danielmartineckhart: UNIIMOG FSOs raising UN flag, Wikimedia Commons |
Finalmente, sono stati pubblicati e diventano operativi, con l'inizio dell'anno 2016, il prontuario e le linee-guida del percorso di sperimentazione delle cosiddette azioni non-governative di pace, nell'ambito del Servizio Civile, impropriamente definite “Corpi Civili di Pace”, introdotti in via sperimentale più di due anni fa, con la Legge Finanziaria per il 2014 (art. 1, comma 253, legge 27 Dicembre 2013, n. 147). Si trattava di una sperimentazione volta a inquadrare complessivamente 500 giovani volontari in servizio civile, a valere di un budget complessivo di nove milioni di euro, nel triennio 2014-2016, e che invece si trova a partire solo adesso, nel 2016, dopo clamorosi ritardi e lungaggini, e a fare a meno di almeno 230.000 euro di risorse, tagliate dal Ministero dell’Economia, causa mancata spesa nel 2014.
Da parte di organizzazioni della società civile, in particolare quelle meno inclini a consuetudini lobbistiche con le istituzioni governative e più decise nel garantire il profilo dei Corpi Civili di Pace quale autentico strumento della società civile democratica organizzata, in forma di Difesa Civile Non Armata e Non Violenta, si era posta l'attenzione, in particolare, su tre aspetti cruciali della sperimentazione: l'insufficienza della cornice del servizio civile, riservato a giovani tra 18 e 28 anni, inadeguato ad affrontare la complessità e la portata (anche in termini di impatto e di riproducibilità) di un così rilevante impegno per la pace, in termini di prevenzione della violenza, di trasformazione del conflitto e di superamento del conflitto armato; la costruzione di un percorso, anche e soprattutto attraverso una efficace e consapevole mobilitazione popolare, di riconoscimento della parità tra difesa civile e difesa militare in Italia (come sancito, tra le altre, dalla fondamentale sentenza n. 228 del 2004); il carattere non-governativo di questa sperimentazione, proprio per evitare quella commistione esiziale, mortale per l'impegno nonviolento per la pace, tra presenza governativa in teatro di conflitto (che molto spesso è presenza militare in teatri in cui l'imperialismo italiano si è ampiamente esercitato e le armi italiane hanno ampiamente combattuto, con tutto il loro corollario di vittime e distruzione, materiale e morale) e presenza nonviolenta per la “pace positiva”.
Viceversa, la sperimentazione disegnata dal combinato disposto tra DM 7 Maggio 2015 e Prontuario punta in tutt'altra direzione e mostra come l'impostazione del percorso sia stata completamente sottratta al protagonismo delle forze della società civile di pace, a meno di non ritenere che un impianto di questo genere possa essere minimamente soddisfacente per tali “attori di pace”. Gli psuedo - Corpi Civili di Pace che ne vengono fuori hanno davvero poco a che vedere con gli Interventi Nonviolenti di Pace di cui pure si è a lungo discusso e assumono invece sempre più clamorosamente i tratti dei “Peace Corps” statunitensi, sui quali possiamo dare per scontato non serva spendere troppe parole. I giovani servizio-civilisti impegnati nella sperimentazione potranno essere inviati solo nelle aree-paese sancite dal Governo (ad esempio a Nauru, ma non in Palestina, né tantomeno in Siria, Iraq, Afghanistan, Pakistan, India, Libia, Egitto, Cipro, Turchia, cioè, tanto per dire, in quasi nessuno degli scenari di conflitto di prossimità), sottostare a procedure di ingaggio e di sicurezza “totali” ed asfissianti (alle quali fa in parte riferimento anche la lunga lista di Paesi esclusi dall'intervento) e posti quindi in una situazione sostanziale di personale civile “embedded”.
Quanto alle caratteristiche dei progetti, «non saranno approvati progetti che prevedano attività situate in aree in cui la presenza di personale italiano è “sconsigliata a qualsiasi titolo” … dal MAECI». Saranno sostanzialmente fungibili alle esigenze governative, visto che, quanto alla stessa individuazione dei progetti, «qualora le avvertenze su viaggiaresicuri.it cambino successivamente alla presentazione del progetto, ovvero le competenti autorità diplomatiche e consolari emanino specifiche disposizioni comportamentali inerenti la sicurezza, l’ente e i volontari dovranno adattare le loro attività in funzione delle nuove indicazioni». E, peggio ancora, saranno anche commissariati preventivamente dalle autorità governative, tanto è vero che, in relazione alle Linee Guida per la Sicurezza, si prevede esplicitamente che il piano sicurezza sia «sottoposto, entro i primi cinque giorni dall’arrivo dei volontari, alle autorità diplomatiche e consolari competenti... Eventuali modifiche apportate al Piano dalle predette autorità è comunicato (sic) da parte dell’ente ai volontari ed al restante personale impegnato nella realizzazione del progetto, al Dipartimento ed al MAECI» (vedi il testo pubblicato del “Prontuario”: serviziocivile.gov.it/media/597942/prontuario-ccp.pdf).
Tali contraddizioni erano, del resto, ampiamente inscritte sin nello spirito e nella lettera del sopra ricordato decreto ministeriale, pubblicato in Gazzetta Ufficiale nel Maggio scorso (Serie Generale n.115 del 20 Maggio 2015), il quale impone di fatto che «prima dell'impiego all'estero, i giovani volontari sono tenuti a partecipare ad attività di sensibilizzazione in materia di sicurezza organizzate dal MAECI» (art. 7, c. 2) e che «i giovani volontari partecipano a riunioni di sicurezza organizzate nella zona di intervento» su “disposizione” delle autorità italiane competenti (art. 7, c. 2).
Inoltre, come si evince chiaramente dalla lettura dei successivi commi 4 e 5, il MAECI è titolare unico della sicurezza del personale impegnato e può disporre misure non solo «in relazione alle condizioni di sicurezza prevalenti nel luogo» ma anche per - peraltro generiche - «gravi ragioni di opportunità». Preoccupante, per progetti inquadrati in una così stringente cornice “governativa”, il riferimento del c. 6 in merito all'eventuale imputazione delle spese sostenute dall'amministrazione per il rimpatrio o altre azioni di soccorso. Da una parte, la figura classica del volontario in servizio civile; dall'altra, il ruolo preponderante del governo e una opzione esclusiva, da parte del governo, sul tema-chiave della sicurezza, tanto è vero che, a norma dell'art. 3 comma 3 del decreto attuativo, «i Paesi esteri in cui possono svolgersi i progetti sono individuati dal MAECI», minacciando non solo l'autonomia e l'unicità del rapporto di cooperazione tra gli attori dei diversi contesti, di provenienza e di destinazione, che condividono l'opzione nonviolenta nell'azione di prevenzione della guerra e di promozione della pace, ma prefigurando una ambigua e rischiosa sovrapposizione tra aree di destinazione delle azioni di pace e aree di proiezione degli interessi strategici del governo italiano. La stessa ambiguità e la medesima sovrapposizione che, come da più parti testimoniato, caratterizzano i profili di intervento tipici, legati agli interessi governativi, dei “Peace Corps” USA.
D'altra parte, una riprova della volontà di fare di questi “Corpi di Pace” una sorta di strumento inquadrabile nelle politiche governative e quindi adattabile alla logica dei suoi interessi strategici, sta nelle stesse parole con le quali tale nuova cornice è stata presentata all'opinione pubblica. Nella conferenza di presentazione di tali “Corpi di Pace”, l'on. Luigi Bobba, Sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con delega alle politiche giovanili e al servizio civile nazionale, ha esplicitamente indicato che «i “Corpi Civili di Pace” di per sé hanno riferimenti anche di natura internazionale, nell'esperienza del governo tedesco, nell'esperienza argentina e nei Peace Corps degli USA, ed anche in una risoluzione dell'ONU che incoraggia la nascita di Corpi di Pace nei diversi stati membri e che ha anche organizzato, sotto l'etichetta dei Caschi Bianchi, interventi in condizioni simili a quelle in cui dovranno operare questi giovani. [...] Gli interventi saranno localizzati nei Paesi individuati su iniziativa del MAECI in accordo con il Dipartimento del Servizio Civile, per cui sarà una delle forme di politica estera del nostro Paese. [...] Inoltre, ci sarà anche una formazione fatta proprio dal MAECI sui temi della sicurezza, perché se si va ad operare in zone a rischio conflitto o post-conflitto, o zone di emergenza ambientale, si vogliono creare tutte le condizioni affinché si possa lavorare in modo sicuro e tranquillo. [...] Per questi giovani è prevista anche una “procedura rafforzata” in quanto, in condizioni di particolare difficoltà o di problematiche di sicurezza e per ragioni di opportunità ..., il MAECI potrà disporre il rimpatrio di queste persone che si trovano, eventualmente, in altri Paesi» (si veda il video della conferenza stampa di presentazione).
È appena il caso di ricordare che l'elaborazione condivisa all'interno del movimento per i Corpi Civili di Pace ha portato a definire questi ultimi come una «azione civile, non armata e nonviolenta, di operatori professionali e volontari che, come terze parti, sostengono gli attori locali nella prevenzione e trasformazione dei conflitti (con l'obiettivo di promuovere) una pace positiva, intesa come cessazione della violenza ma anche come affermazione di diritti umani e benessere sociale». Non si tratta dunque - esclusivamente - di giovani volontari, ma di operatori professionali, professionisti e volontari. Peraltro, a dispetto del fatto che, nella concezione condivisa dei Corpi Civili di Pace, questi ultimi «lavorano in squadra e prendono di norma decisioni strategiche e tattiche col metodo del consenso» e, inoltre, «possono attivare relazioni di collaborazione con altre ONG, …e istituzioni pubbliche, solo se tali rapporti non minano l'indipendenza e l'imparzialità della missione; con attori armati - regolari e non regolari - non sono ammesse forme di collaborazione o sinergia né scorta armata; può esserci dialogo finalizzato alla gestione nonviolenta del conflitto o scambio di informazioni sulla sicurezza, ove questo non pregiudichi la “legittimità nonviolenta” della missione, in termini di modalità d'azione e di ricezione presso le parti», il decreto attuativo “centralizza” le disposizioni in materia di sicurezza, rendendole, persino, cogenti per gli operatori.
Nascono così i Peace Corps all'italiana. E, per favore, smettiamo di chiamarli Corpi Civili di Pace.
Nessun commento:
Posta un commento