cardine del post-conflitto kosovaro. Una proposta nonviolenta, in un conflitto apparentemente intrattabile nel cuore dell’Europa

La recensione di Nanni Salio

Quando si parla di pace, e anche di nonviolenza, ci si ferma sovente solo agli aspetti teorici generali, di principio, morali. Tutte cose importanti, ma insufficienti. Da tempo, tuttavia, e possiamo risalire sino a Gandhi, c’è chi elabora e sperimenta modalità concrete per prevenire, intervenire e riconciliare là dove i conflitti rischiano di degenerare, o sono già degenerati, in guerre e violenze. 

E’ quanto stanno facendo, da anni, sia l’IPRI-Rete dei Corpi Civili di Pace (CCP), su scala italiana sia, più in generale, le Nonviolent Peace Force su scala internazionale. 

Questo ottimo lavoro di Gianmarco Pisa, ha il pregio di sintetizzare con incisività e chiarezza le linee guida generali, teoriche e pratiche, che contraddistinguono l’azione dei CCP. E’ inoltre un utilissimo ampliamento del fascicolo di Azione Nonviolenta del dicembre 2012 dedicato allo stesso tema. 

Come chiarisce Albero L’Abate nella prefazione, la filosofia dei CCP si fonda sulla nonviolenza attiva che secondo George Lakey, uno dei più noti e autorevoli formatori alla nonviolenza, con una grande esperienza diretta sul campo, “si caratterizza per tre forme di intervento: 1) il cambiamento sociale; 2) la difesa sociale; 3) l’intervento nonviolento attraverso le terze parti nei conflitti” (p. 12). 

E’ a partire da questi presupposti, arricchiti dalle teorie e metodologie di “trasformazione nonviolenta dei conflitti”, da Johan Galtung a Paul Lederach, che il libro si articola offrendo le basi e gli indirizzi generali lungo i quali operano i CCP. 

Il caso di studio e di intervento concreto è quello dei Balcani, con l’esperienza dei “Corpi Civili di Pace in Kosovo”, che continua tuttora dopo dieci anni dall’avvio e, pur nella grande complessità della situazione, è una concreta dimostrazione delle possibilità e dell’efficacia del peacebuilding nonviolento.  

Ma allora, un po’ ingenuamente, possiamo chiederci: “perché le Nazioni Unite e l’UE non promuovono direttamente la costituzione di CCP su scala regionale e internazionale?”. La risposta è quanto mai semplice e lineare: la politica internazionale, soprattutto delle grandi potenze (ovvero USA e NATO) è orientata alla dominazione e alla costruzione di un sistema imperiale, che sebbene sia in crisi, continua ad assorbire somme ingentissime per creare insicurezza, morte e terrore attraverso il complesso militare-industriale-scientifico-corporativo-mediatico. 

Per esercitare il dominio dell’1% sul resto del mondo è necessario, come ha detto con grande chiarezza la Margaret Albright, il “pugno duro”, il “martello” dello strumento militare. “Per ogni euro speso per la prevenzione della guerra, si spendono diecimila euro per fare la guerra” (p. 84). Sino a quando? La grande crisi sistemica globale sta mettendo in discussione i fondamenti di questa civiltà, come aveva preconizzato Gandhi un secolo fa. Per uscirne indenni occorre un lavoro sistematico su attori, strutture e culture attraverso la ricerca, l’educazione e l’azione per la pace e la nonviolenza. 


E’ quanto stanno facendo i movimenti nonviolenti e in particolare i CCP, ma occorre unire le forze e costruire un “movimento dei movimenti” capace di raccogliere la miriade di esperienze in corso e tradurla in un’azione politica complessiva di cambiamento sociale.