martedì 7 maggio 2024

Cultura di Pace, peacebuilding, e Corpi Civili di Pace

Monumento alla Pace (1992), Kruševac, Serbia, foto di Gianmarco Pisa


L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato (2 maggio 2024) il testo in occasione della celebrazione dei 25 anni della storica Dichiarazione sulla cultura di pace, con lo scopo di delineare l’importanza degli sforzi collettivi per promuovere una cultura di pace in un mondo drammaticamente segnato da crisi e conflitti armati. Il progetto di risoluzione “Sviluppo della Dichiarazione e Programma d’azione per una cultura di pace” (A/78/L.57) propone diverse attività e iniziative in occasione dell’anniversario della Dichiarazione, inclusa la convocazione di un forum ad alto livello nel contesto della settantottesima sessione dell’Assemblea Generale.

Durante il dibattito, il rappresentante della Repubblica Bolivariana del Venezuela, parlando a nome del Gruppo di amici in difesa della Carta delle Nazioni Unite, ha messo in guardia dal giustificare erroneamente il razzismo, la discriminazione razziale e l’incitamento all’odio con il pretestuoso riferimento alla “libertà di espressione” e ha condannato il sentimento antireligioso, l’esaltazione del fascismo e del nazismo e la stigmatizzazione dei migranti. Nelle sue dichiarazioni, “promuovere la comprensione e il rispetto tra le varie culture e le diverse religioni è di fondamentale importanza nella nostra ricerca condivisa della pace globale”.

Il progetto di risoluzione A/78/L.57, presentato su iniziativa di Bangladesh, Kiribati, Qatar, Federazione Russa, Turkmenistan e Tanzania, ricorda l’importanza della Dichiarazione e del Programma d’azione per una cultura di pace, adottati dall’Assemblea Generale il 13 settembre 1999, che, a loro volta, esprimono il mandato universale della comunità internazionale, in particolare del sistema delle Nazioni Unite, nella promozione di una cultura della pace e della nonviolenza a beneficio dell’umanità, in particolare per le generazioni future.

Si afferma che “tutti gli sforzi compiuti dal sistema delle Nazioni Unite e dalla comunità internazionale complessivamente intesa per la prevenzione dei conflitti, la risoluzione pacifica delle controversie, il mantenimento della pace, la costruzione della pace, la mediazione, il disarmo, lo sviluppo, la promozione della dignità umana e dei diritti umani, la democrazia, lo stato di diritto, l’inclusione sociale e l’uguaglianza di genere contribuiscono significativamente a una cultura di pace”. In questo senso, “gli sforzi volti a costruire e sostenere la pace (“peacebuilding”) devono tenere conto della promozione di una cultura di pace e viceversa”.

Si incoraggia l’architettura del peacebuilding delle Nazioni Unite a continuare a promuovere la costruzione della pace e le attività di pace, come delineato nelle risoluzioni 72/276 e 75/201, e a promuovere una cultura di pace e di nonviolenza negli sforzi di peacebuilding post-conflitto, riconoscendo altresì l’importante ruolo della “Commissione per il Peacebuilding” delle Nazioni Unite. Qui, nella risoluzione adottata dall’Assemblea Generale il 21 dicembre 2020 (Review of the United Nations peacebuilding architecture, 75/201), si mette in evidenza che “il ‘sostenere la pace’ va inteso come obiettivo e come processo per costruire una visione comune di società, garantendo che i bisogni di tutti i segmenti della popolazione siano presi in considerazione, per prevenire lo scoppio, l’escalation, la continuazione dei conflitti, nell’affrontare le cause profonde, assistere le parti in conflitto per porre fine alle ostilità, garantire la riconciliazione nazionale e procedere verso la ripresa, la ricostruzione e lo sviluppo, e sottolineando che il ‘sostenere la pace’ è un compito prioritario e una responsabilità condivisa che devono essere soddisfatti dai governi e da tutti gli altri soggetti interessati”.

Il progetto di risoluzione esprime poi “l’urgente necessità di promuovere e rafforzare la diplomazia preventiva, tra l’altro, attraverso il multilateralismo, la cooperazione internazionale e il dialogo politico, e sottolineando il ruolo cruciale delle Nazioni Unite”, adottando “un approccio olistico alle dimensioni trasversali della pace, dello sviluppo, dell’azione umanitaria e dei diritti umani al fine di prevenire il ripetersi di conflitti e violenze”. Si tratta anche di “esplorare meccanismi e strategie, in particolare nella sfera delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, per l’attuazione della Dichiarazione e avviare sforzi di sensibilizzazione per aumentare la consapevolezza del Programma d’azione e dei suoi ambiti di iniziativa finalizzati alla loro attuazione”. Si tratta di una eco significativa della storica “Agenda per la Pace” (1992) con i quattro ambiti di impegno del “lavoro di pace”: peace-making, peace-keeping, peace-building e, appunto, la diplomazia preventiva.

Il Programma d’azione (A/53/243) prevede infatti otto ambiti prioritari: cultura della pace attraverso l’educazione; sviluppo economico e sociale sostenibile; rispetto dei diritti umani (“tutti i diritti umani per tutti e per tutte”); parità tra donne e uomini; partecipazione democratica; comprensione, tolleranza e solidarietà; comunicazione partecipativa e libero flusso e scambio delle informazioni e delle conoscenze; pace e sicurezza internazionale. In questo senso, al livello di società civile, il ruolo delle iniziative e dei Corpi civili di pace, quale espressione specifica, autonoma, della società civile, opportunamente formata e preparata, ai fini della prevenzione della violenza, della mediazione e della costruzione della fiducia, della costruzione della pace, resta fondamentale e interseca gli otto ambiti prioritari: dall’educazione alla pace alla tutela dei diritti umani; dalla promozione dello sviluppo alla facilitazione dei processi partecipativi; dal supporto alle forze locali di pace al giornalismo di pace; dall’accompagnamento protettivo all’impegno nel consolidamento degli attori civili di pace.

Riferimenti:

“Follow-up to the Declaration and Programme of Action on a Culture of Peace” (A/78/L.57):
https://undocs.org/A/78/L.57

“Review of the United Nations peacebuilding architecture” (A/RES/75/201):
https://undocs.org/en/A/RES/75/201

Declaration and Programme of Action on a Culture of Peace (A/RES/53/243):
https://undocs.org/en/A/RES/53/243

martedì 20 febbraio 2024

Johan Galtung (24 ottobre 1930 - 17 febbraio 2024)

International Students’ Committee, Johan Galtung in May 2011 at the 41. St. Gallen Symposium, University of St. Gallen, via Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0

 
Con la scomparsa di Johan Galtung, l’intera comunità degli uomini e delle donne amanti della pace, e della «pace con giustizia», e al suo interno la comunità, di elaborazione e di pratiche, degli operatori e delle operatrici di pace, a tutte le latitudini, è, da oggi, più sola. Se ne va una figura essenziale, seminale, un imprescindibile, della modalità con la quale guardiamo (e interpretiamo) i conflitti, micro, meso, macro, persino mega, come talvolta amava richiamare, e della modalità con la quale interveniamo (e trasformiamo) nei conflitti, alimentando, sul sentiero della ricerca e dell’azione da lui tracciato, la speranza del “trascendimento”.

Nato a Oslo nel 1930, dottore di ricerca in matematica (1956) e in sociologia (1957), è stato docente di Scienze per la pace ed esperto nella mediazione e risoluzione dei conflitti. È il creatore del Metodo Transcend per il trascendimento dei conflitti e il fondatore della Rete Transcend per la pace, lo sviluppo e l’ambiente, nonché, precedentemente, dell’Istituto Internazionale di Ricerca per la Pace di Oslo (1959) e del Journal of Peace Research (1964). Ha insegnato in numerose università in tutto il mondo, ad esempio ad Oslo, Berlino, Parigi, a Santiago del Cile, a Buenos Aires, ma anche a Princeton, alle Hawaii, e ad Alicante. È stato professore onorario alla Freie Universität di Berlino (1984-1993), dal 1993 professore illustre di Studi sulla pace alla Università delle Hawaii e dal 2005 illustre “visiting professor” presso la John Perkins University.

Il suo impegno si è svolto sia nel campo della ricerca sia nell’ambito della mediazione e della risoluzione dei conflitti. Sono oltre 150 i conflitti, sia di carattere internazionale, sia di ambito sociale, in cui è stato impegnato. È autore di 96 libri e di oltre 1700 tra articoli e capitoli. Tra i vari riconoscimenti, ha conseguito nel 1987 il «Right Livelihood Award», il Nobel per la Pace alternativo e, tra i più recenti, il titolo di laurea honoris causa in scienze politiche presso la Universidad Complutense di Madrid (2017). Importantissima, d’altro canto, anche la sua frequentazione italiana: indimenticabile la lectio magistralis da lui tenuta al convegno del Centro Studi SOUQ del 13 dicembre 2013, nell’Aula magna dell’Università degli Studi di Milano; non meno indimenticabile la sua lectio magistralis (“Necessità e importanza di un Centro per la prevenzione dei conflitti armati”) in occasione del Convegno nazionale su “La prevenzione dei conflitti armati e la formazione dei corpi civili di pace”, tenuto a Vicenza il 3-5 giugno 2011 e che rappresentò un contributo decisivo per rilanciare il percorso per la costruzione dei corpi civili di pace e per riaffermare l’importanza cruciale della formazione degli operatori e delle operatrici. Fu, al tempo stesso, un vero e proprio incontro di pace e di cittadinanza.

Con lui se ne va la figura, sia consentita una simile digressione, di un vero e proprio “rivoluzionario”: per le sue teorie, profonde e innovative, riguardanti l’analisi “sul” conflitto e l’intervento “nel” conflitto, e in quanto fonte di ispirazione nei vasti campi della costruzione della pace. Il suo contributo sull’importanza determinante, retroagente, degli orientamenti culturali (attitudes) e delle contraddizioni strutturali (contradictions) nella dinamica dei conflitti; la sua interpretazione del conflitto come manifestazione di “incompatibilità” causate dall’azione di «culture profonde» e «strutture profonde»; il suo approccio, olistico e razionale, alla dinamica del conflitto e alla costruzione della pace, restano contributi decisivi sui quali si fonda una moderna ricerca per la pace, e a partire dai quali occorre impostare una coerente iniziativa di trasformazione e di trascendimento.

Tanto è arduo sintetizzare in poche righe il contributo di Galtung alla ricerca e alla prassi della costruzione della pace, quanto è impensabile tacere di altri suoi contributi, per alcuni versi più specifici, per altri più generali, della sua elaborazione intellettuale, della sua ricerca concreta. Nessun operatore o operatrice di pace potrebbe oggi fare a meno degli elementi fondamentali indicati da Galtung per il lavoro di pace: empatia, nonviolenza, creatività. La creatività (innovazione) concepita come «la capacità di andare oltre le cornici mentali delle parti in conflitto, aprendo la strada a nuove modalità di concepire la relazione sociale». L’empatia (sentire insieme) intesa come «la capacità di una comprensione profonda ... dell’Altro». La nonviolenza, in definitiva, come «la duplice capacità di resistere alla tentazione di affidarsi alla violenza e di proporre soluzioni nonviolente concrete». Questa capacità agisce sia ai fini della risoluzione del conflitto, sia nella prevenzione della violenza.

Attraverso questa filigrana, si legge un altro contributo imprescindibile ispirato da Galtung per il lavoro di tutti gli attivisti e le attiviste e di tutti i sinceri amanti della «pace con giustizia», un contributo cui l’intera, vasta e plurale, comunità di Pressenza, mai potrebbe restare indifferente: il “giornalismo di pace”. «Per parlare di giornalismo di pace, bisogna parlare di pace. Per parlare di pace, bisogna parlare di conflitti e della loro risoluzione. Per parlare di risoluzione dei conflitti, bisogna parlare del profondo coinvolgimento degli Stati Uniti in molti conflitti globali. Il ruolo del giornalismo non è solo quello di raccontare il mondo, ma anche di rendere gli attori chiave - Stati, capitali, persone - trasparenti gli uni agli altri. Il ruolo del giornalismo di pace è quello di identificare le forze e le controforze a favore e contro la pace e di renderle visibili con la loro dialettica, creando risultati che potrebbero rappresentare potenziali soluzioni» (Galtung, 2015).

Ci lascia un patrimonio, di ricerche e di pratiche, vastissimo per quantità e inestimabile per qualità. Il suo Metodo Transcend è stato tradotto in italiano grazie al prezioso lavoro degli amici e delle amiche del Centro Studi Sereno Regis (Torino, 2006); il Centro Gandhi ha pubblicato il saggio Alla scoperta di Galtung (Pisa, 2017); l’Università di Pisa il suo Affrontare il conflitto. Trascendere e trasformare (Pisa, 2014). Se ne va un grande costruttore di pace; resta il suo messaggio prospettico, profondo, di nonviolenza, di pace e di giustizia.

lunedì 1 gennaio 2024

Riprendiamo e rilanciamo l’esperienza dei Corpi Civili di Pace.


Foto di Pax Christi Italia: FB @PaxChristiIT

 
Documento a conclusione della prima giornata del Convegno di Gorizia/Nova Gorica "Negoziare la Pace" (30 dicembre 2023) appuntamento di fine anno di Pax Christi Italia con il Comitato permanente per la Pace di Gorizia e Nova Gorica.


I Corpi Civili di Pace rappresentano una proposta complessiva di società civile per la prevenzione e il contrasto della guerra, per la concretizzazione della diplomazia dei popoli, per la promozione e la costruzione della pace. Essi ereditano e fanno propria una lunga tradizione di pensiero e di pratiche di società civile e movimenti popolari per la pace, i diritti umani e la nonviolenza, dalle Shanti Sena di ispirazione gandhiana alle World Peace Brigades, dai Caschi Bianchi alla promessa, ispirata da Alex Langer e altri/altre, di Corpi Civili di Pace Europei.

Ad essi fanno riferimento documenti ed esperienze capaci di ispirare i percorsi del nostro tempo: a partire dalla Agenda per la Pace (1992) del Segretario Generale delle Nazioni Unite Boutros Boutros-Ghali con le definizioni di peace-keeping, peace-making, peace-building e diplomazia preventiva, e quindi le numerose e ricchissime esperienze di interposizione e di mediazione di pace della società civile, dalle marce per la pace nella ex Jugoslavia alle esperienze di interposizione nonviolenta nei conflitti, dall’esperienza delle Ambasciate di Pace in zona di confitto, in particolare in Iraq e in Kosovo, alle più recenti sperimentazioni per Corpi Civili di Pace.

I Corpi Civili di Pace sono infatti un potente strumento di impegno civile, non armato e nonviolento, “sui” e “nei” conflitti: uno strumento per agire “sui” conflitti, per studiarli e interpretarli, comprenderne le moderne modalità di articolazione, e per intervenire “nei” conflitti, per contenerne la dinamica, impedirne l’escalazione, prevenirne l’insorgenza, avviarne la trasformazione, superarli nel senso della costruzione della pace.

Come le organizzazioni di società civile hanno più volte sperimentato nei loro progetti, non solo l’intervento si svolge nel quadro di una progettazione condivisa, in tutte le sue fasi, con gli operatori e le operatrici locali, ma può concretizzarsi solo su «richiesta leggibile» da parte degli operatori e delle operatrici dei contesti di destinazione, che attivano e concretizzano, quindi, la richiesta di un intervento che avvenga a supporto degli attori di pace locali nel loro impegno per la de-escalazione, per i diritti umani e per la costruzione della pace.

In coerenza con queste premesse, i Corpi Civili di Pace possono sviluppare, in ambito civile, relazioni di collaborazione con altre organizzazioni di società civile purché queste abbiano scelto una modalità di azione sinceramente ispirata ai valori della pace e dei diritti umani, mostrando, al tempo stesso, una potenzialità di impatto positivo sul conflitto, ai fini della sua gestione, soluzione e trasformazione nonviolenta.

Viceversa, per quanto concerne l’ambito militare, «con attori armati - regolari e non regolari - non sono ammesse forme di collaborazione o sinergia né scorta armata; può esserci dialogo finalizzato alla gestione nonviolenta del conflitto o scambio di informazioni sulla sicurezza, ove questo non pregiudichi la legittimità nonviolenta della missione, in termini di modalità d’azione e di ricezione presso le parti», così come evidenzia il documento su “Identità e criteri degli Interventi Civili di Pace italiani”, elaborato, nel 2011, dal Tavolo Interventi Civili di Pace.

Sul campo, dunque, si possono attivare collaborazioni con altre realtà di società civile, agenzie di organizzazioni internazionali, istituzioni pubbliche, solo se tali rapporti non minano l’indipendenza e l’imparzialità della missione.

Come tante volte le realtà di società civile hanno saputo concretizzare nelle loro attività e nei loro progetti di prevenzione della violenza e di costruzione della pace, si tratta di essere, quanto più possibile, «neutrali rispetto alle parti in conflitto, ma mai neutrali di fronte alle grandi violazioni dei diritti umani», avendo come bussola la Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione universale dei diritti umani, i principi fondativi del diritto e della giustizia internazionale, e facendo affidamento su una formazione e una preparazione solide ed efficaci.

I Corpi Civili di Pace sono, infatti, una modalità di intervento civile, non armato e nonviolento, posta in essere da squadre di civili, professionisti e volontari, che, come terze parti, sostengono gli attori locali nella prevenzione della violenza, nella gestione e trasformazione del conflitto, nella costruzione della pace.

L’impegno della società civile, nel contesto dell’attivazione di Gorizia e Nova Gorica come Capitale Europea della Cultura 2025, può dunque alimentare e rinnovare la proposta di trasformare Nova Gorica con Gorizia in un vero e proprio epicentro di elaborazione e formazione per Corpi Civili di Pace e, in prospettiva e con altre realtà sulla scena nazionale e internazionale, in un vero e proprio laboratorio planetario di pace e giustizia.

È più che mai opportuno, in questo senso, rilanciare un percorso, nel quadro di Gorizia e Nova Gorica Capitale Europea della Cultura, finalizzato alla costruzione di un vero e proprio «Centro internazionale di elaborazione e di formazione per Corpi Civili di Pace». Come nelle migliori esperienze sviluppate in tal senso, a partire da un forte radicamento locale, capace di veicolare consenso e partecipazione intorno ai contenuti della proposta, ci si propone di promuovere una proficua convergenza tra enti, istituzioni scientifiche e accademiche, organizzazioni e reti della società civile, per sviluppare le due direttrici di tale impegno: un Centro internazionale, basato a Gorizia e Nova Gorica, per la formazione degli operatori e delle operatrici dei Corpi Civili di Pace e per l’elaborazione di analisi e strumenti per la prevenzione della violenza e la trasformazione positiva dei conflitti.