ZhengZhou, CC BY-SA 3.0, commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=38588191 |
Convocata con il duplice obiettivo di rappresentare contenuti di analisi e documentazione utili per animare e rilanciare iniziativa sulle grandi questioni della lotta contro la guerra e per la pace, e di consolidare relazioni e convergenze nell’ottica di fare rete e promuovere unità tra le diverse realtà della variegata galassia pacifista, antimilitarista e nonviolenta, l’assemblea online “Fermiamo la Guerra!” (27 marzo) è stata un’occasione preziosa, in questo tempo difficile, per fare il punto e rilanciare proposte di attivazione.
L’assemblea ha illustrato i contenuti di una recente, importante, elaborazione collettiva, vale a dire il Dossier “Fermiamo la Guerra”, cui hanno contribuito, insieme, le reti e i comitati dell’antimilitarismo napoletano e campano, vale a dire il Comitato di lotta per la Salute Mentale - Napoli, il Comitato BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni contro Israele) Campania, il Comitato Pace, Disarmo e Smilitarizzazione del Territorio - Campania, la Campagna «Napoli Città di Pace», e la Rete Contro la Guerra e il Militarismo.
Non si tratta solo di una raccolta di contenuti di analisi e documentazione su militarismo, complesso militare industriale e dinamica delle spese e degli investimenti militari, nel nostro Paese e non solo, ma anche di uno strumento di rete e di iniziativa - come indica l’opuscolo - per riprendere «la mobilitazione per contrastare il crescente militarismo», per opporsi «alla militarizzazione dei territori diventata ancora più invasiva con i lockdown» e per contrastare «questo sistema basato sullo sfruttamento dell’essere umano e della natura».
L’opuscolo è quindi uno strumento analitico e pratico «contro la guerra e per la pace» e nasce (anche) dall’esigenza di creare convergenza e superare frammentazione, uno dei problemi di lunga data dell’universo, complessivamente inteso, in tutte le sue articolazioni, antimilitarista, pacifista e nonviolento, ribadendo l’importanza dell’impatto politico e, pertanto, del creare, al tempo stesso, unità e movimento. Gli attivisti e le attiviste delle reti coinvolte provengono da diverse esperienze e da diversi retroterra, cristiani, marxisti, pacifisti, antimilitaristi, nonviolenti, ma ciò non ha rivelato, per quanto complesso, impossibile giungere ad una riflessione condivisa e ad una elaborazione congiunta che si è tradotta in questa redazione collettiva.
«Tutto è interconnesso»: la correlazione tra capitalismo, militarismo e patriarcato è un luogo fondamentale del pensiero delle donne e dei movimenti per l’alternativa e a una figura storica del socialismo europeo, Jean Jaurès, si deve la celebre affermazione per la quale «il capitalismo porta la guerra come le nuvole portano la tempesta». Come richiamato nel dossier, «questo sistema permette al 10% della popolazione mondiale di consumare il 90% dei beni prodotti: un mondo dove i pochi ricchi diventano straricchi a spese di miliardi di impoveriti. Secondo i dati delle Nazioni Unite, due miliardi di persone soffrono di insicurezza alimentare. [...]
«Duemila super-ricchi detengono una ricchezza superiore a quella posseduta da 4.5 miliardi di impoveriti e 3.8 miliardi di questi devono accontentarsi dell’1% della ricchezza». Solo in relazione alle spese militari del nostro Paese, citando il dossier, «la manovra finanziaria per il 2021 ... ha destinato al bilancio della difesa ben 24.5 miliardi € (+ 6.9% sul 2020). Di questi ca. 4.3 miliardi dedicati all’ammodernamento e al rinnovo dello strumento militare». Inoltre, «l’Italia è il nono esportatore mondiale di armi e copre il 2.1% delle esportazioni globali».
Oggi, nel quadro del «governo della pandemia», il dispositivo militare è giunto ad attraversare ambiti sempre più vari della scena pubblica, dalla logistica alla sanità, passando per il controllo del territorio; ed è militare il vertice della struttura «per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19 e per l’esecuzione della campagna vaccinale nazionale». Una impostazione che, com’è ben noto, non ha mancato di sollevare, da più parti, critiche e interrogativi.
Ciò riporta alle basi materiali e, in definitiva, al modello di sviluppo: non c’è pacifismo che non sia collegato alla iniziativa ecologista e al conflitto sociale. Il pacifismo, cioè, come «parte di un ciclo di protesta più ampio di cui il movimento per i diritti civili, il movimento studentesco, il movimento delle donne e quello ambientalista costituivano altri, importanti, elementi». L’opuscolo richiama «gli effetti devastanti della guerra e degli apparati militari sull’ambiente e sull’integrità degli ecosistemi. [...] Il solo consumo di carburante nelle guerre USA «antiterrorismo», dal 2011 al 2017, è costato, in termini di emissioni, ben 1.2 miliardi di tonnellate di gas serra».
E, sotto il profilo sociale, i fattori di accumulazione legati al complesso militare-industriale si impongono «non come devianza accidentale dell’ordine costituito, bensì come un derivato inevitabile della organizzazione sociale e produttiva della realtà in cui viviamo». Per questo, non si tratta solo di dare sostanza allo slogan: meno spese militari - più spese sociali e sanitarie; si tratta anche di partire proprio da queste parole d’ordine per immaginare e sperimentare un diverso modello di sviluppo libero dallo sfruttamento e dalla guerra.
L’assemblea ha illustrato i contenuti di una recente, importante, elaborazione collettiva, vale a dire il Dossier “Fermiamo la Guerra”, cui hanno contribuito, insieme, le reti e i comitati dell’antimilitarismo napoletano e campano, vale a dire il Comitato di lotta per la Salute Mentale - Napoli, il Comitato BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni contro Israele) Campania, il Comitato Pace, Disarmo e Smilitarizzazione del Territorio - Campania, la Campagna «Napoli Città di Pace», e la Rete Contro la Guerra e il Militarismo.
Non si tratta solo di una raccolta di contenuti di analisi e documentazione su militarismo, complesso militare industriale e dinamica delle spese e degli investimenti militari, nel nostro Paese e non solo, ma anche di uno strumento di rete e di iniziativa - come indica l’opuscolo - per riprendere «la mobilitazione per contrastare il crescente militarismo», per opporsi «alla militarizzazione dei territori diventata ancora più invasiva con i lockdown» e per contrastare «questo sistema basato sullo sfruttamento dell’essere umano e della natura».
L’opuscolo è quindi uno strumento analitico e pratico «contro la guerra e per la pace» e nasce (anche) dall’esigenza di creare convergenza e superare frammentazione, uno dei problemi di lunga data dell’universo, complessivamente inteso, in tutte le sue articolazioni, antimilitarista, pacifista e nonviolento, ribadendo l’importanza dell’impatto politico e, pertanto, del creare, al tempo stesso, unità e movimento. Gli attivisti e le attiviste delle reti coinvolte provengono da diverse esperienze e da diversi retroterra, cristiani, marxisti, pacifisti, antimilitaristi, nonviolenti, ma ciò non ha rivelato, per quanto complesso, impossibile giungere ad una riflessione condivisa e ad una elaborazione congiunta che si è tradotta in questa redazione collettiva.
«Tutto è interconnesso»: la correlazione tra capitalismo, militarismo e patriarcato è un luogo fondamentale del pensiero delle donne e dei movimenti per l’alternativa e a una figura storica del socialismo europeo, Jean Jaurès, si deve la celebre affermazione per la quale «il capitalismo porta la guerra come le nuvole portano la tempesta». Come richiamato nel dossier, «questo sistema permette al 10% della popolazione mondiale di consumare il 90% dei beni prodotti: un mondo dove i pochi ricchi diventano straricchi a spese di miliardi di impoveriti. Secondo i dati delle Nazioni Unite, due miliardi di persone soffrono di insicurezza alimentare. [...]
«Duemila super-ricchi detengono una ricchezza superiore a quella posseduta da 4.5 miliardi di impoveriti e 3.8 miliardi di questi devono accontentarsi dell’1% della ricchezza». Solo in relazione alle spese militari del nostro Paese, citando il dossier, «la manovra finanziaria per il 2021 ... ha destinato al bilancio della difesa ben 24.5 miliardi € (+ 6.9% sul 2020). Di questi ca. 4.3 miliardi dedicati all’ammodernamento e al rinnovo dello strumento militare». Inoltre, «l’Italia è il nono esportatore mondiale di armi e copre il 2.1% delle esportazioni globali».
Oggi, nel quadro del «governo della pandemia», il dispositivo militare è giunto ad attraversare ambiti sempre più vari della scena pubblica, dalla logistica alla sanità, passando per il controllo del territorio; ed è militare il vertice della struttura «per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19 e per l’esecuzione della campagna vaccinale nazionale». Una impostazione che, com’è ben noto, non ha mancato di sollevare, da più parti, critiche e interrogativi.
Ciò riporta alle basi materiali e, in definitiva, al modello di sviluppo: non c’è pacifismo che non sia collegato alla iniziativa ecologista e al conflitto sociale. Il pacifismo, cioè, come «parte di un ciclo di protesta più ampio di cui il movimento per i diritti civili, il movimento studentesco, il movimento delle donne e quello ambientalista costituivano altri, importanti, elementi». L’opuscolo richiama «gli effetti devastanti della guerra e degli apparati militari sull’ambiente e sull’integrità degli ecosistemi. [...] Il solo consumo di carburante nelle guerre USA «antiterrorismo», dal 2011 al 2017, è costato, in termini di emissioni, ben 1.2 miliardi di tonnellate di gas serra».
E, sotto il profilo sociale, i fattori di accumulazione legati al complesso militare-industriale si impongono «non come devianza accidentale dell’ordine costituito, bensì come un derivato inevitabile della organizzazione sociale e produttiva della realtà in cui viviamo». Per questo, non si tratta solo di dare sostanza allo slogan: meno spese militari - più spese sociali e sanitarie; si tratta anche di partire proprio da queste parole d’ordine per immaginare e sperimentare un diverso modello di sviluppo libero dallo sfruttamento e dalla guerra.
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