Foto di Gémes Sándor/SzomSzed |
Quando si dice di ripudiare la guerra e di accogliere le persone, e di fare le due cose insieme, non si intende solo tenere connesse, indissolubilmente, la necessaria opposizione alla guerra e la altrettanto necessaria salvezza delle vite umane, ma si vuole anche salvaguardare un vero e proprio tratto di civiltà, impedendo all’Europa, prima ancora che all’Unione Europea, di precipitare nuovamente negli abissi più profondi della sua storia, e all’Unione Europea stessa di implodere nei gorghi di una spirale fatta di governo neo-liberale e neo-liberista dei processi economici e dei fenomeni migratori.
L’approccio che l’Unione Europea – in primo luogo l’assenza di visione politica da parte della Commissione Europea e l’assenza di visione strategica da parte delle singole leadership nazionali – ha seguito e continua a seguire, nel governo della questione migratoria, resta del tutto deludente, prospetticamente debole, strategicamente inefficace: si continua cioè, come sembra più che lampante da tutti i passaggi più recenti, a non avere una visione “mediterranea” dell’Europa, a non costruire una “linea” di relazione con le sponde Sud ed Est, a trattare le migrazioni come emergenza ormai più che strutturale, anziché come grande questione e fenomeno storico del tempo presente.
È a questo non-approccio e a questa non-visione che si aggrappano anche i termini dell’accordo UE-Turchia sulla gestione dei flussi migratori in provenienza da quel Paese. La portata dell’accordo viene ridotta ad una misura “temporanea e straordinaria”; il principio di riferimento nella gestione dei flussi è quello del “respingimento”, al punto da manipolare i termini ed i criteri del diritto umanitario internazionale pur di farvi in qualche modo rientrare il programma di rientri pattuito; ed il criterio ispiratore è quello della “segregazione” delle persone: da una parte i migranti cosiddetti economici saranno respinti in massa (adottando il criterio “uno per uno”: per ogni siriano rientrato in Turchia, un altro siriano sarà portato dalla Turchia nella Unione Europea); dall’altra i destinatari di protezione internazionale, che potranno fare domanda di asilo politico in Grecia, saranno accuratamente “selezionati” (se la domanda non sarà presentata, per qualsiasi motivo, o la domanda sarà ritenuta irricevibile, per un qualsiasi motivo, anche i profughi saranno, pertanto, respinti).
Vi sarà un piano di reinsediamento, su base volontaria; vi sarà assistenza da parte della UE nei confronti della Turchia per rendere operativa ed effettiva, oltre che efficace, questa procedura; si garantiscono 3 miliardi alla Turchia e se ne promettono altri, fino ad un massimo di altri 3 miliardi, entro la fine del 2018, per svolgere il compito; si decide persino di aprire un nuovo capitolo del negoziato di adesione della Turchia all’Unione Europea (per la precisione il capitolo 33, quello inerente le cosiddette “Disposizioni Finanziarie e di Bilancio”, per valutare la compatibilità del quadro di finanza pubblica e di bilancio generale del candidato col cosiddetto acquis comunitario).
Come se d’un tratto fosse scomparsa dalla visuale dei leader di questa UE la realtà dei fatti quale essa è: la Turchia, da campo degli orrori che si consumano nei suoi campi profughi e lungo i suoi confini Sud e Sud Est, diventa un “Paese terzo sicuro” per consentire i rimpatri; da Paese autoritario – perfino liberticida in talune sue espressioni – rinnovato candidato alla adesione alla UE. Abbiamo purtroppo smesso di meravigliarci per l’incapacità di questa Europa di corrispondere all’umanità che sarebbe necessaria e ai diritti umani e alla pace positiva di cui ci sarebbe bisogno oggi più che mai. Non di meno è la concatenazione “logica” a lasciare di stucco: il punto di partenza sembra essere sempre più quello di un approccio di comando alla crisi e di liberarsi di uomini e donne indesiderati.
Se il punto di partenza, come sarebbe necessario, fosse quello di salvare vite, tutelare i più deboli, i più fragili, i più esposti, e privilegiare, sempre e comunque, i diritti umani degli uomini e delle donne, il percorso politico sarebbe tutt’altro: diplomazia e cooperazione; tutela scrupolosa del diritto di asilo e della protezione umanitaria; canali umanitari sicuri per liberare le persone dal traffico delle migrazioni e tutelare condizioni di esistenza basate sulla dignità e sui diritti di tutti e di tutte.
Un contributo in tale direzione viene, non a caso, dalle donne: qui. Appunto, per “restare umani”.
Nessun commento:
Posta un commento