Monumento alla Pace (1992), Kruševac, Serbia, foto di Gianmarco Pisa |
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato (2 maggio 2024) il testo in occasione della celebrazione dei 25 anni della storica Dichiarazione sulla cultura di pace, con lo scopo di delineare l’importanza degli sforzi collettivi per promuovere una cultura di pace in un mondo drammaticamente segnato da crisi e conflitti armati. Il progetto di risoluzione “Sviluppo della Dichiarazione e Programma d’azione per una cultura di pace” (A/78/L.57) propone diverse attività e iniziative in occasione dell’anniversario della Dichiarazione, inclusa la convocazione di un forum ad alto livello nel contesto della settantottesima sessione dell’Assemblea Generale.
Durante il dibattito, il rappresentante della Repubblica Bolivariana del Venezuela, parlando a nome del Gruppo di amici in difesa della Carta delle Nazioni Unite, ha messo in guardia dal giustificare erroneamente il razzismo, la discriminazione razziale e l’incitamento all’odio con il pretestuoso riferimento alla “libertà di espressione” e ha condannato il sentimento antireligioso, l’esaltazione del fascismo e del nazismo e la stigmatizzazione dei migranti. Nelle sue dichiarazioni, “promuovere la comprensione e il rispetto tra le varie culture e le diverse religioni è di fondamentale importanza nella nostra ricerca condivisa della pace globale”.
Il progetto di risoluzione A/78/L.57, presentato su iniziativa di Bangladesh, Kiribati, Qatar, Federazione Russa, Turkmenistan e Tanzania, ricorda l’importanza della Dichiarazione e del Programma d’azione per una cultura di pace, adottati dall’Assemblea Generale il 13 settembre 1999, che, a loro volta, esprimono il mandato universale della comunità internazionale, in particolare del sistema delle Nazioni Unite, nella promozione di una cultura della pace e della nonviolenza a beneficio dell’umanità, in particolare per le generazioni future.
Si afferma che “tutti gli sforzi compiuti dal sistema delle Nazioni Unite e dalla comunità internazionale complessivamente intesa per la prevenzione dei conflitti, la risoluzione pacifica delle controversie, il mantenimento della pace, la costruzione della pace, la mediazione, il disarmo, lo sviluppo, la promozione della dignità umana e dei diritti umani, la democrazia, lo stato di diritto, l’inclusione sociale e l’uguaglianza di genere contribuiscono significativamente a una cultura di pace”. In questo senso, “gli sforzi volti a costruire e sostenere la pace (“peacebuilding”) devono tenere conto della promozione di una cultura di pace e viceversa”.
Si incoraggia l’architettura del peacebuilding delle Nazioni Unite a continuare a promuovere la costruzione della pace e le attività di pace, come delineato nelle risoluzioni 72/276 e 75/201, e a promuovere una cultura di pace e di nonviolenza negli sforzi di peacebuilding post-conflitto, riconoscendo altresì l’importante ruolo della “Commissione per il Peacebuilding” delle Nazioni Unite. Qui, nella risoluzione adottata dall’Assemblea Generale il 21 dicembre 2020 (Review of the United Nations peacebuilding architecture, 75/201), si mette in evidenza che “il ‘sostenere la pace’ va inteso come obiettivo e come processo per costruire una visione comune di società, garantendo che i bisogni di tutti i segmenti della popolazione siano presi in considerazione, per prevenire lo scoppio, l’escalation, la continuazione dei conflitti, nell’affrontare le cause profonde, assistere le parti in conflitto per porre fine alle ostilità, garantire la riconciliazione nazionale e procedere verso la ripresa, la ricostruzione e lo sviluppo, e sottolineando che il ‘sostenere la pace’ è un compito prioritario e una responsabilità condivisa che devono essere soddisfatti dai governi e da tutti gli altri soggetti interessati”.
Il progetto di risoluzione esprime poi “l’urgente necessità di promuovere e rafforzare la diplomazia preventiva, tra l’altro, attraverso il multilateralismo, la cooperazione internazionale e il dialogo politico, e sottolineando il ruolo cruciale delle Nazioni Unite”, adottando “un approccio olistico alle dimensioni trasversali della pace, dello sviluppo, dell’azione umanitaria e dei diritti umani al fine di prevenire il ripetersi di conflitti e violenze”. Si tratta anche di “esplorare meccanismi e strategie, in particolare nella sfera delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, per l’attuazione della Dichiarazione e avviare sforzi di sensibilizzazione per aumentare la consapevolezza del Programma d’azione e dei suoi ambiti di iniziativa finalizzati alla loro attuazione”. Si tratta di una eco significativa della storica “Agenda per la Pace” (1992) con i quattro ambiti di impegno del “lavoro di pace”: peace-making, peace-keeping, peace-building e, appunto, la diplomazia preventiva.
Il Programma d’azione (A/53/243) prevede infatti otto ambiti prioritari: cultura della pace attraverso l’educazione; sviluppo economico e sociale sostenibile; rispetto dei diritti umani (“tutti i diritti umani per tutti e per tutte”); parità tra donne e uomini; partecipazione democratica; comprensione, tolleranza e solidarietà; comunicazione partecipativa e libero flusso e scambio delle informazioni e delle conoscenze; pace e sicurezza internazionale. In questo senso, al livello di società civile, il ruolo delle iniziative e dei Corpi civili di pace, quale espressione specifica, autonoma, della società civile, opportunamente formata e preparata, ai fini della prevenzione della violenza, della mediazione e della costruzione della fiducia, della costruzione della pace, resta fondamentale e interseca gli otto ambiti prioritari: dall’educazione alla pace alla tutela dei diritti umani; dalla promozione dello sviluppo alla facilitazione dei processi partecipativi; dal supporto alle forze locali di pace al giornalismo di pace; dall’accompagnamento protettivo all’impegno nel consolidamento degli attori civili di pace.
Riferimenti:
“Follow-up to the Declaration and Programme of Action on a Culture of Peace” (A/78/L.57):
https://undocs.org/A/78/L.57
“Review of the United Nations peacebuilding architecture” (A/RES/75/201):
https://undocs.org/en/A/RES/75/201
Declaration and Programme of Action on a Culture of Peace (A/RES/53/243):
https://undocs.org/en/A/RES/53/243
Durante il dibattito, il rappresentante della Repubblica Bolivariana del Venezuela, parlando a nome del Gruppo di amici in difesa della Carta delle Nazioni Unite, ha messo in guardia dal giustificare erroneamente il razzismo, la discriminazione razziale e l’incitamento all’odio con il pretestuoso riferimento alla “libertà di espressione” e ha condannato il sentimento antireligioso, l’esaltazione del fascismo e del nazismo e la stigmatizzazione dei migranti. Nelle sue dichiarazioni, “promuovere la comprensione e il rispetto tra le varie culture e le diverse religioni è di fondamentale importanza nella nostra ricerca condivisa della pace globale”.
Il progetto di risoluzione A/78/L.57, presentato su iniziativa di Bangladesh, Kiribati, Qatar, Federazione Russa, Turkmenistan e Tanzania, ricorda l’importanza della Dichiarazione e del Programma d’azione per una cultura di pace, adottati dall’Assemblea Generale il 13 settembre 1999, che, a loro volta, esprimono il mandato universale della comunità internazionale, in particolare del sistema delle Nazioni Unite, nella promozione di una cultura della pace e della nonviolenza a beneficio dell’umanità, in particolare per le generazioni future.
Si afferma che “tutti gli sforzi compiuti dal sistema delle Nazioni Unite e dalla comunità internazionale complessivamente intesa per la prevenzione dei conflitti, la risoluzione pacifica delle controversie, il mantenimento della pace, la costruzione della pace, la mediazione, il disarmo, lo sviluppo, la promozione della dignità umana e dei diritti umani, la democrazia, lo stato di diritto, l’inclusione sociale e l’uguaglianza di genere contribuiscono significativamente a una cultura di pace”. In questo senso, “gli sforzi volti a costruire e sostenere la pace (“peacebuilding”) devono tenere conto della promozione di una cultura di pace e viceversa”.
Si incoraggia l’architettura del peacebuilding delle Nazioni Unite a continuare a promuovere la costruzione della pace e le attività di pace, come delineato nelle risoluzioni 72/276 e 75/201, e a promuovere una cultura di pace e di nonviolenza negli sforzi di peacebuilding post-conflitto, riconoscendo altresì l’importante ruolo della “Commissione per il Peacebuilding” delle Nazioni Unite. Qui, nella risoluzione adottata dall’Assemblea Generale il 21 dicembre 2020 (Review of the United Nations peacebuilding architecture, 75/201), si mette in evidenza che “il ‘sostenere la pace’ va inteso come obiettivo e come processo per costruire una visione comune di società, garantendo che i bisogni di tutti i segmenti della popolazione siano presi in considerazione, per prevenire lo scoppio, l’escalation, la continuazione dei conflitti, nell’affrontare le cause profonde, assistere le parti in conflitto per porre fine alle ostilità, garantire la riconciliazione nazionale e procedere verso la ripresa, la ricostruzione e lo sviluppo, e sottolineando che il ‘sostenere la pace’ è un compito prioritario e una responsabilità condivisa che devono essere soddisfatti dai governi e da tutti gli altri soggetti interessati”.
Il progetto di risoluzione esprime poi “l’urgente necessità di promuovere e rafforzare la diplomazia preventiva, tra l’altro, attraverso il multilateralismo, la cooperazione internazionale e il dialogo politico, e sottolineando il ruolo cruciale delle Nazioni Unite”, adottando “un approccio olistico alle dimensioni trasversali della pace, dello sviluppo, dell’azione umanitaria e dei diritti umani al fine di prevenire il ripetersi di conflitti e violenze”. Si tratta anche di “esplorare meccanismi e strategie, in particolare nella sfera delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, per l’attuazione della Dichiarazione e avviare sforzi di sensibilizzazione per aumentare la consapevolezza del Programma d’azione e dei suoi ambiti di iniziativa finalizzati alla loro attuazione”. Si tratta di una eco significativa della storica “Agenda per la Pace” (1992) con i quattro ambiti di impegno del “lavoro di pace”: peace-making, peace-keeping, peace-building e, appunto, la diplomazia preventiva.
Il Programma d’azione (A/53/243) prevede infatti otto ambiti prioritari: cultura della pace attraverso l’educazione; sviluppo economico e sociale sostenibile; rispetto dei diritti umani (“tutti i diritti umani per tutti e per tutte”); parità tra donne e uomini; partecipazione democratica; comprensione, tolleranza e solidarietà; comunicazione partecipativa e libero flusso e scambio delle informazioni e delle conoscenze; pace e sicurezza internazionale. In questo senso, al livello di società civile, il ruolo delle iniziative e dei Corpi civili di pace, quale espressione specifica, autonoma, della società civile, opportunamente formata e preparata, ai fini della prevenzione della violenza, della mediazione e della costruzione della fiducia, della costruzione della pace, resta fondamentale e interseca gli otto ambiti prioritari: dall’educazione alla pace alla tutela dei diritti umani; dalla promozione dello sviluppo alla facilitazione dei processi partecipativi; dal supporto alle forze locali di pace al giornalismo di pace; dall’accompagnamento protettivo all’impegno nel consolidamento degli attori civili di pace.
Riferimenti:
“Follow-up to the Declaration and Programme of Action on a Culture of Peace” (A/78/L.57):
https://undocs.org/A/78/L.57
“Review of the United Nations peacebuilding architecture” (A/RES/75/201):
https://undocs.org/en/A/RES/75/201
Declaration and Programme of Action on a Culture of Peace (A/RES/53/243):
https://undocs.org/en/A/RES/53/243