http://www.cnj.it/documentazione/gavrilo.htm |
Cari amici ed amiche del MIR,
vi ringrazio molto, personalmente, della vostra comunicazione. Mi sento, in via
preliminare, di unirmi a molti degli auspici che nella vostra lettera
(che si può leggere in scorrimento) sono contenuti:
in primo luogo, quale premessa di metodo,
quello ad evitare di addentrarsi in diatribe o polemiche
politico-storiografiche che necessiterebbero di sedi più adeguate
per potere essere sviluppate e rischierebbero di instradare la nostra
riflessione lungo un binario sterile o auto-compiaciuto; in secondo
luogo, quale proposta di merito, quello a concorrere con tutte le
riflessioni e le osservazioni che saremo in grado di elaborare a fare
maturare il confronto ed il dibattito tra le forze del movimento per
la pace e la nonviolenza.
Proprio
perché condivido tale premessa, se volete, “di metodo” e “di
merito” nello stesso tempo, il mio intervento a cui si fa
riferimento, dal titolo “Peace Event Sarajevo 2014: perché non
aderire”, non va letto in maniera politicistica o strumentale. Non
si tratta di un appello al boicottaggio, semplicemente di una
riflessione in merito all'opportunità di non aderire ad un evento
con i presupposti, il profilo e l'impostazione come quelli che stanno
evidentemente caratterizzando questa rassegna. Basti fare
riferimento, a titolo di esempio, al passaggio finale dell'articolo,
in cui appunto si sottolinea come «tutto
questo non intende mettere in discussione la “buona fede” di chi,
animato sinceramente dalla volontà di offrire un contributo fattivo
alla promozione di un percorso internazionale di pace e giustizia, ha
inteso confermare la propria adesione all’evento, tra cui, anche
alcune associazioni italiane impegnate sul tema della pace e della
nonviolenza. È semmai il “combinato disposto” dei detti,
inaccettabili, presupposti e del susseguente, preoccupante, panorama
di supporter, a dare ragione a quanti, giudicando inammissibile che
attori poco limpidi o apertamente compromessi con le politiche
dominanti di guerra e di aggressione possano farla da protagonisti,
ne hanno preso le distanze».
La ricapitolazione che l'articolo offre a tal proposito credo che sia
esaustiva e ripeterla in questa sede sarebbe senz'altro ridondante e
non aggiungerebbe altro.
Per questo,
mi sento, senza difficoltà alcuna, di poter confutare la
valutazione, molto “politica” peraltro, che viene avanzata in un
punto della lettera aperta in relazione al mio intervento, vale a
dire quello di “assumere acriticamente il punto di vista di una
sola parte, quella serba. E di questa prevalentemente il punto di
vista più istituzionale-governativo”. Anche in merito a questo
aspetto, basterebbe leggere l'intervento stesso, almeno nel passaggio
in cui si mette in evidenza come ciò (riferito all'impostazione
dell'evento ed alla lettura storiografica che vi retro-agisce) «è
bastato ad alienare all’organizzazione del “Sarajevo Peace Event
2014” il favore della gran parte della opinione pubblica serba, con
non pochi intellettuali che si sono assai negativamente espressi
contro l’operazione di falsificazione e di manipolazione che
sovrintende all’evento del 2014, e con lo stesso vertice politico e
istituzionale della Repubblica Serba di Bosnia …che ha prima
stigmatizzato la separazione ed il non coinvolgimento dei serbi di
Bosnia e quindi formalmente invitato i serbi di Bosnia a non aderire
e a non partecipare ad un evento di tale natura».
D'altro canto, anche la stampa internazionale ha, occasionalmente,
ospitato prese di posizione di intellettuali o personalità (non solo
quindi il mondo “istituzionale-governativo”) molto critiche o
contrarie al profilo dell'evento.
Ecco perché,
in definitiva, mi sembra mal impostata l'ambivalenza provocatoria tra
il “promuovere il dialogo” e il “boicottare iniziative solo
perché un governo non le vuole”: sia perché molte delle premesse
nell'impostazione stessa dell'evento mal si confanno all'intenzione
(o per lo meno rendono assolutamente illeggibile l'intenzione) di
“promuovere il dialogo”, appunto per il carattere unilaterale,
escludente e divisivo che tale percorso ha già nei fatti assunto,
sia perché le prese di posizione contrarie all'evento nella sfera
politico-istituzionale sono successive e non precedenti alle prese di
posizione, variamente critiche o contrarie, espresse da altri settori
dell'opinione pubblica e del mondo intellettuale, in particolare
serbi, ma, evidentemente, non solo. Per quanto mi riguarda, e con le
realtà che hanno già condiviso tale orientamento, non posso dunque
che confermare la non adesione all'evento di Sarajevo 2014, convinto,
in tal senso, che tra i ruoli dell'operatore di pace vi sia
sicuramente quello di contribuire a gettare ponti e valicare
frontiere, non certo quello di concorrere ad alimentare divisioni ed
ostilità. Auspicando quindi nuovi spunti e nuove sollecitazioni.
un caro
saluto di pace,
Gianmarco
Pisa
***
Caro
GianMarco,
abbiamo
letto il tuo intervento “Peace event Sarajevo 2014: perché non
aderire”, scritto su
http://www.cnj.it/documentazione/gavrilo.htm#gpisa e l’abbiamo
commentato durante il nostro consiglio nazionale tenutosi a Roma il
19,20 ottobre scorso.
Francamente
dobbiamo dirti che ci è dispiaciuto molto vedere questo appello a
boicottare l’evento di Sarajevo, su cui stiamo lavorando con altre
associazioni italiane e straniere da ormai 2 anni. Per questo abbiamo
voluto scrivere questa lettera aperta in cui cerchiamo di spiegare
perché secondo noi occorre aderire.
Partiamo da
una precisazione: l’evento di Sarajevo non vuole ricordare, né
celebrare alcunché. L’idea di un evento di pace è nata nel corso
di alcuni incontri tra associazioni nonviolente, prevalentemente
facenti capo al Mir internazionale e ai coordinamenti per il decennio
sull’educazione alla pace e alla nonviolenza, 2 anni fa, nel 2011.
Certamente l’ispirazione erano i saloni della pace di Parigi,
tenutisi fino al 2008, e sospesi per mancanza dei fondi di sostegno
pubblico (dunque come puoi ben vedere non ci sono ricchi “donatori”
dietro); sin dall’inizio l’idea era di realizzare un evento più
che un salone, ed un evento possibilmente aperto alla partecipazione
di associazioni e movimenti di base soprattutto dell’Est Europa,
solitamente assenti per complesse ragioni storico politiche. E si era
pensato ad una rosa di città candidate a ospitare questo evento: tra
queste Trieste, Berlino, Vienna, Budapest. Alla fine si optò per
Sarajevo proprio per il significato simbolico che tale città assume
nel 2014, in riferimento agli avvenimenti che portarono alla Grande
Guerra, oltre che perché questa città è stata teatro di quella che
al momento, e speriamo per sempre, è stata l’ultima guerra
combattuta in Europa.
Proprio
perché il 2014 ci saranno eventi celebrativi ed alla memoria di
quella che fu una tragica scelta per il mondo intero, si scelse
Sarajevo per raccontare un’altra storia, che da una parte si oppone
a quella come a tutte le altre guerre, dall’altra si proietta in un
futuro che vogliamo profondamente diverso e per cui ci battiamo: a un
secolo di guerre viste come soluzioni ai conflitti, vogliamo proporre
una via alternativa di interventi civili di pace: invitati tutti
coloro, che pur con errori e imperfezioni, talvolta con ingenuità,
provano sul campo questa alternativa. Sappiamo
benissimo che l’”incidente” (va bene chiamarlo così?) di
Sarajevo del 1914 è stato solo il pretesto per scatenare la prima
guerra mondiale, che ebbe tutt’altre cause che solo in parte
avevano a che fare con le questioni balcaniche; ciò è non solo ben
chiaro a noi, ma largamente accettato dalla storiografia sia
pacifista che non.
Noi non
vogliamo assolutamente addentrarci in discussioni politico
storiografiche, né vogliamo organizzare un simposio sulla prima
guerra mondiale.
Sappiamo
bene, anche, che certe ferite, quelle recenti delle guerre che tra il
1991 ed il 1999 hanno accompagnato il disfacimento della Jugoslavia,
non certo quelle di 100 anni fa, sono tuttora profonde da quelle
parti, e sono ancora aperte e “sanguinanti”. E’ possibile che
chi sta preparando l’evento di Sarajevo non si sia reso pienamente
cosciente di quanto, anche una semplice parola al posto di un’altra,
possa provocare diffidenze e riaccendere risentimenti. Compito però
dei pacifisti in generale e dei nonviolenti in particolare, in
occasioni come queste, dovrebbe essere quello di gettare ponti, non
di lasciarsi avviluppare dalle contese nazionalistiche locali, come
invece si evince dal tuo intervento, che sembra assumere
acriticamente il punto di vista di una sola parte, quella serba. E di
questa prevalentemente il punto di vista più
istituzionale-governativo. Il tuo intervento è ospitato tra
l’altro, in un sito Web che non mi sembra molto alla ricerca di
dialogo.
Se tu,
grazie anche al fatto di lavorare con organizzazioni di società
civile serbe, hai rilevato alcuni errori, che, nella preparazione
dell’evento di Sarajevo 2014, possano essere discriminanti nei
confronti dei Serbi, o di qualunque altra parte, è giusto che tu lo
faccia presente. Ed è auspicabile che porti questa tua sensibilità
al servizio della preparazione di quest’evento; proprio perché
l’intenzione è di favorire un confronto tra tutte le realtà che
si richiamano alla pace e, possibilmente, alla nonviolenza. Ci
chiediamo infatti quale sia il ruolo degli operatori di pace: quello
di promuovere il dialogo o quello di boicottare iniziative solo
perché un governo non le vuole?
Sperando che
questa nostra possa servire a riprendere una collaborazione e che si
porti in quelle terre martoriate un messaggio di pace, ti inviamo un
caro saluto
Il consiglio
nazionale del MIR