Il Museo della Memoria "21 Ottobre" di Kragujevac, in Serbia. Il Museo commemora uno dei più tragici eccidi nazisti commessi nel territorio della ex Jugoslavia, quando, tra il 18 e 21 ottobre, 1941, tremila persone, tra cui perfino bambini rastrellati dalle scuole, furono sterminati nell'area. All'ingresso compare uno dei momumenti del parco, le tre "Sudjaje", figura tipica della mitologia slava, corrispondenti alle "Parche" della mitologia classica e romana, le divinità che sovrintendono alla nascita e tessono il destino degli uomini, rappresentano, all'ingresso del "memorial park", il destino delle persone qui commemorate.
Anche quest'anno, come di consueto, tra le varie città impegnate, anche a Napoli si è “celebrata” la ricorrenza della Giornata della Tolleranza, lo scorso 16 Novembre. Declinata quest'anno nel senso di una vera e propria “Giornata della Tolleranza e dell'Accoglienza”, essa è stata, in effetti, molto più di una mera “celebrazione” o “commemorazione”, bensì, alla fine, si è trasformata in una bella e partecipata occasione di confronto e di dialogo, appassionato e orizzontale, sui grandi temi che dilaniano le nostre coscienze e che impegnano il nostro agire: conflitti, migrazioni, esclusioni.
Grazie all'impegno profuso dalle associazioni coinvolte, in primis l'IPRI (Istituto Italiano di Ricerca per la Pace) - Rete CCP (Corpi Civili di Pace), l'Associazione “Culture e Memorie - Lidia Menapace”, e l'Associazione ospitante, “Sisto Riario Sforza”, con il supporto del Consolato Generale a Napoli della Repubblica Bolivariana del Venezuela, il pomeriggio e la serata, trascorsi insieme, nella splendida cornice della Chiesa di San Tommaso a Capuana, nel cuore del Centro Antico, Patrimonio UNESCO, della Città di Napoli, si sono rivelati un'occasione utile per “onorare”, senza dubbio, i contenuti della Dichiarazione UNESCO, ma anche per rilanciare ulteriori energie ed impegni.
Proprio dall'UNESCO, infatti, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Istruzione, la Scienza e la Cultura, è partita, ormai più di venti anni fa, la iniziativa della “Dichiarazione sul Principio di Tolleranza”, che l'organizzazione ha adottato in occasione della Conferenza Generale del 16 Novembre 1995, e con la quale essa ha inteso ed intende lanciare un richiamo, un monito e una chiamata all'impegno, tanto alle autorità quanto ai popoli, ad agire e mobilitarsi per gli ideali e i valori della convivenza: una convivenza declinata in senso attivo, fonte di eguaglianza e inclusione.
Non a caso, infatti, come recita in Preambolo, «l’attuale crescita dell’intolleranza, della violenza, del terrorismo, della xenofobia, del nazionalismo aggressivo, del razzismo, dell’antisemitismo, dell’esclusione, della emarginazione e della discriminazione, nei confronti delle minoranze nazionali, etniche, religiose e linguistiche, dei rifugiati, dei lavoratori e dei migranti, degli immigrati e dei gruppi vulnerabili», nonché «l’aumento degli atti di violenza e di intimidazione ai danni di persone che esercitano la propria libertà di opinione e di espressione» costituiscono comportamenti «che minacciano il consolidamento della pace e della democrazia, sia a livello nazionale, sia a livello internazionale, e che costituiscono altrettanti ostacoli allo sviluppo». Sin dall'inizio, cioè, sono individuati esplicitamente, nei grandi e tragici capitoli della discriminazione, del fanatismo, dell'intolleranza, dell'antisemitismo e del razzismo, i mali che, tra gli altri, alimentano conflitti e segregazioni e attraversano imperiosamente il nostro tempo, imponendo una risposta civile e sociale.
Ma non c'è solo questo: c'è, in particolare, da attrezzare una risposta, che non può non basarsi sul terreno educativo, della formazione delle giovani generazioni e della maturazione delle coscienze, e non può, al tempo stesso, non alimentarsi di percorsi effettivi e concreti di eliminazione delle diseguaglianze e di contrasto alla povertà in tutte le sue forme, nella consapevolezza, ribadita peraltro anche da numerosi passaggi della conferenza in S. Tommaso, che la pace non possa essere declinata come un ideale irenico e astratto, né possa limitarsi alla sola, fin troppo comoda e funzionale, «assenza della guerra», ma debba essere invece declinata in una maniera più completa ed esigente, come costruzione di relazioni sociali improntate alla libertà e alla giustizia, insieme, come superamento delle condizioni materiali e sociali che alimentano la separazione nelle nostre società, come occasione, e cioè in positivo, di «pace positiva», di costruzione attiva della pace.
Lo ribadisce, in un passaggio successivo, ancora la Dichiarazione, quando puntualizza che non si può intendere il “principio di tolleranza” come “concessione”, “accondiscendenza”, “compiacenza”; bensì sottolinea, all'art. 1, che «la tolleranza è un atteggiamento attivo, animato dal riconoscimento dei diritti universali della persona umana e delle libertà fondamentali dell’altro. In nessun caso la tolleranza potrà essere invocata per giustificare attentati a tali virtù fondamentali». In questo senso, attivo, essa può porsi a fondamento delle società democratiche e pluralistiche e concorrere alla prevenzione della violenza e alla costruzione di un ordine fondato appunto su “pace con giustizia”.
Poco più avanti, entrando maggiormente nel concreto, nell'art. 4, la Dichiarazione sancisce inoltre l'impegno «a realizzare programmi di ricerca nell’ambito delle scienze sociali e di educazione alla tolleranza, ai diritti umani e alla non-violenza. È necessario accordare maggiore attenzione al miglioramento della formazione degli insegnanti, dei programmi di insegnamento, del contenuto dei manuali e di altri tipi di materiale pedagogico, incluse le nuove tecnologie, per formare cittadini solidali e responsabili, aperti alle altre culture, capaci di apprezzare il valore della libertà, rispettosi della dignità degli esseri umani e delle loro differenze e capaci di prevenire i conflitti».
Difficile, pertanto, declinare la “tolleranza” senza il “conflitto”: conflitto che sia occasione di sviluppo e di progresso, di crescita e di maturazione di rapporti sociali più liberi e più giusti, insieme, e che, pertanto, non può e non deve degenerare in violenza catastrofica o distruttiva, ma semmai aprire orizzonti di autentica trasformazione sociale. Questo aspetto ha, in fondo, legato tra di loro le due comunicazioni di apertura, del pomeriggio in S. Tommaso a Capuana, a cura di Modestino Caso e di Gianmarco Pisa, quando è stato messo l'accento, ricordando l'impegno della Associazione “Sisto Riario Sforza”, sull'esigenza di rispondere fattivamente ai bisogni degli ultimi della società e di contrastare la povertà dilagante, non solo nelle periferie, ma, ormai, sempre più drammaticamente fin nel cuore dei centri urbani delle nostre metropoli capitalistiche (l'Associazione ospita, tra l'altro, anche un centro di ascolto e di supporto ed uno studio medico per i più poveri).
O quando è stata richiamata all'attenzione la minaccia della guerra, che, attraversando imperiosa il Mediterraneo, entra sempre più drammaticamente nelle porte di casa, alimentando le migrazioni dal Sud e dall'Est, contribuendo alla militarizzazione dei nostri territori e del nostro spazio pubblico, drenando risorse e radicalizzando la povertà (si è fatto riferimento, tra gli altri, al progetto PRO.ME.T.E.O., «PROductive MEmories to Trigger and Enhance Opportunities», in corso di svolgimento in alcuni territori della ex Jugoslavia, in particolare in Kosovo, dove il tema della “memoria collettiva” e quello dei “luoghi della memoria” possono diventare non solo occasione di riappropriazione ma anche terreno di convivenza, opportunità di reciprocità e di inclusione sociale).
Uno degli spunti del confronto è stata, infatti, anche la presentazione del volume, anch'esso legato ai percorsi costruttivi di articolazione di iniziative e di corpi civili di pace in Kosovo (iniziative sociali, non governative, per la prevenzione della violenza e la trasformazione dei conflitti), dal titolo La Pagina in Comune, pubblicato per i tipi di “Ad Est dell'Equatore”, in cui i due piani, infatti, si intersecano e si combinano: le eredità e le conseguenze dei tragici conflitti nei Balcani e in particolare della guerra del Kosovo (1999), la dinamica e le iterazioni del meccanismo della povertà e della separazione, che ancora attraversano la regione, come hanno messo in evidenza anche i contributi al dialogo delle professoresse Rosanna Morabito e Armida Filippelli, laddove la guerra, lungi dal risolvere i problemi, prevenire le violazioni dei diritti umani, impedire una catastrofe umanitaria, non ha fatto altro che congelare, fissare e radicalizzare quelle contraddizioni: distruzione del tessuto della convivenza e congelamento di un clima, nella regione, di separazione quando non di ostilità nei rapporti inter-etnici; riduzione degli spazi della solidarietà, anche a livello internazionale, e aumento della povertà e della esclusione (il Kosovo, oggi, è, secondo le statistiche, la regione più povera d'Europa, con un tasso di disoccupazione superiore al 35%, una disoccupazione giovanile superiore al 60%, una drammatica condizione di povertà che riguarda, ormai, più del 30% della popolazione e decine di migliaia di persone letteralmente scappate, specie negli ultimi tre anni).
Anche gli interventi di Maria Teresa Iervolino e di Lucia Vecchione hanno ribadito, non solo i contenuti sociali, ma anche quelli educativi, maieutici e pedagogici, del lavoro per l'accoglienza e l'inclusione; e nelle sue conclusioni la Console Generale a Napoli del Venezuela, Amarilis Gutiérrez Graffe, illustrando due originali contributi video sulla pluralità delle minoranze etniche e delle culture ancestrali in Venezuela, ha ricordato il valore cruciale di una democrazia «plurale e sociale», capace di alimentare, nell'eguaglianza tra le differenze etniche e culturali, inclusione e giustizia.
Grazie all'impegno profuso dalle associazioni coinvolte, in primis l'IPRI (Istituto Italiano di Ricerca per la Pace) - Rete CCP (Corpi Civili di Pace), l'Associazione “Culture e Memorie - Lidia Menapace”, e l'Associazione ospitante, “Sisto Riario Sforza”, con il supporto del Consolato Generale a Napoli della Repubblica Bolivariana del Venezuela, il pomeriggio e la serata, trascorsi insieme, nella splendida cornice della Chiesa di San Tommaso a Capuana, nel cuore del Centro Antico, Patrimonio UNESCO, della Città di Napoli, si sono rivelati un'occasione utile per “onorare”, senza dubbio, i contenuti della Dichiarazione UNESCO, ma anche per rilanciare ulteriori energie ed impegni.
Proprio dall'UNESCO, infatti, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Istruzione, la Scienza e la Cultura, è partita, ormai più di venti anni fa, la iniziativa della “Dichiarazione sul Principio di Tolleranza”, che l'organizzazione ha adottato in occasione della Conferenza Generale del 16 Novembre 1995, e con la quale essa ha inteso ed intende lanciare un richiamo, un monito e una chiamata all'impegno, tanto alle autorità quanto ai popoli, ad agire e mobilitarsi per gli ideali e i valori della convivenza: una convivenza declinata in senso attivo, fonte di eguaglianza e inclusione.
Non a caso, infatti, come recita in Preambolo, «l’attuale crescita dell’intolleranza, della violenza, del terrorismo, della xenofobia, del nazionalismo aggressivo, del razzismo, dell’antisemitismo, dell’esclusione, della emarginazione e della discriminazione, nei confronti delle minoranze nazionali, etniche, religiose e linguistiche, dei rifugiati, dei lavoratori e dei migranti, degli immigrati e dei gruppi vulnerabili», nonché «l’aumento degli atti di violenza e di intimidazione ai danni di persone che esercitano la propria libertà di opinione e di espressione» costituiscono comportamenti «che minacciano il consolidamento della pace e della democrazia, sia a livello nazionale, sia a livello internazionale, e che costituiscono altrettanti ostacoli allo sviluppo». Sin dall'inizio, cioè, sono individuati esplicitamente, nei grandi e tragici capitoli della discriminazione, del fanatismo, dell'intolleranza, dell'antisemitismo e del razzismo, i mali che, tra gli altri, alimentano conflitti e segregazioni e attraversano imperiosamente il nostro tempo, imponendo una risposta civile e sociale.
Ma non c'è solo questo: c'è, in particolare, da attrezzare una risposta, che non può non basarsi sul terreno educativo, della formazione delle giovani generazioni e della maturazione delle coscienze, e non può, al tempo stesso, non alimentarsi di percorsi effettivi e concreti di eliminazione delle diseguaglianze e di contrasto alla povertà in tutte le sue forme, nella consapevolezza, ribadita peraltro anche da numerosi passaggi della conferenza in S. Tommaso, che la pace non possa essere declinata come un ideale irenico e astratto, né possa limitarsi alla sola, fin troppo comoda e funzionale, «assenza della guerra», ma debba essere invece declinata in una maniera più completa ed esigente, come costruzione di relazioni sociali improntate alla libertà e alla giustizia, insieme, come superamento delle condizioni materiali e sociali che alimentano la separazione nelle nostre società, come occasione, e cioè in positivo, di «pace positiva», di costruzione attiva della pace.
Lo ribadisce, in un passaggio successivo, ancora la Dichiarazione, quando puntualizza che non si può intendere il “principio di tolleranza” come “concessione”, “accondiscendenza”, “compiacenza”; bensì sottolinea, all'art. 1, che «la tolleranza è un atteggiamento attivo, animato dal riconoscimento dei diritti universali della persona umana e delle libertà fondamentali dell’altro. In nessun caso la tolleranza potrà essere invocata per giustificare attentati a tali virtù fondamentali». In questo senso, attivo, essa può porsi a fondamento delle società democratiche e pluralistiche e concorrere alla prevenzione della violenza e alla costruzione di un ordine fondato appunto su “pace con giustizia”.
Poco più avanti, entrando maggiormente nel concreto, nell'art. 4, la Dichiarazione sancisce inoltre l'impegno «a realizzare programmi di ricerca nell’ambito delle scienze sociali e di educazione alla tolleranza, ai diritti umani e alla non-violenza. È necessario accordare maggiore attenzione al miglioramento della formazione degli insegnanti, dei programmi di insegnamento, del contenuto dei manuali e di altri tipi di materiale pedagogico, incluse le nuove tecnologie, per formare cittadini solidali e responsabili, aperti alle altre culture, capaci di apprezzare il valore della libertà, rispettosi della dignità degli esseri umani e delle loro differenze e capaci di prevenire i conflitti».
Difficile, pertanto, declinare la “tolleranza” senza il “conflitto”: conflitto che sia occasione di sviluppo e di progresso, di crescita e di maturazione di rapporti sociali più liberi e più giusti, insieme, e che, pertanto, non può e non deve degenerare in violenza catastrofica o distruttiva, ma semmai aprire orizzonti di autentica trasformazione sociale. Questo aspetto ha, in fondo, legato tra di loro le due comunicazioni di apertura, del pomeriggio in S. Tommaso a Capuana, a cura di Modestino Caso e di Gianmarco Pisa, quando è stato messo l'accento, ricordando l'impegno della Associazione “Sisto Riario Sforza”, sull'esigenza di rispondere fattivamente ai bisogni degli ultimi della società e di contrastare la povertà dilagante, non solo nelle periferie, ma, ormai, sempre più drammaticamente fin nel cuore dei centri urbani delle nostre metropoli capitalistiche (l'Associazione ospita, tra l'altro, anche un centro di ascolto e di supporto ed uno studio medico per i più poveri).
O quando è stata richiamata all'attenzione la minaccia della guerra, che, attraversando imperiosa il Mediterraneo, entra sempre più drammaticamente nelle porte di casa, alimentando le migrazioni dal Sud e dall'Est, contribuendo alla militarizzazione dei nostri territori e del nostro spazio pubblico, drenando risorse e radicalizzando la povertà (si è fatto riferimento, tra gli altri, al progetto PRO.ME.T.E.O., «PROductive MEmories to Trigger and Enhance Opportunities», in corso di svolgimento in alcuni territori della ex Jugoslavia, in particolare in Kosovo, dove il tema della “memoria collettiva” e quello dei “luoghi della memoria” possono diventare non solo occasione di riappropriazione ma anche terreno di convivenza, opportunità di reciprocità e di inclusione sociale).
Uno degli spunti del confronto è stata, infatti, anche la presentazione del volume, anch'esso legato ai percorsi costruttivi di articolazione di iniziative e di corpi civili di pace in Kosovo (iniziative sociali, non governative, per la prevenzione della violenza e la trasformazione dei conflitti), dal titolo La Pagina in Comune, pubblicato per i tipi di “Ad Est dell'Equatore”, in cui i due piani, infatti, si intersecano e si combinano: le eredità e le conseguenze dei tragici conflitti nei Balcani e in particolare della guerra del Kosovo (1999), la dinamica e le iterazioni del meccanismo della povertà e della separazione, che ancora attraversano la regione, come hanno messo in evidenza anche i contributi al dialogo delle professoresse Rosanna Morabito e Armida Filippelli, laddove la guerra, lungi dal risolvere i problemi, prevenire le violazioni dei diritti umani, impedire una catastrofe umanitaria, non ha fatto altro che congelare, fissare e radicalizzare quelle contraddizioni: distruzione del tessuto della convivenza e congelamento di un clima, nella regione, di separazione quando non di ostilità nei rapporti inter-etnici; riduzione degli spazi della solidarietà, anche a livello internazionale, e aumento della povertà e della esclusione (il Kosovo, oggi, è, secondo le statistiche, la regione più povera d'Europa, con un tasso di disoccupazione superiore al 35%, una disoccupazione giovanile superiore al 60%, una drammatica condizione di povertà che riguarda, ormai, più del 30% della popolazione e decine di migliaia di persone letteralmente scappate, specie negli ultimi tre anni).
Anche gli interventi di Maria Teresa Iervolino e di Lucia Vecchione hanno ribadito, non solo i contenuti sociali, ma anche quelli educativi, maieutici e pedagogici, del lavoro per l'accoglienza e l'inclusione; e nelle sue conclusioni la Console Generale a Napoli del Venezuela, Amarilis Gutiérrez Graffe, illustrando due originali contributi video sulla pluralità delle minoranze etniche e delle culture ancestrali in Venezuela, ha ricordato il valore cruciale di una democrazia «plurale e sociale», capace di alimentare, nell'eguaglianza tra le differenze etniche e culturali, inclusione e giustizia.