Manifestare, assumere un’iniziativa, scendere in piazza per la pace, meglio ancora, si può dire, «contro la guerra e per la pace», è opportuno, necessario, importante. Opportuno, anzitutto, perché occorre dare voce ed espressione, tangibile e visibile, a quella larga maggioranza del popolo italiano che si è espressa e continua a esprimersi contro la guerra, con specifico riferimento alla guerra più recente, quella che oppone la Russia e la NATO in Ucraina. Come ha riportato, lo scorso 15 luglio, un articolo di antimafiaduemila, «dal 20 maggio all’8 luglio gli italiani che ... pensano che bisognerebbe continuare a inviare armi a Kiev si attestano su una media del 16%, ... mentre con maggiore favore, tra il 19% e il 31%, è vista l’opzione di mantenere le sanzioni ma smettere di mandare armi. Un dato rilevante ... evidenzia che al netto della percentuale di chi non esprime la propria opinione, la maggioranza relativa degli intervistati auspica il ritiro delle sanzioni e l’assunzione da parte dell’Italia del ruolo di mediazione (tra il 26% e il 28%). Rispetto all’aumento delle spese militari, inoltre, prevale un atteggiamento prevalentemente pacifista dell’opinione pubblica italiana, con un 60% ... in disaccordo con la scelta governativa di aumentare le spese militari, stando alle rilevazioni periodiche di Emg Different. Le percentuali di quanti invece si mostrerebbero favorevoli a un tale incremento si attesterebbero a un massimo del 30%».
Necessario, quindi, perché sempre più la dinamica della guerra e i suoi effetti economici e sociali, in particolare sui Paesi europei, si stanno rivelando insostenibili, con una escalation di distruzione e di morte sul campo di battaglia e con pesanti ripercussioni sulle economie e sulle società del Vecchio Continente, come emerge dal Report FragilItalia, di Area Studi Legacoop e Ipsos, secondo il quale «rispetto a inizio anno aumentano le difficoltà di pagare rate di finanziamenti personali (... 66%), di pagare l’affitto (... 65%) e di pagare il mutuo (... 61%). A pagare il prezzo più alto, i giovani della fascia 18-30 anni (il 76% ha difficoltà a pagare l’affitto), i residenti nel Mezzogiorno, gli appartenenti al ceto popolare (dove l’85% dichiara difficoltà a pagare le rate del mutuo e l’84% i canoni dell’affitto) e medio-basso. Ma sono anche i consumi a risentirne. L’81% (2 punti in più rispetto a inizio anno) dichiara di dover ridurre i consumi, o rinunciarvi, di gas ed energia elettrica; il 75% (4 punti in più) di abbigliamento; il 74% (3 punti in più) di benzina e gasolio; ... il 62% (1 punto in più) di carne. In testa alla lista dei consumi che subiranno drastici tagli o la completa rinuncia si colloca l’abbigliamento (33%), seguito ... dalle scarpe e dal gas ed energia elettrica (entrambi al 29%) e da benzina e gasolio (26%)».
Importante, appunto, perché prendere parola e assumere un’iniziativa contro la guerra e per la pace e, nello specifico del conflitto ucraino, per la fine di tutte le iniziative e le misure utili solo ad alimentare la guerra e la prosecuzione delle ostilità, per la fine della fornitura di armi all’Ucraina e la fine delle sanzioni alla Russia, per la cessazione dell’escalation e un immediato cessate-il-fuoco, per l’apertura di spazi per la soluzione diplomatica del conflitto basata su ipotesi di mutuo beneficio e di reciproca sicurezza (anche sulla base dello spirito dei protocolli di Minsk del settembre 2014 e del febbraio 2015, contemperando i principi di integrità territoriale e di autodeterminazione dei popoli e assicurando uno spazio di sicurezza libero dalla minaccia rappresentata dalle ingerenze USA e NATO sino ai confini della Federazione Russa), significa, al tempo stesso, riportare la logica della pace (del dialogo e della politica, del confronto e della diplomazia) e non la follia della guerra (con cui provare a imporre nuovi disegni egemonici o domini unipolari) al centro della politica e delle relazioni internazionali.
Non di meno, manifestare per la pace, assumere un’iniziativa in direzione del superamento e della trasformazione del conflitto e, in definitiva, della fine della guerra e della costruzione della «pace con mezzi pacifici», comporta anche un’assunzione di responsabilità che interroga, al tempo stesso, la credibilità di chi si fa interprete di proposte di manifestazione e di iniziativa e l’impegno di un’articolazione sociale la più incisiva ed efficace possibile rispetto agli obiettivi delle azioni che si vanno proponendo. Anche per questo hanno suscitato reazioni comprensibilmente contrastanti le proposte di manifestazione sin qui avanzate a livello istituzionale: da quella lanciata, con una recente intervista al Fatto Quotidiano, da Giuseppe Conte per «una manifestazione senza sigle e senza bandiere, aperta a tutti i cittadini che nutrono forte preoccupazione per il crinale che il conflitto in Ucraina sta prendendo», a quella proposta dal presidente della giunta della Regione Campania, Vincenzo de Luca, quest’ultima con l’obiettivo di «un cessate-il-fuoco di un mese, per ridare spazio a organismi nazionali e internazionali, ad autorità religiose e morali, al mondo della cultura, per lo sviluppo di iniziative di pace».
Occorre, viceversa, un’iniziativa di pace sociale e politica al tempo stesso, di ispirazione sociale e di caratura politica, tale da porsi, cioè, nell’ottica di costruire la piattaforma più avanzata possibile capace di mobilitare lo schieramento sociale più ampio possibile, in maniera incisiva e non episodica, alimentando la mobilitazione e facendo politica per la pace, e per la «pace positiva», nel senso della pace, dei diritti e della giustizia sociale. Un segnale in questa direzione, per la platea coinvolta e la tempistica indicata, giunge dall’appello «Non per noi, ma per tutte e tutti» per una manifestazione nazionale il 5 novembre «per la pace, la giustizia sociale e ambientale, contro le diseguaglianze e l’esclusione», in una dimensione «plurale, partecipata, democratica, conflittuale per rimettere al centro la voce dei diritti, contro le disuguaglianze e l’esclusione, per la giustizia sociale e ambientale».