mercoledì 20 luglio 2016

Quale Bosnia: risultanze del censimento

di j.budissin (Julian Nitzsche) [GFDL (gnu.org/copyleft/fdl.html) o CC BY-SA 4.0-3.0-2.5-2.0-1.0 (creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0-3.0-2.5-2.0-1.0)], attraverso Wikimedia Commons



Sulla pubblicazione dei risultati del censimento in Bosnia si è sviluppato un lungo dibattito e sono montate non poche polemiche. Il censimento si è svolto, infatti, nel 2013 e, sin da subito, è stato accompagnato da polemiche: sui criteri di svolgimento delle indagini nelle diverse aree territoriali, sul carattere delle domande riguardanti l'appartenenza etnica, la religione e la madrelingua, sulla possibile strumentalizzazione ad uso politico dei dati statistici. Non si trattava e non si tratta di preoccupazioni di poco conto: basti ricordare, a proposito, che il precedente censimento si è svolto nel lontano 1991, in un contesto, ancora per poco, jugoslavo, prima dell'indipendenza del paese e prima della guerra, dell'assedio e della divisione su base etnica. Questa è, infatti, la motivazione di una delle tante preoccupazioni che hanno accompagnato il censimento: dopo la guerra, con gli Accordi di Dayton e la riconfigurazione amministrativa del paese, a partire dalla fine del 1995, la Bosnia Erzegovina è un paese unitario più di nome - e per poche funzioni, tra le quali, essenzialmente, quelle di politica estera, di politica doganale, di politica monetaria - che di fatto - e nella complessità della sua articolazione, nelle aree della politica interna, dell'amministrazione della giustizia, dell'istruzione, della sanità, del lavoro, di tutto quanto allude al welfare e al benessere della popolazione, a prescindere dalla provenienza etnica - divisa com'è in due entità prevalenti (la Federazione croato-musulmana e la Repubblica Serba di Bosnia), con una forte connotazione etnica (testimoniata peraltro sin dalle rispettive denominazioni), ciascuna dotata di una propria amministrazione ed una propria autonomia, di un proprio governo e di un proprio parlamento.

Alla fine, quasi tre anni dopo, i risultati del censimento sono stati pubblicati (e sono reperibili al sito internet: popis2013.ba) e rappresentano una fotografia delle contraddizioni del paese e dell'impegno che tuttora è evidentemente necessario per superare le conseguenze del conflitto e per migliorare le condizioni di vita della popolazione, di ogni etnia e provenienza. La popolazione totale della Bosnia Erzegovina (a seguire, per semplicità, Bosnia), ammonta oggi a poco più di 3.5 milioni di abitanti, di cui poco più di 2.2 milioni nella Federazione croato-musulmana e poco più di 1.2 milioni nella Repubblica Serba; 83 mila persone abitano il Distretto di Brčko, istituito per creare una sorta di corridoio a cavallo tra la Federazione e la Repubblica Serba, della quale interrompe la continuità territoriale. In termini percentuali, significa che la Federazione ospita ca. il 63% della popolazione, la Repubblica Serba il 35% e il Distretto di Brčko poco più del 2%, che corrispondono ampiamente alla ripartizione per linee etno-comunitarie della popolazione, dal momento che i bosniacchi (musulmani) sono il 50% della popolazione complessiva, ma il 70% della Federazione croato-musulmana e appena il 14% della Repubblica Serba, laddove, viceversa, i serbi sono quasi il 31% della popolazione complessiva, ma più dell'81% della Repubblica Serba e appena il 2.5% della Federazione croato-musulmana. I croati sono quasi il 15.5% del totale, vivono in gran parte nella Federazione (il 22.5% del totale), mentre nella Repubblica Serba ammontano ad appena il 2.5% del totale.

Per impostazione, il censimento non dava molte altre possibilità se non quelle di non dichiarare l'appartenenza etnica (opzione cui ha fatto ricorso meno del 1% del totale, con una percentuale sopra la media nella Federazione) o dichiararsi “ostali”, cioè “altri”, sfuggendo in questo modo alla gabbia etnica (anche questa, peraltro, allude alle conseguenze di Dayton) della tripartizione tra bosniacchi, serbi e croati, e sono “ostali”, secondo il censimento, quasi il 3% della popolazione totale e circa il 3.6% della Federazione. Quanto alla affiliazione religiosa, secondo il censimento, la Bosnia ospita quasi 1.8 milioni di musulmani (l'88% dei quali nella Federazione croato-musulmana, di cui costituiscono il 71% della popolazione), quasi 1.1 milione di ortodossi (il 92% dei quali in Repubblica Serba, di cui costituiscono l' 81% della popolazione) e quasi 536 mila cattolici (soprattutto nei cantoni croati della Federazione), cui vanno aggiunti quasi 11 mila agnostici e quasi 28 mila atei, mentre oltre 73 mila persone non dichiarano la religione o dichiarano “altro”.

Il censimento mostra intera la complessità e le contraddizioni che (ancora) attraversano il paese: la popolazione sopra i 15 anni in Bosnia ammonta a quasi tre milioni di persone, di queste il 59% dichiara di essere sposato, ma questa percentuale supera il 60% nella Federazione e si riduce al 57% nella Repubblica Serba; su una popolazione femminile superiore ai 15 anni pari a poco più di 1.5 milioni di donne, il 58% dichiara di avere almeno due figli; nell'ambito della popolazione complessiva superiore ai 10 anni di età, il 2.8% (quasi 90 mila persone) è analfabeta e di queste 90 mila persone, quasi 78 mila sono donne, cosicché, in termini percentuali, l'incidenza dell'analfabetismo tra gli uomini è dello 0.8% e tra le donne addirittura del 4.8%; in alcuni cantoni il tasso di analfabetismo supera l'8%; e, all'interno della popolazione complessiva sopra i 15 anni, la popolazione universitaria è inferiore al 10% e, come è facile immaginare, le aree in cui si misurano i tassi di istruzione superiore ed universitaria più rilevanti sono le maggiori aree urbane, dove la popolazione interessata supera il 20%, in special modo nei distretti di Sarajevo (capitale del paese), Mostar (una delle città di riferimento dei croati di Bosnia) e Banja Luka (capitale della Repubblica Serba). Tra la popolazione sopra i 10 anni, solo il 36% è “computer literate”, vale a dire capace di utilizzare appropriatamente il computer, mentre oltre il 62% è parzialmente incompetente o del tutto incompetente nell'utilizzo del computer. Infine, per quello che riguarda il lavoro, su una popolazione complessiva in età di lavoro pari a poco meno di tre milioni di persone, e una forza lavoro complessiva di 1.4 milioni di persone, i disoccupati ammontano in totale a più di 328 mila persone, con un tasso di disoccupazione pari al 24%, laddove tuttavia la percentuale tra le donne sale al 26%, segnalando, con tutta evidenza, il differenziale di genere e le difficoltà di sviluppo del paese.

Anche in comparazione col censimento del 1991, in evoluzione storica, i dati sono eloquenti: la popolazione bosniaca è diminuita di quasi 846 mila persone; i bosniacchi passano dal 43% al 50% della popolazione, i serbi restano intorno al 31%, i croati si riducono dal 17.5% al 15.5%; la voce degli “jugoslavi” non era prevista, ma nel 1991, si dichiarava tale il 5.5% della popolazione. Ne esce, in definitiva, il quadro di una Bosnia divisa e separata, condizionata dalle faglie etniche e dalle conseguenze del conflitto, letteralmente cristallizzata nella situazione sancita dagli accordi di Dayton che, se da un lato hanno consentito la fine della guerra e la ricostruzione del paese, tuttavia hanno finito per "sancire" la distizione etnica e la separazione delle comunità, con tassi di analfabetismo e gap di sviluppo ancora molto elevati, che necessita di ancora maggiore impegno e ancor più costante attenzione per liberarsi dal passato e andare incontro al futuro, migliorare le condizioni di vita e di lavoro e favorire processi inclusione e, davvero, di convivenza.

lunedì 18 luglio 2016

Presenza internazionale e diritti umani in Kosovo

Piazza Skanderbeg, nel cuore di Prishtina, capoluogo del Kosovo

È uno di quei documenti destinati a godere di pochissima visibilità sulla stampa non specialistica, eppure, non di meno, di grande importanza per farsi un'idea di prima mano delle conseguenze del conflitto nei Balcani e delle violazioni dei diritti umani che nella regione, in particolare, in Kosovo, si sono consumate e ancora si consumano. L'ottavo, ultimo, rapporto annuale 2015-2016 dello UN «Human Rights Advisory Panel» (HRAP), è stato ultimato nel Giugno scorso e reso noto all'opinione pubblica il 15 Luglio. Si tratta di un documento importante, di rilevanza internazionale, sebbene frutto del lavoro di indagine e di monitoraggio di una struttura di carattere consultivo, nel quale si mette in chiaro che la «United Nations Interim Administration Mission in Kosovo» (la Missione delle Nazioni Unite per l'Amministrazione Provvisoria del Kosovo, UNMIK) si è - o potrebbe essersi - resa responsabile di violazioni dei diritti umani in 83 casi sugli 88 presi in considerazione dal Panel nel periodo di esercizio del mandato, a cavallo tra il 1 Gennaio 2015 e il 31 Maggio 2016.

In questo lasso di tempo, il gruppo di esperti ha pubblicato una serie di importanti pareri per casi simili, per loro natura, a quelli che già erano stati presi in carico dal Panel nel corso degli ultimi anni. Si tratta, peraltro, di un casistica, alla lettura del report, afferente ad alcune ben specifiche e individuate fattispecie, dal momento che questi casi hanno riguardato - e riguardano - la presunta mancanza di indagini penali adeguate in relazione alle sparizioni, ai rapimenti ed alle uccisioni, ai sensi degli obblighi procedurali derivanti dall'articolo 2 della Convenzione Europea dei Diritti Umani (CEDU), nonché presunte violazioni dell'articolo 3 della stessa CEDU in relazione al trattamento inumano e degradante di familiari e di altri parenti stretti delle vittime.

Il Panel ha chiuso 527 casi, presi in considerazione tra il 2006 ed il 2010, riferendo di essere al corrente del fatto che ci sono tuttavia ancora persone che intendono presentare reclami o sporgere denunce su presunte violazioni da parte dell'UNMIK; casi ipotizzati sui quali, tuttavia, il Panel non potrà intervenire, dal momento che la UNMIK stessa ha fissato il 31 Marzo 2010 come la data limite per la giurisdizione temporale del Panel sui casi presentati. Il fatto stesso, come evidenziato dal report, che diversi casi, anche nell'ultimo lotto preso in considerazione, facciano riferimento a una casistica già precedentemente analizzata e che presunte mancate indagini e presunte violazioni di determinati diritti umani si siano ripresentati, può essere, a propria volta, la spia di un ambiente problematico, sotto questo punto di vista, in cui debolezza dello stato di diritto, mancanza di una solida cultura dei diritti umani, e varie, più o meno gravi, violazioni dei diritti, restano diffusi.

Tra questi casi, alcuni, indicati e riferiti ancora dal report, meritano una particolare attenzione. Ne segnaliamo alcuni, tra i quali il caso Kostic e altri, riguardante i rapimenti avvenuti nel corso di un assalto armato da parte dell'UCK (il famigerato Esercito di Liberazione del Kosovo, la formazione terroristica che ha rappresentato la fazione armata del movimento separatista albanese kosovaro) sui villaggi di Opterusa e Retimlje, ivi compresa la denuncia di sequestro e privazione di libertà per quattro giorni; il caso Balaj e altri, riguardante l'uso eccessivo della forza da parte della polizia dell'UNMIK durante un'operazione antisommossa, nel Febbraio 2007, che ha causato alcuni morti e feriti gravi (si tratta della circostanza del 10 Febbraio 2007, quando una protesta a Pristina degenerò in scontri e la polizia dell'UNMIK rispose con lancio di lacrimogeni e proiettili di gomma, causando la morte di due manifestanti, Mon Balaj e Arben Xheladini); il caso N.M. e altri, riguardante le accuse di avvelenamento da piombo e altri gravissimi problemi di salute, che ricadono ancora nella responsabilità dell'UNMIK, avendo quest'ultima dislocato alcuni membri della comunità R.A.E. (Rom, Ashkali, Egyptians, vale a dire le diverse denominazioni della comunità Rom e Ashkali nella regione) in alcuni campi - diffusamente contaminati - nel Nord del Kosovo per diversi anni.

Il Presidente del Panel, Marek Nowicki, ha sottolineato che il problema strutturale generale è la mancata attuazione dei pareri, delle opinioni e delle raccomandazioni espresse dal HRAP, soprattutto per quanto riguarda le compensazioni finanziarie a carico dell'UNMIK e a beneficio delle vittime dei torti o degli abusi che hanno sporto denuncia, come pure, non meno grave, la mancanza di progressi significativi compiuti da parte della EULEX (la «European Union Rule of Law Mission in Kosovo», Missione dell'Unione Europea per lo Stato di Diritti in Kosovo) o delle istituzioni dello stato di diritto kosovare in relazione ai casi legati ai rapimenti, alle sparizioni e alle uccisioni. Viene inoltre rimarcata la speranza che almeno alcuni di questi casi possano trovare un loro corretto percorso giudiziario nel quadro del tribunale speciale in via di costituzione da parte della comunità internazionale e delle autorità del Kosovo - la «Kosovo Relocated Specialist Judicial Institution» (KSJI) - la cui giurisdizione comprende in particolare i «gravi crimini commessi nel 1999-2000 dai membri del Kosovo Liberation Army o KLA (il famigerato Esercito di Liberazione del Kosovo, in albanese Ushtria Çlirimtare e Kosovës, UCK) contro le minoranze etniche e gli oppositori politici».

Come messo in chiaro nell'introduzione, il Panel, istituito con regolamento UNMIK 2006/12 sulla istituzione del Gruppo Consultivo per i Diritti Umani del 23 Marzo 2006, ha continuato a esaminare le denunce di presunte violazioni dei diritti umani commessi da o attribuibili alla Missione UNMIK delle Nazioni Unite in Kosovo durante tutto il suo periodo di funzionamento (2007-2016) a Pristina, (Prishtinë/Priština), il capoluogo del Kosovo. Il Panel, peraltro, rimane l'unico meccanismo inter-nazionale che si occupa di violazioni dei diritti umani commessi da o attribuibili a una missione sul campo delle Nazioni Unite. Sebbene il Panel non possa disporre risarcimenti, compensazioni o soccorsi specifici, tuttavia può determinare se l'UNMIK sia o sia stata responsabile di violazione dei diritti umani e, in caso affermativo, può formulare raccomandazioni, specifiche e puntuali, al Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite - lo «Special Representative of the Secretary-General» - (SRSG) circa le compensazioni oppure altri provvedimenti specifici.

Anche le raccomandazioni finali del report sono significative. Nel § 109, è scritto che «dal 1° Gennaio 2015 alla fine di Maggio 2016, il gruppo di esperti ha adottato pareri sul merito di 88 casi. Di questi, in 83 casi ha trovato violazioni dei diritti umani a carico dell'UNMIK, mentre solo in cinque casi ha confermato che tali violazioni non hanno avuto luogo. In ciascuno dei casi in cui sono state trovate tali violazioni, il gruppo ha ritenuto necessaria una qualche forma di riparazione. Anche quest'anno, come negli anni passati, il gruppo di esperti ha trovato problematico determinare quali raccomandazioni avanzare in una situazione in cui l'UNMIK non è più in grado di avere un impatto diretto sulle decisioni che si prendono in Kosovo. L'UNMIK non può più emendare la normativa se necessario (o comunque, anche se ha emendato la normativa vigente, non può più garantirne l'applicazione), né può chiedere alle autorità del Kosovo di porre rimedio alle carenze individuate dal gruppo di esperti. Questa situazione ha richiesto al gruppo di esperti di muoversi con la consapevolezza di tali limitazioni, nell'avanzare raccomandazioni che potrebbero avere impatto positivo sulla situazione dei diritti umani delle persone che hanno presentato le denunce».

Infine, al § 111, «il gruppo di lavoro ha raccomandato all'UNMIK di prendere misure appropriate, nonché altre entità del sistema delle Nazioni Unite operanti in Kosovo, enti locali e organizzazioni non governative, per la realizzazione di un programma completo ed esauriente di riparazioni, inclusi la restituzione, il risarcimento, la riabilitazione, la soddisfazione e le garanzie di non ripetizione, per le vittime - di tutte le comunità - di gravi violazioni dei diritti umani che si sono verificate durante e dopo il conflitto in Kosovo. Infine, il gruppo di lavoro ha raccomandato ancora all'UNMIK di prendere le misure appropriate presso gli organi competenti delle Nazioni Unite, ivi compreso il Segretario Generale delle Nazioni Unite, per l'assegnazione di adeguate risorse umane e finanziarie per garantire che gli standard internazionali sui diritti umani siano rispettati in ogni momento dalle Nazioni Unite, anche quando si trovino ad esercitare funzioni amministrative ed esecutive su un determinato territorio, e di prevedere un monitoraggio completo, efficace e indipendente». Come detto all'inizio, si tratta di un documento, per quanto importante, privo di una efficacia vincolante, in virtù del suo stesso carattere “consultivo”; il suo lavoro è stato, tuttavia, prezioso nel mettere in luce le gravi contraddizioni dello stato di fatto in vigore in Kosovo e nel porre in chiaro l'inderogabile necessità della difesa e del consolidamento di «tutti i diritti umani per tutti» nella regione.