Marko Kafé, Reste eines John Lennon Portraits und mehrere Friedens Symbole, Prag, Particolare, 23. 08. 2019: CC BY-SA 4.0 - via Wikimedia Commons creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0 |
È stata inaugurata lo scorso 4 marzo, all’approssimarsi del trentennale dell’inizio delle ostilità che portarono alla guerra in Bosnia Erzegovina (aprile 1992), la mostra collettiva, a cura di Galerija Brodac e Kuma International, intitolata «ReMemory 1992-2022/Art and Memory», che espone le opere di undici artisti e artiste nazionali e internazionali e partecipanti a workshop tematici, sul tema, cruciale nei percorsi di trasformazione e di trascendimento del conflitto, della memoria e delle cosiddette «forme della commemorazione». Come viene indicato nella presentazione dell’iniziativa, infatti, «i workshop si sono concentrati sull’arte contemporanea e la fotografia nel contesto delle forme contemporanee di commemorazione. I workshop consistevano in approcci teorici e pratici e utilizzavano metodologie interattive, dinamiche, per coinvolgere pienamente i giovani partecipanti. Con questi ultimi, gli artisti e le artiste Ziyah Gafić, Smirna Kulenović, Enrico Dagnino, Mak Hubjer, Velibor Božović e Aida Šehović hanno risposto a numerose domande su natura e forme della memoria, del tipo: «come ricordiamo il passato e qual è il ruolo dell’arte e della fotografia nella commemorazione?».
«I workshop sono stati organizzati nell’ambito del progetto intitolato «ReMemory 1992-2022: 30 years of remembrance through art in Bosnia and Herzegovina». In occasione del trentesimo anniversario dell’inizio della guerra di Bosnia, il progetto si concentra sulle storie di Sarajevo e di Gorazde e coinvolge attivisti/e ed artisti/e allo scopo di offrire una prospettiva locale/contestuale sulle conseguenze del passato e sulla memoria degli eventi del passato. Il progetto è pensato per offrire a tutti i partecipanti una conoscenza approfondita sui concetti di divisione e spazi contesi, tempo e fluidità dei confini, e per consentire ai partecipanti di riflettere sul ruolo dell’arte e della cultura nella trasformazione sociale. L’obiettivo del progetto è di permettere la scoperta del passato per un futuro positivo e inclusivo in Bosnia Erzegovina al fine di incoraggiare un percorso unitario e coerente. I workshop hanno offerto un’opportunità unica per studiare il passato all’interno della comunità».
Sulla base delle note di presentazione, infatti, «la Galleria Brodac è stata fondata con l’entusiasmo di diversi volontari disposti a combattere contro l’oppressione socio-economica e politica e contro l’indifferenza. Un gruppo di giovani artisti ha organizzato «azioni di lavoro» per creare uno spazio in cui esporre e condividere con i colleghi, dal momento che né le autorità né altri erano disposti a prendersi cura dell’arte che le giovani generazioni hanno da proporre. La missione primaria è di promuovere e valorizzare la scena artistica contemporanea in Bosnia e all’estero, un contributo concreto per cambiamenti positivi nella società. Migliorare la qualità della vita dei/delle cittadini/e portando avanti quanto di più importante c’è per la loro crescita personale e collettiva: la cultura. L’arte è - prima di tutto - uno strumento utile e necessario per combattere l’analfabetismo e il più forte sostegno per le persone. Un artista è un lavoratore che rappresenta costantemente tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici, che lavorano per vivere, guadagnando equamente attraverso il processo della creazione, realizzando un prodotto per il bene di tutti e tutte. Generando opportunità per gli artisti e per il pubblico di interagire in uno spazio indipendente, lontano da qualsiasi condizionamento politico o sociale indesiderato, va avanti il processo di de-marginalizzazione della cultura per rendere la scena artistica contemporanea più forte».
Il tema dei workshop, che hanno rappresentato l’ossatura concettuale del momento espositivo, con le opere di undici artisti ed artiste (Irma Bajramović, Velibor Božović, Enrico Dagnino, Anela Dumonjić, Ziyah Gafić, Mak Hubjer, Nora Köhler, Smirna Kulenović, Michael Pribich, Bedrija Šahbaz, Aida Šehović), è condensato dunque nel titolo: «ReMemory 1992-2022: trenta anni di commemorazione attraverso l’arte in Bosnia Erzegovina», dove il termine commemorazione allude, in effetti, al processo memoriale e finisce per indagare non solo lo spazio e le forme della «memoria nel post-conflitto», ma anche contenuti e modalità del processo di commemorazione stesso, come processo sociale, organizzato nello spazio pubblico, di esercizio del ricordo (a livello personale e familiare) e di costruzione della memoria collettiva (a livello pubblico e politico).
Se il tema della memoria collettiva si afferma, cioè, come veicolo potente di elaborazione di immaginari e di definizione di narrazioni collettive, attraverso forme sociali e ritualità condivise, si staglia sullo sfondo, proprio a partire dai contenuti della mostra, un tema delicatissimo e fondamentale, quello dell’arte come strumento di elaborazione del dolore e del trauma e come vettore di superamento e trasformazione del conflitto. L’arte è cioè una formidabile opportunità di manifestazione e di espressione attraverso la creatività e nello spazio del simbolico, e, come tale, può stimolare energie e attivare risorse. In questo senso, si afferma anche un principio di “politicità dell’arte”. L’arte è cioè, nella sua contestualizzazione nello spazio pubblico e nella sua capacità di vivere attraverso, dare forma e costruire relazioni sociali, intrinsecamente “politica”, nel senso più vivace e performativo del termine. E, di conseguenza, può essere anche un potente strumento di intervento sul conflitto, di interpretazione delle contraddizioni, di prefigurazione di orizzonti alternativi.
Come hanno ricordato, in un loro potente saggio proprio su questi temi, Lisa Schirch e Michael Shank, «benché l’arte non sia puramente funzionale, può tuttavia servire le funzioni sociali. L’arte è uno strumento che può comunicare e trasformare il modo in cui le persone pensano e agiscono. Le arti possono mutare le dinamiche all’interno di complicati conflitti inter-personali, inter-comunitari, nazionali e globali. [...] Le arti possono aiutare le persone a cambiare la loro visione del mondo. Durante un conflitto, i problemi appaiono insormontabili e totalizzanti. [...] L’arte può costituire, in definitiva, una struttura di riferimento per delle problematicità o delle relazioni, capace di offrire nuove prospettive e nuove possibilità di trasformazione, agire come un prisma per consentire di guardare il mondo attraverso una nuova visuale».