L’idea
di un Evento di Pace a Sarajevo in occasione del centenario della
prima guerra mondiale e del lungo ventennale della guerra di Bosnia è
stata dettata da alcune circostanze e da una ispirazione di fondo. La
circostanza è indubbiamente legata alla ricorrenza: a cento anni dalla Grande Guerra (1914-2014) essa può costituire
l’occasione di una riflessione su un secolo breve a lungo
attraversato da guerre e conflitti ed a venti anni da uno dei lunghi
anni della Guerra di Bosnia (1992-1995) può
alimentare la memoria e la riflessione e indurre spunti e
sollecitazioni preziose per un secolo nuovo all’insegna della pace
e della giustizia, della
solidarietà e dell’amicizia tra i popoli.
È
proprio su questo terreno che, sin dalla sua indizione, il “Sarajevo
Peace Event 2014”
non ha mancato di suscitare dubbi e perplessità, di alimentare
resistenze e divisioni anziché solidarietà e amicizia, di finire
per accendere polemiche e lacerazioni, in una direzione
paradossalmente eguale e contraria a quella mostrata nei suoi
intendimenti dichiarati. Il tutto, sin dall’ispirazione di fondo:
quella di fare in terra di Bosnia qualcosa di analogo a quanto
realizzato in occasione dei Saloni per la Pace di Parigi nell’ambito
delle celebrazioni e delle iniziative inquadrate nel programma della
Decade delle Nazioni Unite per una Cultura di Pace e Nonviolenza
(2001-2010); col rischio di fare dell’evento di Sarajevo più una
vetrina dei grandi “donatori inter-nazionali” che una occasione
utile al “lavoro di pace”.
Sin
dalla dichiarazione programmatica, infatti, l’Evento di Pace di
Sarajevo attesta come l'anno
2014 segna il 100° anniversario dell'inizio della prima guerra
mondiale, che è stata innescata dall'assassinio dell'erede al trono
austriaco a Sarajevo il 28 giugno 1914. Questa può essere vista come
una data simbolica per un secolo di "cultura della guerra e
della violenza", con due guerre mondiali e innumerevoli guerre
regionali - tra cui quella nei paesi dell'ex Jugoslavia negli anni
Novanta, quando Sarajevo ha sofferto l'assedio della città nella
"ultima guerra in Europa" - così
come per il dominio globale della violenza strutturale e culturale.
Una
dichiarazione nella quale l’uccisione di Francesco Ferdinando,
erede al trono asburgico (della potenza allora occupante, in Bosnia)
è considerata alla stregua di un mero assassinio e, di conseguenza,
l’azione di Gavrilo Princip (irredentista serbo-bosniaco, patriota
e rivoluzionario) ridotta ad una mera azione terroristica (secondo
la vulgata bosniacca e austriaca che ha fatto di un movimento di
liberazione, Mlada Bosna, la “Giovane Bosnia”, né più né meno
di un movimento violento, estremista e terrorista).
Ciò
è bastato ad alienare all’organizzazione del “Sarajevo
Peace Event 2014”
il favore della gran parte dell'opinione
pubblica serba, con
non pochi intellettuali che si sono assai negativamente espressi
contro l’operazione di falsificazione e di manipolazione che
sovrintende all’evento del 2014, e con lo stesso vertice politico e
istituzionale della Repubblica Serba di Bosnia (una
delle due entità delle quali si compone la Bosnia Erzegovina
all’indomani degli Accordi e della Costituzione di Dayton, 1995)
che ha prima stigmatizzato la separazione e il non coinvolgimento dei
serbi di Bosnia e quindi formalmente invitato i serbi di Bosnia a non
aderire e a non partecipare ad un evento di tale natura.
Preoccupazioni
analoghe sono state ribadite, al più alto livello, anche dal premier
serbo, il socialista Ivica Dacic, che è tornato sulla
questione della revisione e della mistificazione della storia, e
sulla campagna di denigrazione ed emarginazione dei serbi, che
vorrebbe metterli, in un modo o nell’altro, ancora una volta, sul
banco degli imputati, bollandoli come nazionalisti e guerrafondai ed
attribuendo loro il grosso delle colpe e delle responsabilità per la
destabilizzazione che ha portato alla prima guerra mondiale.
Il
99° anniversario della famosa battaglia di Cer, celebrato lo scorso
19 Agosto con i più alti onori militari e statali a Tekeris, vicino
Loznica, nella Serbia occidentale, come la battaglia in cui
l’esercito serbo ha segnato la prima vittoria per le forze alleate
contro l'esercito austro-ungarico durante la stessa prima guerra
mondiale, ha costituito l’occasione e la cornice, per le massime
autorità statali serbe e in primo luogo per il premier Dacic, per
tornare sulla questione e puntualizzare la posizione.
Rivolgendosi
ai cittadini riuniti nell’occasione, Dacic ha detto che la Serbia
deve lottare per la verità sulla Grande Guerra, cento anni dopo lo
scoppio della prima guerra mondiale, e deve contrastare il tentativo
in corso di “revisione” della storia. Ha inoltre espresso la
preoccupazione che, nella celebrazione del 100° anniversario della
prima guerra mondiale a Sarajevo, i serbi siano ancora una volta
“messi ai margini” ed accusati di incitamento del più grande
conflitto armato della storia moderna.
Tali
tentativi sono stati rinnovati con maggiore insistenza anche nel
corso degli ultimi mesi, in modo da incolpare i serbi per
l’assassinio di Sarajevo, in cui i membri della organizzazione
irredentista, Mlada Bosna, hanno colpito il principe austro-ungarico
Francesco Ferdinando e la moglie il 28 giugno 1914. Il fatto di
collocare in tale evento l’inizio reale del conflitto mondiale
dimostra il tentativo di falsificazione in atto e la
strumentalizzazione dell’evento stesso. Un fatto che viene ignorato
in questo contesto è che l’assassinio di Sarajevo è stato
utilizzato come scusa e pretesto per le tendenze imperialiste e per i
piani di aggressione da parte dell’Austria-Ungheria e della
Germania, come è stato ricordato da Dacic.
Tale
processo di autentico, negativo, “revisionismo storico”, passa
sia per la lettura strumentale della storia, sia per le iniziative
che intendono muoversi sul terreno del ricordo, della memoria e del
simbolico. Dacic ha ricordato che vi sono annunci che indicano
l’intenzione, da parte delle autorità cittadine, di erigere un
monumento in onore di Francesco Ferdinando a Sarajevo, aggiungendo
che questo potrebbe rappresentare una “sanzione” della revisione
della storia in atto e che deve essere evitato. Ha infine ricordato
che Gavrilo Princip e gli altri partecipanti ai fatti di Sarajevo non
erano solo serbi, ma membri del movimento jugoslavo, per l’unità
degli Slavi del Sud, che ha raccolto molti croati e molti musulmani.
Questo
è il motivo per cui è importante, per preservare una memoria
corretta e limpida degli eventi che hanno avuto luogo cento anni fa,
ricordare e illustrare i contenuti degli eventi e il reale
svolgimento dei fatti e trasferirli correttamente presso le più
giovani generazioni. Non va dimenticato che i serbi sono stati tra le
maggiori vittime nella prima guerra mondiale e hanno dovuto
affrontare, in quella circostanza, il peggior ultimatum che un Paese
abbia potuto, sino a quel momento, imporre a un altro Stato.
Le
maggiori potenze dell’epoca hanno preso parte all'aggressione alla
Serbia, e la Serbia avrebbe continuato a subire aggressioni a sfondo
imperialistico anche negli anni a seguire, come
dimostrano l’invasione e il bombardamento di Belgrado ad opera dei
Nazisti nel 1941, nel
corso della seconda guerra mondiale, e l’ultimatum di Rambouillet e
l’aggressione della NATO contro l’intera Serbia nel 1999, guerra
per la quale si stimano danni complessivi per oltre cento miliardi di
dollari. Per intendersi, l’intero Prodotto Lordo della Serbia, nel
2013, è di poco superiore ai quaranta miliardi di dollari.
Tutto
questo ovviamente non intende mettere in discussione la “buona
fede” di chi, animato sinceramente dalla volontà di offrire un
contributo fattivo alla promozione di un percorso internazionale di
pace e giustizia, ha inteso confermare la propria adesione
all’evento, tra cui, anche alcune associazioni italiane impegnate
sul tema della pace e della nonviolenza. È semmai il “combinato
disposto” dei detti, inaccettabili, presupposti e del susseguente,
preoccupante, panorama di supporter, a dare ragione a quanti,
giudicando inammissibile che attori poco limpidi o apertamente
compromessi con le politiche dominanti di guerra e di aggressione,
possano farla da protagonisti, ne hanno preso le distanze.
USAID
è il sostenitore e lo sponsor principale delle organizzazioni
bosniache che coordinano il processo; l’Open Society di George Soros
è tra i principali supporter e finanziatori di una ampia platea di
organizzazioni e fondazioni che sono sin dall’inizio nella rete dei
promotori dell’evento; alcuni tra i protagonisti hanno tra i propri
sponsor e supporter, sia a livello di organizzazioni sia a livello di
progetti, ambasciate
straniere non esattamente
indifferenti al passato
(storico e
recente) e al presente
della complessa vicenda di guerra dei Balcani,
tra cui l’Austria e in particolare la Francia e la Germania.
Quest’ultima,
come è stata il principale sponsor delle secessioni unilaterali che,
tra il 1991 e il 1992, hanno
inaugurato la stagione lunga e sanguinosa della disgregazione della
Jugoslavia, è
oggi il principale
finanziatore della
“cabina di
regia” istituzionale
che sovra-intende al complesso delle celebrazioni del centenario e
uno dei motori della
ridda di eventi che sono in cartellone al
2014.
Se tale è
l’inaugurazione di un nuovo
secolo all’insegna
di “pace
e
nonviolenza”,
c’è davvero poco
di cui nutrire speranza.
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