Il Ponte sulla Drina, Visegrad, by Luigi Torreggiani |
«Sono iniziative che non vanno a
vantaggio di Sarajevo, né dei sarajevesi, e che hanno riaperto una
battaglia tra di noi, su Gavrilo Princip. Adesso, per una metà dei
bosniaci, Princip è un terrorista, per l'altra metà è un eroe. Che
bisogno avevamo ora di discutere di queste cose? Abbiamo un Paese, la
Bosnia Erzegovina, completamente distrutto: non funziona, non esiste.
E i politici europei verranno qui per
una settimana sorridenti, con i palloncini colorati, con le grandi
dichiarazioni, a ricordare l'amore dell'Europa per Sarajevo ed i
principi europei. Si tratta di un incredibile cinismo: se c'è un
luogo dove i principi europei vengono abbandonati, questo è
Sarajevo. Queste “celebrazioni” non sono altro che una occasione
meravigliosa per lavarsi la coscienza, per organizzare qualcosa di
positivo, per una grande festa, in un momento in cui la situazione
europea è drammatica, con la guerra sempre più presente, l'estrema
destra sempre più forte ed il progressivo abbandono degli ideali di
libertà e cosmopolitismo».
Ripresa dalla stampa internazionale,
l'intervista a Zlatko Dizdarević, intellettuale, scrittore,
ambasciatore in passato di Bosnia Erzegovina in Medio Oriente,
cittadino di Sarajevo, è, al tempo stesso, un invito alla
riflessione ed un monito doloroso, contro il cinismo o il
protagonismo, di quanti, sul fronte politico o sociale, si apprestano
a “commemorare”, nelle celebrazioni istituzionali o in
controverse kermesse come il “Peace Event” del prossimo giugno, i
cento anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Se le
celebrazioni sono un modo, più o meno avvertito, di “lavarsi la
coscienza” o “piantare una bandiera” in un certo segmento
politico o sociale, l'invito alla riflessione sulla memoria, la sua
funzione e il suo uso, diventa ancora più esigente ed impegnativo.
Il tema della “memoria”, ai fini del lavoro di pace è, infatti,
decisivo. Nella misura in cui i poteri cercano di dominare il
presente per condizionare il futuro, è il passato l'unico terreno
davvero a disposizione dell'uso e dell'abuso, della manipolazione e
ricostruzione della memoria, funzionale a ridefinire un'immagine di
presente o legittimare una certa “narrazione”.
Nei luoghi del post-conflitto, questo
esercizio si fa persino scoperto e, per certi aspetti, ancora più
cattivo. Prendiamo il caso della narrazione della storia. I
sostenitori delle diverse kermesse che si moltiplicheranno a
Sarajevo, più volte hanno dichiarato non essere loro intenzione di
fare della “storiografia” sulle cause della guerra e sulla figura
di Gavrilo Princip. Il giudizio, negativo e “di parte”, su questa
figura è tuttavia men che implicito sin nella piattaforma del Peace
Event, almeno laddove si dichiara che lo scoppio della Prima Guerra
Mondiale “fu innescato dall'assassinio dell'erede al trono
austro-ungarico, a Sarajevo, il 28 Giugno 1914”. Tale giudizio è
“di parte” almeno nella misura in cui corrisponde esattamente
alla narrazione storica di una sola delle parti in causa. Persino i
libri di testo scolastici, nella Bosnia musulmana, parlano del colpo
di Sarajevo come di un “assassinio” o di un “attentato”, di
Gavrilo Princip come di un “terrorista”, del suo movimento
irredentista, la “Giovane Bosnia”, come di un gruppo terroristico
o pan-serbo, talvolta, perfino come una Al Qaeda ante litteram.
In un'altra intervista, Nenad Šebek,
direttore del Centro per la Democrazia e la Riconciliazione nel
sud-est Europa, spiega con chiarezza che «in Serbia sopravvive la
vecchia narrazione della ex Jugoslavia in cui si sostiene che la
Prima Guerra Mondiale è avvenuta perché è esistito un grande eroe
di nome Gavrilo Princip: ha ucciso l'Arciduca Francesco Ferdinando,
che rappresentava la personificazione delle forze occupanti
dell'Austria-Ungheria, poi l'Austria-Ungheria e l'Impero Tedesco
hanno invaso la Serbia ed i Serbi hanno combattuto e sofferto durante
la guerra pur essendo “dalla parte della ragione”». Meno
approssimativamente, la storiografia ufficiale, nella Bosnia serba ed
in Serbia, sostiene che la causa generale della Prima Guerra Mondiale
è stata quella che potremmo definire la “contraddizione
inter-imperialistica”, “la lotta tra le grandi potenze per il
controllo economico ed il dominio politico in Europa”, per cui
l'Austria-Ungheria ha “utilizzato” l'assassinio di Sarajevo come
pretesto per la guerra. Una narrazione, tra l'altro, più nota e
frequente, tra quelle meno strumentali, anche dalle nostre parti.
Se la coltivazione di una memoria
nazionale, attraverso la narrazione di una memoria collettiva (tra le
varie e diverse che abitano una determinata comunità), è un
esercizio frequente presso i poteri costituiti, la contrapposizione
delle memorie è sempre un esercizio di violenza, uno strumento di
esclusione e di separazione, un comodo alibi intellettuale o un vero
e proprio effetto di guerra. A Sarajevo, oggi, la contrapposizione è
fisica, non solo nello spazio geografico delle due entità (la
Federazione Croato-Bosniaca e la Repubblica Serba di Bosnia), ma
anche nell'esercizio della memoria storica. Come ha dichiarato in
un'altra intervista il sindaco della Sarajevo Serba (Istočno
Sarajevo), Nenad Samardzija, «una volta vivevamo tutti nello stesso
Stato, la Jugoslavia, e non abbiamo mai guardato ai fatti del 28
Giugno 1914 come ad un atto terroristico, come alcuni cercano di fare
oggi. Abbiamo guardato a quello come ad un movimento, soprattutto di
giovani, che volevano liberarsi dal dominio coloniale». Non a caso,
i Serbi (e non solo), che hanno disertato la celebrazione sarajevese,
ricorderanno la catastrofe del 1914 con altre iniziative, intorno a
Višegrad, la città resa famosa da Ivo Andric e dal suo Ponte sulla
Drina.
L'articolo rappresenta il testo del
contributo alla XX edizione della “Marcia della Pace” promossa
dalla Città di Napoli in collaborazione con l'UNICEF, il 22 Maggio,
in occasione della “Giornata Ecumenica Internazionale per la Pace”.
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