domenica 1 maggio 2016

Design per un Mondo Nuovo


Resterà aperta e visitabile per l'intero mese di maggio a Belgrado una mostra molto particolare, utile per indagare, da una prospettiva insolita, il percorso di costruzione della Jugoslavia e le modalità di comunicazione dei suoi valori fondativi, dei suoi paradigmi ideologici e dei suoi conseguimenti sociali. Si tratta della mostra “Design per un Mondo Nuovo” (in inglese «Design for a New World», dall'originale serbo «Dizajn za Novi Svet»), inaugurata presso il MIJ (Museo di Storia della Jugoslavia), lo scorso mese di Dicembre e la cui programmazione proseguirà sino al prossimo 29 Maggio.

È una mostra interessante perché, sebbene estremamente compatta per la scelta dei curatori di aggregare gli espositori per macro-aree tematiche e per abbinare, in ciascuna sezione, una parte espositiva (con l'insieme dei materiali nitidamente esposti “a vista”) e una parte antologica (con l'insieme dei restanti materiali raccolti in cartelle sfogliabili), porta alla luce una quantità notevole di materiali di archivio e si presta ad una gamma quanto mai estesa e variegata di possibili chiavi di lettura.

Prima di tutto: a quale “design” fa riferimento “il nuovo mondo” di cui si parla nel titolo? Essenzialmente, il design realizzato nel corso della storia della Jugoslavia Socialista, dai suoi artisti, grafici e designer, che di volta in volta, in un arco di tempo che va dal 1945-1946 al 1990-1991, tale quindi da coprire l'intera stagione di vita della “Seconda Jugoslavia”, si sono cimentati con le diverse funzionalità che lo strumento del design, quindi la grafica visuale adattata alle esigenze della comunicazione, poteva e può servire: dall'iconografia ufficiale alla propaganda politica, dalle campagne di massa alla pubblicità, dalla promozione di concetti, valori e figure fino all'arte “di stato” e i congressi di partito.

  
I curatori, Ivan Manojlović, attivo presso il MIJ stesso, e Koraljka Vlajo, “senior curator” presso il Museo delle Arti e dell'Artigianato a Zagabria, hanno risposto a questa sfida con una costellazione di espositori in una delle due sale espositive principali del museo, organizzando i materiali in otto sezioni: Simbologia di Stato, Culto di Tito, Rivoluzione e Lotta di Liberazione Nazionale, Culto dei Lavoratori, Servire il Popolo, Industrializzazione, Modernizzazione e Prosperità. Non una scelta particolarmente originale, forse, dettata da quelli che erano e sono sempre rimasti i temi dell'iconografia socialista nella Jugoslavia dell'Autogestione, ma indubbiamente efficace, sebbene non immune dal rischio dell'arbitrarietà: i pannelli, ad esempio, dedicati all'autogestione socialista (la forma specificamente jugoslava del controllo operaio della produzione o, in termini più essenziali, il ruolo non subalterno dei lavoratori all'interno della produzione jugoslava), alludono al “Culto dei Lavoratori” o fanno riferimento al “Servire il Popolo”? Sono un aspetto dell'Industrializzazione o non piuttosto una vera e propria Simbologia di Stato?

In un contesto sociale e politico, come quello della Jugoslavia Socialista, in cui il lavoro produttivo di valore è, al tempo stesso, soggetto e oggetto, protagonista e destinatario, dello sforzo della modernizzazione in senso socialista dello stato e della società ed in cui l'autogestione stessa ne è la forma specifica ed originale, ma anche un aspetto dello “stato del benessere” in veste jugoslava, c'è da aspettarsi che questi interrogativi rimangano insoluti e tali contraddizioni siano destinate a generare aporie, incertezze, inquietudini. Eppure, sta proprio in questo il fascino ed il rilievo di questa mostra. Pur non avendo davvero alcuna finalità apologetica, essa finisce per l'essere una vera e propria narrazione visuale - attraverso l'arte visuale - dell'evoluzione del motto costitutivo della “Fratellanza ed Unità” (che non a caso ritorna negli slogan che a volte accompagnano i manifesti in esposizione) e riesce in maniera efficace ad illustrare la novità e la originalità dell'esperienza sociale e politica jugoslava.
 

Vi riesce anche esaltando, soprattutto nelle sezioni dedicate alla Modernizzazione e alla Prosperità, la complessità delle relazioni della Jugoslavia con il resto del mondo: una apertura al mondo a 360°, in questa forma assolutamente unica tra tutte le esperienze di socialismo storico del XX secolo, e che si esprime tanto nell'influenza del design industriale occidentale sulla grafica visuale jugoslava (sia quando si tratta di promuovere i “brand” nazionali, sia quando si tratta di promuovere l'immagine turistica della Jugoslavia attraverso le sue molteplici bellezze), quanto su alcune soluzioni tecniche o stilistiche (l'uso della fotografia, il cromatismo, la stilizzazione) che rimandano ad un dialogo costantemente in corso, almeno a partire dagli anni Sessanta, con la “visual art” e il design occidentale.

Si può forse banalizzare la mostra nel senso di rappresentarla come “una galleria di poster”; in realtà, mai come in questa circostanza, la forma serve unicamente a veicolare la sostanza e i poster servono solo a materializzare i concetti grafici che vi sono impressi. Un'occasione importante, pensando all'importanza della comunicazione e della “interazione attraverso le idee” che questa mostra intende rappresentare, anche sullo sfondo dell'attuale panorama sociale e politico post-jugoslavo, anche in relazione allo svolgimento degli sforzi, degli attori della "pace con giustizia", per riconnettere tessuti di memoria e di relazione e per rigenerare ponti di dialogo e di cooperazione, oltre i muri e tutte le barriere. 

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