Leonard Raven-Hill (1867-1942), "The boiling point", Punch, 2 Ottobre 1912 |
Come
arrivano stati e regioni dei Balcani Occidentali all'importante
appuntamento, di oggi e domani, in occasione del “Vertice a Sei”,
a Sarajevo, tra il Commissario Europeo all'Allargamento, Johannes
Hahn, e le leadership di Bosnia, Serbia, Montenegro, Macedonia,
Albania e dell'auto-governo del Kosovo? Il contesto regionale con cui
le cancellerie e gli osservatori si trovano a che fare è uno dei più
problematici dell'intero panorama europeo e registra, in questa fase,
uno dei momenti più acuti di crisi e di inquietudine. Non è solo la
prospettiva incerta e faticosa dell'allargamento europeo ad essere
messa in discussione; ancora una volta, è la stessa possibilità di
pace e convivenza nella regione a segnare battute di arresto assai
preoccupanti.
Anche
per questo, più che nel recente passato, le diplomazie si esercitano
in un “lavoro sul simbolico”, un “intervento sugli immaginari”
che non si vedeva da tempo. Abbiamo già raccontato, qui,
dell'intervento di Federica Mogherini, Alto Rappresentante della
Politica Estera UE, sul ponte della città divisa di Mitrovica, tra
gli Albanesi e i Serbi del Kosovo, in occasione della sua vista il 4
Marzo nella regione; analogamente, venerdì 17 Marzo, Johannes Hahn
inaugurerà l'apertura
del ponte
sulla Sava a Svilaj, a cavallo tra la Bosnia e la Croazia. I “ponti”
tornano ad essere veicolo di immaginari potenti: non solo contro i
nuovi muri che, non solo in Europa - e qui soprattutto nei Balcani -
si ergono per costruire nuove separazioni e impostare nuovi
respingimenti “sovrani”; ma anche per segnalare l'esigenza della
convivenza e della costruzione della pace.
Sebbene
le cancellerie non manchino di esprimere, ad ogni occasione, “pieno
sostegno” al percorso europeo di questo o quel paese della regione
(ultimi, in ordine di tempo, il
ministro degli esteri italiano,
in visita a Belgrado lo scorso 14 marzo, e la
cancelliera tedesca,
presso la quale si è recato il premier serbo ancora lo scorso 14
marzo), non sempre questo “dialogo strutturato” viene percorso
con coerenza né mancano forzature e condizionamenti. Le
dichiarazioni, “in parallelo”, del ministro italiano e della
cancelliera tedesca, se da una parte confermano il sostegno di Roma e
Berlino al percorso europeo, insistono dall'altro sul fare
di più e meglio sia
nel senso delle riforme interne che, in questo caso la Serbia - ma
non si tratta solo della Serbia - devono intraprendere, sia nel senso
della “liberalizzazione” sempre più spinta dei mercati nazionali
nei confronti del mercato europeo. Senza contare, ovviamente,
pressioni anche di altro tipo: come quella, paventata
a più riprese,
di subordinare il percorso europeo della Serbia al riconoscimento del
Kosovo come Stato, alimentando tensioni nel dialogo bilaterale e
cancellando di fatto la risoluzione 1244 del 1999.
D'altro
canto, una recente risoluzione
del Parlamento Europeo, votata in Commissione Esteri il 28 febbraio,
approvata con 40 voti favorevoli, 12 contrari e 5 astensioni, si è
perfino spinta a stigmatizzare il fatto che cinque paesi membri
dell'Unione Europea (Spagna, Romania, Slovacchia, Grecia e Cipro) non
riconoscano il Kosovo come Stato, notando come se i Paesi membri si
allineassero su una linea comune rafforzerebbero la credibilità
della UE ed affermando, in questo caso persino paradossalmente, che
un riconoscimento ufficiale del Kosovo come Stato finirebbe per
aiutare a “normalizzare” le relazioni tra il Kosovo stesso e la
Serbia.
Né
il Consiglio Europeo è stato in grado di approvare un documento
comune
sui Balcani Occidentali a conclusione della riunione tenuta lo scorso
10 marzo: nelle conclusioni, il Consiglio sottolinea l'importanza
della prosecuzione del processo di riforma, delle relazioni di buon
vicinato e delle iniziative di cooperazione regionale; peraltro, come
ribadito dal presidente della Commissione Europea, Jean Claude
Juncker, non è stato un errore l'avere annunciato che non ci sarebbe
stato nessun nuovo ingresso nell'UE durante il mandato dell'attuale
Commissione, poiché, come riportato dalla stampa, «nessun candidato
è pronto per l'ingresso».
Non
mancano, poi, nuove minacce e criticità: dalla Bosnia è stata
avanzata alle Nazioni Unite la richiesta di rivedere la sentenza
della Corte dell'Aja del 2007 che assolse la Serbia in quanto tale
dall'accusa di genocidio in Bosnia (richiesta
respinta
dalla Corte lo scorso 8 Marzo); dal Kosovo, quando ci si aspetterebbe
un rilancio del dialogo mediato a Bruxelles e la piena
implementazione degli Accordi del 19 Aprile 2013 e del 25 Agosto
2015, avanza addirittura la proposta di trasformare la “Kosovo
Security Force” in un vero e proprio esercito regolare del Kosovo
(richiesta che, se approvata, non potrebbe che bypassare il dettato
stesso della costituzione del Kosovo e che non ha mancato di
suscitare
preoccupazione
anche negli ambienti UE e NATO), progetto per ora accantonato ma che
resta sullo sfondo come una minaccia nei rapporti regionali.
Intanto,
annunciata a più riprese per il 20 Gennaio, la riapertura del
ponte-simbolo di Mitrovica slitta ancora a data
da destinarsi: per quello che la Mogherini stessa auspicava
potesse diventare, da “simbolo della divisione”, un “simbolo
del dialogo”, si parla adesso addirittura del mese di maggio.
Intanto, il 2 Aprile, si voterà in Serbia per il nuovo presidente
della Repubblica; il successivo 18 Giugno si terranno le elezioni
legislative in Albania; e la Macedonia, ancora senza governo dopo le
ultime elezioni politiche, è attraversata da
proteste e dissidi, anche questi a sfondo etno-politico, tra
nazionalisti macedoni e minoranza albanese locale.
Ancora
una volta, i frutti avvelenati del nazionalismo e le interferenze
interessate delle maggiori potenze scaricano sui Balcani crisi e
tensioni; e i Balcani tornano, ancora una volta, al centro
dell'Europa, quando la pace e la convivenza nell'Europa del Sud e
dell'Est significano pace e convivenza per il continente intero.