Michael Büker, CC BY SA 3.0, Wikimedia Commons, id.6405664 |
Le tappe della tragedia di Srebrenica sono ben note.
Dal 16 Aprile 1993, la Risoluzione 819 rafforza la presenza del peace-keeping
militare delle Nazioni Unite nelle città e nelle aree limitrofe; dal 6 Maggio
1993, la Risoluzione 824 istituisce le «zone protette» nell’area di Sarajevo,
Tuzla, Žepa, Goražde, Bihać e Srebrenica; dal 4 Giugno 1993, la Risoluzione 836
autorizza l’uso della forza per la scorta degli aiuti umanitari e la difesa
delle «zone protette» in Bosnia.
Sebbene delimitata e demilitarizzata dopo gli
scontri che già vi si erano registrati tra il 1992 e 1993 e dopo la
promulgazione delle Risoluzioni ONU, le milizie bosniaco-musulmane, sotto il
comando di Naser Orić, continuavano a tenere armi all’interno della zona
protetta a dispetto di quanto sancito dall’accordo di cessate il fuoco: le
rappresaglie e le stragi da questi ordinate contro i villaggi serbo-bosniaci,
tra le quali l’eccidio di Kravica, nella notte del 7 Gennaio 1993, in occasione
del Natale Ortodosso, assunsero il carattere di una vera e propria pulizia
etnica, con stime che, a seconda delle fonti, variano tra i 705 e i 3.200
serbo-bosniaci uccisi tra il 1992 e il 1995.
Se rispondeva al fine di sfollare
le enclavi musulmane nel territorio a maggioranza serba della Bosnia Orientale,
l’eccidio di Srebrenica maturò anche come reazione alle stragi precedenti da
parte bosniaca musulmana e si inscrive nella logica perversa della campagna
contrapposta di pulizia e contro-pulizia etnica. L’esercito serbo-bosniaco,
sotto il comando di Ratko Mladić, entrava in città l’11 Luglio 1995. I morti furono
migliaia, le cifre stimano le vittime tra le 3.568 (delle perizie analitiche
dell’ICTY al 2001) e le 8.372 (dell’elenco del Memoriale di Potočari al 2015),
la gravità dei fatti è innegabile. L’insieme degli eventi e la pulizia etnica
avente epicentro a Srebrenica restano, senza dubbio, tra le pagine più
sconvolgenti del nostro tempo.
Nel giro di sei mesi, la guerra di Bosnia
finisce e comincia la lunga stagione, non ancora conclusa, della «pace fredda»
e della «costituzionalizzazione» dei rapporti sul campo, sia in termini di
acquisizioni territoriali, sia in termini di separazione in entità mono-etniche
autonome. L’accordo, stipulato a Dayton (Ohio) il 21 Novembre 1995, sancisce
l’intangibilità delle frontiere esterne sulla linea di confine fra le repubbliche
ex-jugoslave e la divisione interna della Bosnia (BiH) in due entità distinte:
la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (51% del territorio, 10 cantoni e 92
municipalità) e la Republika Srpska (49% del territorio, 7 regioni e 63
municipalità), al cui interno si staglia il distretto autonomo di Brčko. Le due
entità sono entità statali a tutti gli effetti, dotate di poteri autonomi,
salvo la politica estera, la difesa e la moneta.
Nel 2015, in occasione del
ventennale, nella seduta convocata per commemorare il ventesimo anniversario
delle uccisioni e della pulizia etnica di Srebrenica, il Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite respinge, con il voto contrario della Russia, una
risoluzione, fortemente promossa soprattutto dalla Gran Bretagna, con
l’obiettivo di sottolineare che i tragici eventi
potevano e dovevano essere qualificati come “genocidio”, definizione, nel caso
di Srebrenica, controversa, e come prerequisito per la riconciliazione
nazionale in Bosnia Erzegovina; nonché al fine di riaffermare l’importanza
delle lezioni apprese dai limiti mostrati dalle Nazioni Unite nel prevenire
l’eccidio e la sua determinazione ad adottare azioni efficaci per prevenire il
ripetersi di tragedie di tale natura attraverso i mezzi a propria disposizione.
Significativa la motivazione addotta dal rappresentante russo in Consiglio,
Vitaly Churkin, che rimarcava come la Russia abbia sempre «chiesto indagini sui
crimini commessi contro tutte le comunità etniche durante il conflitto nei
Balcani. Il mondo ha l’importante compito di costruire pace, riconciliazione e
stabilità nella regione ricordando il processo di pace di Dayton. La Russia
accetta una risoluzione commemorativa basata sull’esigenza di andare avanti.
Tuttavia, il progetto britannico è stato presentato in modo da cercare di
attribuire la colpa a una sola comunità. Il popolo della Bosnia Erzegovina - e non solo - ha reagito
alla bozza in modo molto doloroso.
«Il ruolo del Consiglio è di rafforzare la
pace e la sicurezza internazionali; lasciare quindi che gli storici giudichino
gli eventi e che i tribunali emettano i verdetti. L’adozione di un documento
distruttivo, in un momento simile, sarebbe controproducente, con ciò invitando
i proponenti a non metterlo ai voti. Altrimenti, la Russia sarebbe stata
obbligata a votare contro. Tale posizione, tuttavia, non sminuisce in alcun
modo la sensibilità del Paese nei confronti del dolore delle vittime».
Esattamente la tesi strumentalmente sostenuta, invece, dalla rappresentante
USA, Samantha Power, per la quale sarebbe opportuno paragonare «i negazionisti del genocidio di Srebrenica ai negazionisti dell’Olocausto,
poiché il rifiuto di riconoscere tali crimini non solo ferisce le
vittime, ma la riconciliazione stessa». Una vera e propria “strumentalizzazione”
delle vittime, di tutte le vittime, della guerra di Bosnia.
Nessun commento:
Posta un commento