Foto Pagina FB del Centro Culturale Handala Ali - مركز حنظله علي الثقاف |
Come tutte le maggiori città del Paese, anche Napoli è stata attraversata da migliaia di persone che si sono riversate nelle strade per dare vita a una grande manifestazione contro l’aggressione israeliana a Gaza, contro le violenze e i raid delle forze di polizia in diverse località della Cisgiordania, e, in particolare, contro la brutale repressione delle manifestazioni che, a Gerusalemme, hanno accompagnato l’ordine di espulsione di diverse decine di persone, intere famiglie, spesso con bambini, dal quartiere di Sheikh Jarrah, nella zona occupata di Gerusalemme Est.
La manifestazione a Napoli, che ha visto la presenza in piazza di alcune migliaia di persone e ha registrato una corale partecipazione unitaria di una variegata platea di associazioni, partiti, organizzazioni politiche e sindacali, comitati, collettivi, articolazioni di movimento, ha dapprima animato un presidio in Piazza del Plebiscito, una della piazze simbolo della “capitale del Mezzogiorno”, quindi dato vita a un corteo che si è diretto verso il porto, per rappresentare un blocco simbolico delle navi cariche di armi destinate a Israele e come ponte di solidarietà e di impegno con i lavoratori portuali di Livorno, che hanno manifestato contro la partenza della nave Asiatic Island, diretta, secondo quanto riportato dalla stampa, al porto di Ashdod, in Israele, con un carico che avrebbe compreso anche esplosivi e munizioni.
Come ha specificato un comunicato dell’USB, infatti, «grazie alla segnalazione del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP) di Genova e dell’associazione WeaponWatch, sappiamo che al suo interno vi sono contenitori carichi di armi ed esplosivi diretti al porto israeliano di Ashdod. Armi ed esplosivi che serviranno ad uccidere la popolazione palestinese già colpita da un duro attacco proprio questa notte che ha causato centinaia di vittime tra la popolazione civile, tra cui anche numerosi bambini». Anche allo scopo di rimarcare il carattere strategico dell’unità del mondo del lavoro e dell’impegno del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici, in senso internazionalista, per la pace e contro la guerra, per porre fine all’occupazione in Palestina e sostenere l’autodeterminazione e l’amicizia tra i popoli, il comunicato ha specifico infatti che «contemporaneamente abbiamo avviato una campagna di sensibilizzazione con i lavoratori portuali livornesi affinché il coraggioso esempio che arriva dal porto di Genova possa essere riproposto anche sul nostro territorio. Il lavoro è importante, specie in questi tempi, ma questo non può farci chiudere gli occhi, o peggio ancora farci diventare complici, di massacri continui nei confronti della popolazione civile».
Tornando a Napoli, tanto nel presidio, quanto nel corteo verso il porto, la richiesta di iniziative concrete e unificanti, capace di raccogliere la più ampia adesione delle forze di progresso e di traguardare una dimensione propositiva e costruttiva, sia di denuncia e di contro-informazione, sia di iniziativa e di programma, è stata scandita in maniera chiara: ritiro da tutti i territori occupati, dalla Cisgiordania, da Gerusalemme Est, dalle alture del Golan; smantellamento delle colonie israeliane e sospensione immediata della demolizione delle case e della pulizia etnica in atto a Gerusalemme, come ad esempio nel quartiere, appunto, di Sheikh Jarrah; fine dell’assedio di Gaza; libertà per i prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.
E poi, ovviamente, in termini complessivi, il rispetto del diritto e della giustizia internazionale con applicazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite sulla Palestina, tra le quali, in particolare, la risoluzione 194 (1948) della Assemblea Generale che sancisce il diritto al ritorno nelle proprie case dei profughi palestinesi, la risoluzione 242 (1967) che ribadisce che l’occupazione israeliana della Palestina è illegale, fuori e contro il diritto e la giustizia internazionale, e ancora la cruciale, recente, risoluzione 2334 (2016) del Consiglio di Sicurezza, in base alla quale, «condannando ogni misura tesa ad alterare la composizione demografica, le caratteristiche e lo status dei territori palestinesi occupati dal 1967, compresa Gerusalemme Est, riguardante, tra l’altro, la costruzione ed espansione di colonie, il trasferimento di coloni israeliani, la confisca di terre, la demolizione di case e lo spostamento di civili palestinesi, in violazione delle leggi umanitarie internazionali [...] riafferma che la costituzione da parte di Israele di colonie nel territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme Est, non ha validità legale e costituisce flagrante violazione del diritto internazionale; [...] insiste con la richiesta che Israele interrompa immediatamente e completamente ogni attività di colonizzazione nei territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est; [...] sottolinea che la cessazione di ogni attività di colonizzazione da parte di Israele è indispensabile per salvaguardare la soluzione dei due Stati e invoca che vengano intrapresi immediatamente passi positivi per invertire le tendenze in senso opposto sul terreno che stanno impedendo la soluzione dei due Stati [...]».
Sono state avanzate altresì, in particolare, la richiesta al governo italiano di «sospendere immediatamente tutte le forniture di armamenti a Israele e di revocare tutte le licenze per armi in corso, nonché di farsi promotore di simile istanza presso i governi dei Paesi dell’Unione Europea» e la richiesta alla comunità internazionale di sospendere qualsiasi accordo militare con Israele e di promuovere un embargo militare a Israele come forma legittima di pressione internazionale per la cessazione delle violenze e la fine dell’occupazione della Palestina.
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