Радосав Стојановић, Boletin, Public Domain, via Wikimedia Commons |
Le notizie che giungono dal Kosovo, nel contesto della nuova ondata di tensione che ha fatto seguito alla forzatura delle autorità albanesi kosovare di insediare propri “sindaci” nelle città a maggioranza serba del Nord del Kosovo, sono preoccupanti e richiamano l’urgenza di una rapida riduzione della tensione, di una ripresa del dialogo, di una prospettiva di pace e giustizia nella regione. Ufficiali della missione NATO KFOR hanno colpito i cittadini serbi raccoltisi in protesta presso gli edifici delle Municipalità, in particolare presso la Municipalità di Zvečan. A detta degli osservatori presenti, a dispetto del fatto che la manifestazione fosse stata annunciata e pacifica, il personale della KFOR, giunto sul posto, ha intimato ai manifestanti di disperdersi, Igor Simic, vicepresidente del partito della Lista Serba, ha chiesto ai manifestanti di sedersi per terra con le mani alzate per mostrare che erano disarmati e pacifici, ed è stato a sua volta trascinato via dalle forze della KFOR. Per disperdere i manifestanti, gli ufficiali della KFOR non hanno esitato a utilizzare anche granate (trenta granate flash bang) e gas lacrimogeni contro i manifestanti, e sono stati feriti almeno due serbi.
La situazione è resa complicata dallo sfondo di tensione, legato al fallimento degli ultimi round del dialogo mediato dalla UE tra Belgrado e Prishtina e alla situazione di guerra sul fronte russo-ucraino in cui la NATO e la UE sono attivamente impegnate, nel quale queste tensioni vengono a cadere. Il Consiglio di sicurezza serbo ha affermato, in una dichiarazione del 27 maggio, che, in violazione del suo mandato, la KFOR ha sostanzialmente ignorato l'attività aggressiva delle forze dell'ordine del Kosovo nei Comuni serbi e non è riuscita (non ha potuto o non ha voluto, si potrebbe aggiungere) a impedire i tentativi delle autorità di Prishtina di “prendere il controllo” degli edifici amministrativi nel Kosovo del Nord. Il 26 maggio, il presidente serbo Aleksandar Vučić aveva invitato la NATO a prendere misure per porre fine alla violenza contro i serbi in Kosovo. Il ministro della Difesa serbo Miloš Vučević ha inoltre confermato che l'esercito serbo è in stato di allerta.
Le origini di questa nuova contrapposizione vanno ricercate nelle modalità di svolgimento delle ultime elezioni amministrative tenute il 23 aprile scorso e boicottate dall’intera comunità serba del Kosovo, in considerazione non solo del clima di tensione, conseguente allo scontro diplomatico tra Belgrado e Prishtina e alla cosiddetta “controversia delle targhe”, ma anche della sostanziale inagibilità politica per i serbi del Kosovo, trattandosi, come dichiarato da Aleksandar Jablanović, uno dei dirigenti serbi a Leposavić, di «una circostanza in cui, quando dal 21 novembre i serbi non possono circolare liberamente con i loro veicoli nel nord del Kosovo per le nuove norme sulla immatricolazione con le nuove targhe, sarebbe assurdo pensare di tenere delle elezioni»; ciò essendo legato al fatto che, come spiegato agli organi di informazione da Aleksandar Arsenijević della iniziativa civica “Srpski opstanak” a Kosovska Mitrovica, «non ci sono le condizioni per indire elezioni. Al Nord non c’è la possibilità di organizzare una partita di calcio, figuriamoci un’elezione. Ascoltiamo la voce dei nostri cittadini, e i nostri cittadini hanno deciso che queste elezioni dovrebbero essere boicottate».
Queste, tra le altre testimonianze raccolte nell’autunno scorso, tornano oggi utili per capire il clima nel quale sono state celebrate queste elezioni e, a maggior ragione, per comprendere le cifre dei risultati delle elezioni nel Nord: a Leposavić, Lulzim Hetemi, di Vetëvendosje, è stato eletto sindaco con 100 voti; a Kosovska Mitrovica, Erden Atiq, ancora di Vetëvendosje, con 519 voti; a Zubin Potok, Izmir Zeqiri, del PDK (Partito Democratico del Kosovo), con 196 voti; a Zvečan, Ilir Peci, ancora del PDK, con 114 voti. Le stesse cerimonie di giuramento sono state celebrate ben distanti dai capoluoghi, e si sono tenute nei villaggi albanesi dell’entroterra del Nord: Lulzim Hetemi, ha prestato giuramento nell’ufficio locale del villaggio di Šaljska Bistrica; Izmir Zeqiri ha prestato giuramento nel villaggio di Čabra; Ilir Peci nel villaggio di Boljetin/Boletini. Quest’ultima destinazione non è priva di risvolti simbolici di tenore nazionalistico: si tratta infatti del villaggio natio di Isa Boletini, icona del nazionalismo albanese e importante leader militare dell'indipendenza albanese, seppellito il 10 giugno 2015 nel villaggio che ospita anche la sua Kulla, oggi celebrato monumento kosovaro.
Al di là della mera maggioranza numerica dei voti espressi, la cornice di legittimità di tali “sindaci” si situa tra un processo elettorale ampiamente compromesso e un esito elettorale visibilmente surreale. La stampa serba non ha mancato, ovviamente, di fare notare come, affermando l’intenzione di lavorare nell’interesse di tutte le comunità del Kosovo, questi stessi “sindaci” abbiano tuttavia prestato giuramento in albanese. Vivono oggi nel Nord del Kosovo oltre 50 mila serbi, che costituiscono oltre il 90% della popolazione dell’area, a fronte di una affluenza al voto, nelle scorse elezioni amministrative, addirittura inferiore al 4%. La metafora della “presa delle istituzioni” del Nord del Kosovo è ampiamente usata dalla stampa, mentre in una surreale dichiarazione, all’indomani del voto, le autorità dell’autogoverno di Prishtina hanno affermato che «il governo sostiene pienamente le nuove amministrazioni nel loro lavoro al servizio di tutti i cittadini, senza distinzione alcuna».
Sono i frutti avvelenati del nazionalismo e della contrapposizione etnopolitica, che si riversa non a caso anche sui tavoli della diplomazia. Nel vertice tra il presidente serbo Aleksandar Vučić e il capo dell’autogoverno del Kosovo, Albin Kurti, tenuto lo scorso 2 maggio nell’ambito del dialogo mediato dall’Unione Europea, non si sono fatti passi in avanti sui temi dello statuto e della costituzione della Comunità dei Comuni Serbi del Kosovo, già concordata e approvata nei precedenti accordi del 2013 e del 2015 e ora rigettata dalle autorità kosovare perché «incompatibile con la Costituzione del Kosovo». Ad oggi, il Kosovo non è uno stato riconosciuto dalla comunità internazionale nel suo complesso: sono meno di novanta gli Stati con cui il Kosovo ha relazioni diplomatiche e circa cento quelli che ad oggi hanno riconosciuto l’indipendenza kosovara.