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La capitale europea della cultura torna nei Balcani, nel territorio, in particolare, della ex Jugoslavia e, per la prima volta, si apre la strada verso un Paese non membro dell'Unione Europea: il 13 ottobre scorso, infatti, la Commissione Europea ha annunciato che il titolo di “Capitale Europea della Cultura”, per il 2021, è stato assegnato alla città di Novi Sad, una delle più importanti città della regione, storica città d'arte e di cultura, ieri della Jugoslavia, oggi della Serbia, capoluogo della regione autonoma della Vojvodina. Sebbene la notizia sia passata in sordina presso la nostra stampa, nondimeno si tratta di una notizia importante, non solo per gli appassionati di arte e di cultura, ma soprattutto per quanti ritengono la cultura e l'arte occasioni di conoscenza e di reciprocità, opportunità da cogliere non solo in senso economico, ma prevalentemente in direzione di una più solida conoscenza, una più autentica amicizia tra i popoli e una più piena convergenza tra le culture.
Novi Sad può ben rappresentare questi ideali. È città bella ed elegante, da sempre crocevia di popoli e di culture, dove il corso delle vicende storiche e le ripetute conquiste che si sono avvicendate nella città, che conta oggi quasi 400.000 abitanti, le hanno conferito un fascino multi-etnico e multi-religioso, pluralistico e cosmopolita. È l'antica “Cusum”, fondata dai Romani nel I secolo a. C.; la “Petrikon” dei Bizantini che vi sconfissero gli Unni, che l'avevano conquistata nel V secolo; la “Petrovaradin” ungherese, del Regno di Ungheria, a cavallo tra X e XII sec., sebbene anche Ostrogoti, Avari e Bulgari la avessero, precedentemente, conquistata; dal 1526 divenne parte dell'Impero Ottomano ed assunse una nuova vocazione di “limes” europeo, crocevia tra l'Europa cristiana e l'Oriente islamico; dal 1687 fu parte dell'Impero Asburgico, e, tra il Settecento e l'Ottocento assunse una tale importanza per i serbi da acquisire il titolo di “Atene Serba”.
Oggi, Novi Sad è un autentico crogiolo di popoli: Serbi (76%), Ungheresi (5%), Slovacchi (2%) e poi ancora Montenegrini e Croati, Bosniacchi e Rom… Non è solo la città dalle mille lingue (tanto è vero che è conosciuta con il suo nome originario, Novi Sad, che vuol dire “Nuovo Campo” o “Nuova Colonia”, tradotto nelle diverse lingue, dall'ungherese al tedesco, dallo slovacco al romeno) ma anche la città delle mille religioni, almeno da quando fu designata, sotto l'imperatrice Maria Teresa d'Austria, “città libera” nel 1748. Oggi a Novi Sad convivono cristiani ortodossi (soprattutto, in ampia maggioranza, di rito serbo ma anche di rito greco) e cattolici, nonché luterani, islamici ed ebrei che, un tempo, costituivano una comunità fiorente (come testimonia la presenza in città di una splendida Sinagoga), al punto da contare una presenza tra le mille e le duemila unità nel corso del Settecento, ma che, dopo gli stermini nazisti nel corso della seconda guerra mondiale, è stata radicalmente decimata. Dopo l'aggressione nazista alla Jugoslavia, inaugurata il 6 aprile 1941, infatti, la città fu annessa all'Ungheria fascista, e liberata dai partigiani il 23 ottobre 1944, quando, con il territorio della Vojvodina, entrò, come regione della Serbia, nella Jugoslavia Socialista.
Vera capitale della cultura e della memoria, Novi Sad sembra rispecchiare in pieno uno dei criteri cruciali della Commissione Europea per poter fregiarsi del titolo di “Capitale della Cultura”: non solo «per ciò che è e per ciò che ha fatto», ma anche, e in particolare, «per ciò che si propone di organizzare» e di fare. Nel quadrilatero, stretto sul Danubio, tra Boulevard Zar Lazar, Boulevard Oslobodjenja e Boulevard Venizelos, è racchiusa una quantità impressionante di testimonianze culturali, tra le quali la Matica Serba, poco distante la Chiesa di S. Nicola, del 1730, la più antica chiesa ortodossa della città (la cupola è interamente rivestita in oro), ancora oltre la Chiesa della Assunzione, del 1736 e, giunti nel cuore della città vecchia, in Piazza della Libertà (“Trg Slobode”), il Municipio, il Palazzo della Banca della Vojvodina, il Teatro Nazionale, la Cattedrale, in stile neo-gotico, e la statua di Svetozar Miletić (1826-1901), anche detta “Uomo di Ferro”, politico, scrittore, rivoluzionario, già sindaco della città e leader dei Serbi della Vojvodina nell'Ottocento.
Se, come indicano le linee guida della Commissione Europea, «la città è invitata a sfruttare le sue particolarità e a dare dimostrazione di grande creatività» e «la manifestazione è l'occasione per migliorare la cooperazione nel settore culturale e per promuovere il dialogo culturale a livello europeo», non si può che essere ottimisti nei confronti di questa scelta, che sembra dare forza all'intendimento originario della manifestazione, quando, nell'ormai lontano 1985, su iniziativa di Melina Merkouri, artista ed antifascista, all'epoca ministro della cultura in Grecia, «il titolo di «Capitale Europea della Cultura» è stato ideato per contribuire al ravvicinamento dei popoli europei» e concorrere ai suoi obiettivi prioritari, quali promuovere e valorizzare il patrimonio e il dialogo culturale, «valorizzare la ricchezza, la diversità delle culture europee ed i loro tratti comuni, migliorare la conoscenza che i cittadini europei hanno gli uni degli altri, favorire la presa di coscienza dell'appartenenza ad una medesima comunità «europea». Sullo sfondo di una stagione che torna ad essere difficile, irta di conflitti per i Balcani e l'Europa tutta, l'individuazione di Novi Sad quale Capitale Europea della Cultura del 2021 è anche un messaggio di speranza e di futuro, da raccogliere e da concretizzare.
Novi Sad può ben rappresentare questi ideali. È città bella ed elegante, da sempre crocevia di popoli e di culture, dove il corso delle vicende storiche e le ripetute conquiste che si sono avvicendate nella città, che conta oggi quasi 400.000 abitanti, le hanno conferito un fascino multi-etnico e multi-religioso, pluralistico e cosmopolita. È l'antica “Cusum”, fondata dai Romani nel I secolo a. C.; la “Petrikon” dei Bizantini che vi sconfissero gli Unni, che l'avevano conquistata nel V secolo; la “Petrovaradin” ungherese, del Regno di Ungheria, a cavallo tra X e XII sec., sebbene anche Ostrogoti, Avari e Bulgari la avessero, precedentemente, conquistata; dal 1526 divenne parte dell'Impero Ottomano ed assunse una nuova vocazione di “limes” europeo, crocevia tra l'Europa cristiana e l'Oriente islamico; dal 1687 fu parte dell'Impero Asburgico, e, tra il Settecento e l'Ottocento assunse una tale importanza per i serbi da acquisire il titolo di “Atene Serba”.
Oggi, Novi Sad è un autentico crogiolo di popoli: Serbi (76%), Ungheresi (5%), Slovacchi (2%) e poi ancora Montenegrini e Croati, Bosniacchi e Rom… Non è solo la città dalle mille lingue (tanto è vero che è conosciuta con il suo nome originario, Novi Sad, che vuol dire “Nuovo Campo” o “Nuova Colonia”, tradotto nelle diverse lingue, dall'ungherese al tedesco, dallo slovacco al romeno) ma anche la città delle mille religioni, almeno da quando fu designata, sotto l'imperatrice Maria Teresa d'Austria, “città libera” nel 1748. Oggi a Novi Sad convivono cristiani ortodossi (soprattutto, in ampia maggioranza, di rito serbo ma anche di rito greco) e cattolici, nonché luterani, islamici ed ebrei che, un tempo, costituivano una comunità fiorente (come testimonia la presenza in città di una splendida Sinagoga), al punto da contare una presenza tra le mille e le duemila unità nel corso del Settecento, ma che, dopo gli stermini nazisti nel corso della seconda guerra mondiale, è stata radicalmente decimata. Dopo l'aggressione nazista alla Jugoslavia, inaugurata il 6 aprile 1941, infatti, la città fu annessa all'Ungheria fascista, e liberata dai partigiani il 23 ottobre 1944, quando, con il territorio della Vojvodina, entrò, come regione della Serbia, nella Jugoslavia Socialista.
Vera capitale della cultura e della memoria, Novi Sad sembra rispecchiare in pieno uno dei criteri cruciali della Commissione Europea per poter fregiarsi del titolo di “Capitale della Cultura”: non solo «per ciò che è e per ciò che ha fatto», ma anche, e in particolare, «per ciò che si propone di organizzare» e di fare. Nel quadrilatero, stretto sul Danubio, tra Boulevard Zar Lazar, Boulevard Oslobodjenja e Boulevard Venizelos, è racchiusa una quantità impressionante di testimonianze culturali, tra le quali la Matica Serba, poco distante la Chiesa di S. Nicola, del 1730, la più antica chiesa ortodossa della città (la cupola è interamente rivestita in oro), ancora oltre la Chiesa della Assunzione, del 1736 e, giunti nel cuore della città vecchia, in Piazza della Libertà (“Trg Slobode”), il Municipio, il Palazzo della Banca della Vojvodina, il Teatro Nazionale, la Cattedrale, in stile neo-gotico, e la statua di Svetozar Miletić (1826-1901), anche detta “Uomo di Ferro”, politico, scrittore, rivoluzionario, già sindaco della città e leader dei Serbi della Vojvodina nell'Ottocento.
Se, come indicano le linee guida della Commissione Europea, «la città è invitata a sfruttare le sue particolarità e a dare dimostrazione di grande creatività» e «la manifestazione è l'occasione per migliorare la cooperazione nel settore culturale e per promuovere il dialogo culturale a livello europeo», non si può che essere ottimisti nei confronti di questa scelta, che sembra dare forza all'intendimento originario della manifestazione, quando, nell'ormai lontano 1985, su iniziativa di Melina Merkouri, artista ed antifascista, all'epoca ministro della cultura in Grecia, «il titolo di «Capitale Europea della Cultura» è stato ideato per contribuire al ravvicinamento dei popoli europei» e concorrere ai suoi obiettivi prioritari, quali promuovere e valorizzare il patrimonio e il dialogo culturale, «valorizzare la ricchezza, la diversità delle culture europee ed i loro tratti comuni, migliorare la conoscenza che i cittadini europei hanno gli uni degli altri, favorire la presa di coscienza dell'appartenenza ad una medesima comunità «europea». Sullo sfondo di una stagione che torna ad essere difficile, irta di conflitti per i Balcani e l'Europa tutta, l'individuazione di Novi Sad quale Capitale Europea della Cultura del 2021 è anche un messaggio di speranza e di futuro, da raccogliere e da concretizzare.
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