International Students’ Committee, Johan Galtung in May 2011 at the 41. St. Gallen Symposium, University of St. Gallen, via Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0 |
Con la scomparsa di Johan Galtung, l’intera comunità degli uomini e delle donne amanti della pace, e della «pace con giustizia», e al suo interno la comunità, di elaborazione e di pratiche, degli operatori e delle operatrici di pace, a tutte le latitudini, è, da oggi, più sola. Se ne va una figura essenziale, seminale, un imprescindibile, della modalità con la quale guardiamo (e interpretiamo) i conflitti, micro, meso, macro, persino mega, come talvolta amava richiamare, e della modalità con la quale interveniamo (e trasformiamo) nei conflitti, alimentando, sul sentiero della ricerca e dell’azione da lui tracciato, la speranza del “trascendimento”.
Nato a Oslo nel 1930, dottore di ricerca in matematica (1956) e in sociologia (1957), è stato docente di Scienze per la pace ed esperto nella mediazione e risoluzione dei conflitti. È il creatore del Metodo Transcend per il trascendimento dei conflitti e il fondatore della Rete Transcend per la pace, lo sviluppo e l’ambiente, nonché, precedentemente, dell’Istituto Internazionale di Ricerca per la Pace di Oslo (1959) e del Journal of Peace Research (1964). Ha insegnato in numerose università in tutto il mondo, ad esempio ad Oslo, Berlino, Parigi, a Santiago del Cile, a Buenos Aires, ma anche a Princeton, alle Hawaii, e ad Alicante. È stato professore onorario alla Freie Universität di Berlino (1984-1993), dal 1993 professore illustre di Studi sulla pace alla Università delle Hawaii e dal 2005 illustre “visiting professor” presso la John Perkins University.
Il suo impegno si è svolto sia nel campo della ricerca sia nell’ambito della mediazione e della risoluzione dei conflitti. Sono oltre 150 i conflitti, sia di carattere internazionale, sia di ambito sociale, in cui è stato impegnato. È autore di 96 libri e di oltre 1700 tra articoli e capitoli. Tra i vari riconoscimenti, ha conseguito nel 1987 il «Right Livelihood Award», il Nobel per la Pace alternativo e, tra i più recenti, il titolo di laurea honoris causa in scienze politiche presso la Universidad Complutense di Madrid (2017). Importantissima, d’altro canto, anche la sua frequentazione italiana: indimenticabile la lectio magistralis da lui tenuta al convegno del Centro Studi SOUQ del 13 dicembre 2013, nell’Aula magna dell’Università degli Studi di Milano; non meno indimenticabile la sua lectio magistralis (“Necessità e importanza di un Centro per la prevenzione dei conflitti armati”) in occasione del Convegno nazionale su “La prevenzione dei conflitti armati e la formazione dei corpi civili di pace”, tenuto a Vicenza il 3-5 giugno 2011 e che rappresentò un contributo decisivo per rilanciare il percorso per la costruzione dei corpi civili di pace e per riaffermare l’importanza cruciale della formazione degli operatori e delle operatrici. Fu, al tempo stesso, un vero e proprio incontro di pace e di cittadinanza.
Con lui se ne va la figura, sia consentita una simile digressione, di un vero e proprio “rivoluzionario”: per le sue teorie, profonde e innovative, riguardanti l’analisi “sul” conflitto e l’intervento “nel” conflitto, e in quanto fonte di ispirazione nei vasti campi della costruzione della pace. Il suo contributo sull’importanza determinante, retroagente, degli orientamenti culturali (attitudes) e delle contraddizioni strutturali (contradictions) nella dinamica dei conflitti; la sua interpretazione del conflitto come manifestazione di “incompatibilità” causate dall’azione di «culture profonde» e «strutture profonde»; il suo approccio, olistico e razionale, alla dinamica del conflitto e alla costruzione della pace, restano contributi decisivi sui quali si fonda una moderna ricerca per la pace, e a partire dai quali occorre impostare una coerente iniziativa di trasformazione e di trascendimento.
Tanto è arduo sintetizzare in poche righe il contributo di Galtung alla ricerca e alla prassi della costruzione della pace, quanto è impensabile tacere di altri suoi contributi, per alcuni versi più specifici, per altri più generali, della sua elaborazione intellettuale, della sua ricerca concreta. Nessun operatore o operatrice di pace potrebbe oggi fare a meno degli elementi fondamentali indicati da Galtung per il lavoro di pace: empatia, nonviolenza, creatività. La creatività (innovazione) concepita come «la capacità di andare oltre le cornici mentali delle parti in conflitto, aprendo la strada a nuove modalità di concepire la relazione sociale». L’empatia (sentire insieme) intesa come «la capacità di una comprensione profonda ... dell’Altro». La nonviolenza, in definitiva, come «la duplice capacità di resistere alla tentazione di affidarsi alla violenza e di proporre soluzioni nonviolente concrete». Questa capacità agisce sia ai fini della risoluzione del conflitto, sia nella prevenzione della violenza.
Attraverso questa filigrana, si legge un altro contributo imprescindibile ispirato da Galtung per il lavoro di tutti gli attivisti e le attiviste e di tutti i sinceri amanti della «pace con giustizia», un contributo cui l’intera, vasta e plurale, comunità di Pressenza, mai potrebbe restare indifferente: il “giornalismo di pace”. «Per parlare di giornalismo di pace, bisogna parlare di pace. Per parlare di pace, bisogna parlare di conflitti e della loro risoluzione. Per parlare di risoluzione dei conflitti, bisogna parlare del profondo coinvolgimento degli Stati Uniti in molti conflitti globali. Il ruolo del giornalismo non è solo quello di raccontare il mondo, ma anche di rendere gli attori chiave - Stati, capitali, persone - trasparenti gli uni agli altri. Il ruolo del giornalismo di pace è quello di identificare le forze e le controforze a favore e contro la pace e di renderle visibili con la loro dialettica, creando risultati che potrebbero rappresentare potenziali soluzioni» (Galtung, 2015).
Ci lascia un patrimonio, di ricerche e di pratiche, vastissimo per quantità e inestimabile per qualità. Il suo Metodo Transcend è stato tradotto in italiano grazie al prezioso lavoro degli amici e delle amiche del Centro Studi Sereno Regis (Torino, 2006); il Centro Gandhi ha pubblicato il saggio Alla scoperta di Galtung (Pisa, 2017); l’Università di Pisa il suo Affrontare il conflitto. Trascendere e trasformare (Pisa, 2014). Se ne va un grande costruttore di pace; resta il suo messaggio prospettico, profondo, di nonviolenza, di pace e di giustizia.
Nato a Oslo nel 1930, dottore di ricerca in matematica (1956) e in sociologia (1957), è stato docente di Scienze per la pace ed esperto nella mediazione e risoluzione dei conflitti. È il creatore del Metodo Transcend per il trascendimento dei conflitti e il fondatore della Rete Transcend per la pace, lo sviluppo e l’ambiente, nonché, precedentemente, dell’Istituto Internazionale di Ricerca per la Pace di Oslo (1959) e del Journal of Peace Research (1964). Ha insegnato in numerose università in tutto il mondo, ad esempio ad Oslo, Berlino, Parigi, a Santiago del Cile, a Buenos Aires, ma anche a Princeton, alle Hawaii, e ad Alicante. È stato professore onorario alla Freie Universität di Berlino (1984-1993), dal 1993 professore illustre di Studi sulla pace alla Università delle Hawaii e dal 2005 illustre “visiting professor” presso la John Perkins University.
Il suo impegno si è svolto sia nel campo della ricerca sia nell’ambito della mediazione e della risoluzione dei conflitti. Sono oltre 150 i conflitti, sia di carattere internazionale, sia di ambito sociale, in cui è stato impegnato. È autore di 96 libri e di oltre 1700 tra articoli e capitoli. Tra i vari riconoscimenti, ha conseguito nel 1987 il «Right Livelihood Award», il Nobel per la Pace alternativo e, tra i più recenti, il titolo di laurea honoris causa in scienze politiche presso la Universidad Complutense di Madrid (2017). Importantissima, d’altro canto, anche la sua frequentazione italiana: indimenticabile la lectio magistralis da lui tenuta al convegno del Centro Studi SOUQ del 13 dicembre 2013, nell’Aula magna dell’Università degli Studi di Milano; non meno indimenticabile la sua lectio magistralis (“Necessità e importanza di un Centro per la prevenzione dei conflitti armati”) in occasione del Convegno nazionale su “La prevenzione dei conflitti armati e la formazione dei corpi civili di pace”, tenuto a Vicenza il 3-5 giugno 2011 e che rappresentò un contributo decisivo per rilanciare il percorso per la costruzione dei corpi civili di pace e per riaffermare l’importanza cruciale della formazione degli operatori e delle operatrici. Fu, al tempo stesso, un vero e proprio incontro di pace e di cittadinanza.
Con lui se ne va la figura, sia consentita una simile digressione, di un vero e proprio “rivoluzionario”: per le sue teorie, profonde e innovative, riguardanti l’analisi “sul” conflitto e l’intervento “nel” conflitto, e in quanto fonte di ispirazione nei vasti campi della costruzione della pace. Il suo contributo sull’importanza determinante, retroagente, degli orientamenti culturali (attitudes) e delle contraddizioni strutturali (contradictions) nella dinamica dei conflitti; la sua interpretazione del conflitto come manifestazione di “incompatibilità” causate dall’azione di «culture profonde» e «strutture profonde»; il suo approccio, olistico e razionale, alla dinamica del conflitto e alla costruzione della pace, restano contributi decisivi sui quali si fonda una moderna ricerca per la pace, e a partire dai quali occorre impostare una coerente iniziativa di trasformazione e di trascendimento.
Tanto è arduo sintetizzare in poche righe il contributo di Galtung alla ricerca e alla prassi della costruzione della pace, quanto è impensabile tacere di altri suoi contributi, per alcuni versi più specifici, per altri più generali, della sua elaborazione intellettuale, della sua ricerca concreta. Nessun operatore o operatrice di pace potrebbe oggi fare a meno degli elementi fondamentali indicati da Galtung per il lavoro di pace: empatia, nonviolenza, creatività. La creatività (innovazione) concepita come «la capacità di andare oltre le cornici mentali delle parti in conflitto, aprendo la strada a nuove modalità di concepire la relazione sociale». L’empatia (sentire insieme) intesa come «la capacità di una comprensione profonda ... dell’Altro». La nonviolenza, in definitiva, come «la duplice capacità di resistere alla tentazione di affidarsi alla violenza e di proporre soluzioni nonviolente concrete». Questa capacità agisce sia ai fini della risoluzione del conflitto, sia nella prevenzione della violenza.
Attraverso questa filigrana, si legge un altro contributo imprescindibile ispirato da Galtung per il lavoro di tutti gli attivisti e le attiviste e di tutti i sinceri amanti della «pace con giustizia», un contributo cui l’intera, vasta e plurale, comunità di Pressenza, mai potrebbe restare indifferente: il “giornalismo di pace”. «Per parlare di giornalismo di pace, bisogna parlare di pace. Per parlare di pace, bisogna parlare di conflitti e della loro risoluzione. Per parlare di risoluzione dei conflitti, bisogna parlare del profondo coinvolgimento degli Stati Uniti in molti conflitti globali. Il ruolo del giornalismo non è solo quello di raccontare il mondo, ma anche di rendere gli attori chiave - Stati, capitali, persone - trasparenti gli uni agli altri. Il ruolo del giornalismo di pace è quello di identificare le forze e le controforze a favore e contro la pace e di renderle visibili con la loro dialettica, creando risultati che potrebbero rappresentare potenziali soluzioni» (Galtung, 2015).
Ci lascia un patrimonio, di ricerche e di pratiche, vastissimo per quantità e inestimabile per qualità. Il suo Metodo Transcend è stato tradotto in italiano grazie al prezioso lavoro degli amici e delle amiche del Centro Studi Sereno Regis (Torino, 2006); il Centro Gandhi ha pubblicato il saggio Alla scoperta di Galtung (Pisa, 2017); l’Università di Pisa il suo Affrontare il conflitto. Trascendere e trasformare (Pisa, 2014). Se ne va un grande costruttore di pace; resta il suo messaggio prospettico, profondo, di nonviolenza, di pace e di giustizia.