mercoledì 22 febbraio 2023

Giustizia sociale fondamento della pace

Foro Juvenil Martiano, La Habana, Cuba, 2023, foto di G. Pisa
 

Forse poco nota, ma di importanza essenziale per il contenuto cui allude, la Giornata Mondiale della Giustizia Sociale è una delle ricorrenze del calendario civile internazionale, indetta dalle Nazioni Unite nel 2007 allo scopo di promuovere i temi dell’inclusione, della eguaglianza e della giustizia sociale quali contenuti essenziali di avanzamento della democrazia e fattori imprescindibili per un quadro di effettiva tutela dei diritti umani, di «tutti i diritti umani per tutti e per tutte», nelle loro diverse generazioni, di forma inscindibile e universale. Nella corrispondente risoluzione, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite «riconosce la necessità di consolidare ulteriormente gli sforzi della comunità internazionale ai fini della eliminazione della povertà e della promozione della piena occupazione e del lavoro dignitoso per tutti, della parità di genere e dell’accesso per tutti al benessere sociale e alla giustizia».

Nel documento, vale a dire la risoluzione dell’Assemblea Generale A/RES/62/10 del 26 novembre 2007, viene riconosciuto, sin nell’art. 1, che «lo sviluppo sociale e la giustizia sociale sono indispensabili per il conseguimento e il mantenimento della pace e della sicurezza all’interno e tra le nazioni e, a loro volta, lo sviluppo sociale e la giustizia sociale non possono essere raggiunti in assenza di pace e sicurezza o in assenza del rispetto di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali» per tutti e per tutte. Pone cioè in evidenza, elemento quest’ultimo di decisiva importanza, almeno tre fattori cruciali.

Il primo: la giustizia sociale costituisce un caposaldo di civiltà, non solo nel senso della protezione sociale delle persone e del contrasto alle sperequazioni e alle diseguaglianze, ma in particolare nel senso del riconoscimento della dignità delle persone e della costruzione di società compiutamente democratiche. Il secondo: il nesso tra sviluppo sociale e giustizia sociale, da un lato, e diritti umani e libertà fondamentali, dall’altro, non può essere scisso o intaccato, attestando, per questa via, l’universalità e l’indivisibilità di tutti i diritti umani per tutti e per tutte e riconoscendo che, come astratti e diseguali sarebbero i diritti di libertà senza la piena affermazione dei diritti materiali (economici, sociali e culturali), così imperfetti e incompiuti sarebbero i diritti sociali senza il pieno riconoscimento dei diritti di libertà (civili e politici).

Il terzo aspetto è non meno importante ed è anzi un vero e proprio fondamento, teorico e pratico, dell’impegno degli operatori e delle operatrici di pace, dei difensori e delle difensore dei diritti umani e della stessa nozione di “pace positiva”: vale a dire che, per quanto necessaria, la pace negativa (pace come assenza, assenza di guerra, di oppressione, di violenza), non è sufficiente, se non integrata e trascesa dal concetto di pace positiva (pace come pienezza, affermazione della pace con democrazia efficace, diritti umani e, per l’appunto, giustizia sociale).

Il tema della giustizia sociale, come istanza e diritto collettivo, diventa quindi un tema cruciale, non solo in senso economico e sociale, ma anche nel senso della lotta contro la guerra e per la pace. Torna qui il riferimento al “padre” della moderna ricerca per la pace, Johan Galtung, che a lungo, e con profondità, si è soffermato sul nesso tra pace e giustizia e sulla costruzione della pace positiva. In una sua importante dissertazione di qualche tempo fa, Galtung ricordava che «la parola “giustizia” ha quattro significati molto diversi: entro la giustizia giudiziaria, c’è la giustizia punitiva ma anche quella restaurativa; ed entro la giustizia sociale, c’è la giustizia distributiva ma anche quella equitativa. Nella seconda, è automatica, incorporata, un’interazione per costi e benefici mutui e uguali».

Si pone così una distinzione tra la giustizia “procedurale”, giudiziaria, e la giustizia “effettiva”, sociale. E, in generale, si riconosce che «le iniquità producono ineguaglianze che danno adito a rivolte – che riescano poi come rivoluzioni, sovvertendo effettivamente gli ordini sociali, è altra faccenda. Le enormi diseguaglianze, come l’1% negli Stati Uniti che controlla il 40% della ricchezza, e la bassa mobilità inter-generazionale, vengono avvertite entro e fra i vari Paesi. Qualche anno fa, la crescita del PIL era attorno al 2.8%, e la crescita della disuguaglianza – il rapporto di potere d’acquisto fra il vertice sociale e la base in fondo – era circa il 3.2%. La crescita non compensava il destino del quintile in basso, e ora il fondo di quel fondo sta morendo al tasso di circa 125.000 al giorno; 25.000 di fame e 100.000 di malattie evitabili-curabili se solo si disponesse del denaro necessario. Un mondo malvagio, per come lo vivono miliardi di persone». La costruzione, impiantata in progetti e politiche e orientata da una visione e da una prospettiva, della giustizia sociale è dunque essenziale per la rigenerazione del tessuto delle relazioni, per il superamento delle sperequazioni e delle ingiustizie, ormai sempre più pronunciate e insopportabili, in definitiva, per la costruzione della pace.

La risoluzione dell’Assemblea Generale individua questo elemento di contraddizione nel successivo art. 3, mettendo in evidenza come i processi di mondializzazione, se da un lato «aprono nuove opportunità attraverso il commercio, gli investimenti e i progressi tecnologici, compresa la tecnologia dell’informazione, per la crescita dell’economia e lo sviluppo e il miglioramento degli standard di vita in tutto il mondo», dall’altro alimentano crescenti sfide e tensioni quali «gravi crisi finanziarie, insicurezza, povertà, esclusione e disuguaglianza all’interno e tra le società e notevoli ostacoli all’ulteriore integrazione e alla piena partecipazione all’economia-mondo per i Paesi in via di sviluppo e alcuni Paesi con economie in transizione».

Si tratta, tra l’altro, di uno degli elementi messi in luce nella recente Conferenza Internazionale “Per l’Equilibrio del Mondo”, promossa dall’Officina del Programma Martiano a Cuba a fine gennaio, dove le questioni dell’equilibrio internazionale, di rapporti di cooperazione e non di competizione per promuovere solidarietà e pace, e relazioni equilibrate e paritarie tra Paesi e popoli del mondo, nella prospettiva, che sempre più si va affermando, di un mondo multipolare sono state al centro dei seminari e delle tavole rotonde. Tre sono le questioni emergenti che si vanno delineando. In primo luogo, lo sviluppo di un pensiero e di un confronto tra punti di vista ed esperienze politiche e intellettuali per la definizione di un rinnovato «equilibrio del mondo», all’insegna della giustizia, della solidarietà e del multipolarismo, contro l’egemonismo, l’imperialismo e il neo-colonialismo che ancora caratterizzano le politiche di dominio delle potenze e mettono a rischio i diritti dei popoli e la sopravvivenza del pianeta.

Quindi, l’approfondimento delle questioni, politiche e culturali, afferenti alle contraddizioni del presente, dalle sfide che si affacciano all’iniziativa dei movimenti politici e sociali alle questioni del dialogo, della cooperazione e della diversità culturale; dalla lotta contro la guerra, per la pace e per il disarmo nucleare alle grandi questioni del multilateralismo «come meccanismo indispensabile per l’equilibrio mondiale» e della integrazione «come necessità per affrontare le sfide del mondo contemporaneo»; dalla difesa dell’ecosistema alle politiche culturali; dalle arti «nella formazione di una spiritualità attiva e di una cultura della resistenza» alle scienze come presupposto di rinnovata inclusione e di benessere «di tutti e per tutti». In terzo luogo, lo sviluppo di un confronto capace di attraversare la politica e di richiamare all’impegno collettivo sulle grandi sfide dell’attualità, «in uno scenario nel contesto del quale contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica per creare consapevolezza contro i mali che affliggono l’umanità e che mettono a rischio l’esistenza stessa della nostra specie».

Come ricordò lo stesso Fidel Castro, nel suo discorso di chiusura della prima conferenza del 2003: «Perché non osiamo affermare che non può esserci democrazia, libera scelta o autentica libertà, tra spaventose disuguaglianze, ignoranza, analfabetismo, mancanza di conoscenza e una stupefacente assenza di cultura politica, economica, scientifica e artistica a cui possono accedere, anche all’interno dei Paesi sviluppati, solo minuscole minoranze, inondando il mondo con milioni di dollari di pubblicità commerciale e di consumo, che avvelena le masse con il desiderio di sogni e desideri inaccessibili, che porta allo spreco, all’alienazione e all’inesorabile distruzione delle condizioni naturali della vita umana?».

In quel momento, a ridosso degli anni Novanta e con la fine della contrapposizione bipolare, cessato l’equilibrio tra le superpotenze, si andava affermando il più grave squilibrio del mondo, con l’affermazione di un’unica superpotenza planetaria. Al pensiero e alla pratica dell’egemonismo e del dominio si contrappongono dunque il pensiero e la pratica democratica e internazionalista, nel senso del dialogo tra le culture e non delle scontro di civiltà, e in questo senso incontrano l’esperienza storica e politica del socialismo cubano, quale prassi reale di socialismo con una profonda base, al tempo stesso, marxiana e martiana, internazionalista e umanista.

L’obiettivo della Giornata Mondiale della Giustizia Sociale resta, dunque, come recita ancora la risoluzione dell’Assemblea Generale, sostenere e alimentare «gli sforzi della comunità internazionale volti alla eliminazione della povertà e alla promozione della piena occupazione e del lavoro dignitoso, della parità di genere e dell’accesso al benessere sociale e alla giustizia sociale per tutti e per tutte». Questa eco torna anche nel tema scelto per la Giornata Mondiale di questo 2023: «Overcoming Barriers and Unleashing Opportunities for Social Justice» (Superare barriere e creare opportunità per la giustizia sociale), con l’obiettivo di rafforzare il dialogo tra attori nazionali e internazionali, gli Stati membri, le parti sociali, la società civile, le organizzazioni delle Nazioni Unite e tutti gli altri soggetti interessati sulle azioni necessarie per rafforzare il contratto sociale distrutto a causa dell’aumento delle diseguaglianze, dei conflitti e della debolezza delle istituzioni che hanno lo scopo di proteggere e tutelare i diritti dei lavoratori.

Come riporta il sito dedicato alla Giornata, «lo sviluppo sociale e la giustizia sociale sono indispensabili per il raggiungimento e il mantenimento della pace e della sicurezza ... e, a loro volta, lo sviluppo sociale e la giustizia sociale non possono essere raggiunti in assenza di pace e sicurezza, o in assenza del rispetto per tutti i diritti umani e le libertà fondamentali».



Riferimenti:

UN World Day of Social Justice: www.un.org/en/observances/social-justice-day

Johan Galtung, Ten Social Justice Trends Changing the World, 41.St Gallen Symposium, 11-13 maggio 2012: www.transcend.org/tms/2012/01/ten-social-justice-trends-changing-the-world

Discorso di Fidel Castro in chiusura della Conferenza “Por el Equilibrio del Mundo”, 29 gennaio 2003: www.fidelcastro.cu/es/discursos/clausura-de-la-conferencia-internacional-por-el-equilibrio-del-mundo-en-homenaje-al-150


giovedì 9 febbraio 2023

A proposito delle grandi violazioni dei diritti umani. Il bloqueo contro Cuba

 
Habana Vieja, L'Avana, Cuba: fotografia di G. Pisa


È nella giornata del 3 febbraio, correva l’anno 1962, che l’allora amministrazione Kennedy emette il Proclama 3447, vale a dire l’atto con il quale si decreta il blocco commerciale, economico e finanziario contro Cuba, un blocco che assume le forme di una vera e propria guerra economica, finanziaria e commerciale contro l’isola, un provvedimento del tutto illegale e illegittimo, che perdura tutt’oggi. È un atto aggressivo e ritorsivo assunto dagli Stati Uniti contro Cuba che fa seguito alla sconfitta politica e alla sconfitta militare subita dagli USA.

Nel 1953, nella data ormai leggendaria del 26 luglio, fallisce il tentativo insurrezionale, con l’assalto alla caserma Moncada di Santiago di Cuba, che segna tuttavia, sotto il profilo storico e politico, l’atto d’inizio del processo rivoluzionario che avrebbe portato alla caduta del regime di Batista e all’instaurazione del governo rivoluzionario a Cuba; dal 1955 si riorganizza il movimento rivoluzionario sotto la guida di Fidel Castro; nel 1956 lo sbarco del Granma porta sull’isola, dal Messico, il gruppo che avrebbe sviluppato la «guerra di guerriglia» e impostata l’avanzata rivoluzionaria negli anni seguenti; nel 1958, alla fine dell’anno, si svolge la decisiva battaglia di Santa Clara, che ospita oggi il monumentale Mausoleo di Che Guevara; con la fuga del dittatore Batista, la notte di capodanno del 1959, Fidel entra a Santiago tra ali di folla e designa la città capitale provvisoria di Cuba; l’8 gennaio del 1959 Fidel e i rivoluzionari entrano nella capitale, L’Avana.

Instaurato il governo rivoluzionario, nel 1960 viene decretata la nazionalizzazione delle proprietà straniere, in particolare statunitensi, sull’isola; nel 1961 l’operazione militare degli Stati Uniti, pianificata dalla CIA, di rovesciamento del governo rivoluzionario con la tentata invasione di Playa Girón (comunemente nota come la Baia dei Porci), viene sconfitta e respinta; quello stesso 1961, con uno storico discorso, viene dichiarato il carattere socialista della rivoluzione cubana. Con le parole di Fidel, «ciò che gli imperialisti non possono perdonarci è che siamo qui, è la dignità, l’integrità, il coraggio, la fermezza ideologica, lo spirito di sacrificio e lo spirito rivoluzionario del popolo di Cuba. Questo è quello che non possono perdonarci… che siamo qui, sotto il loro naso, e che abbiamo fatto una rivoluzione socialista proprio sotto il naso degli Stati Uniti!».

Il bloqueo diventa la ritorsione violenta e criminale a questa nuova, imperdonabile per gli Stati Uniti, situazione. In base alla sezione 620 [a] della legge sull’assistenza all’estero, il governo statunitense stabilisce una sorta di “embargo” totale sul commercio con l’isola, formalizzando una serie di misure economiche e commerciali aggressive e unilaterali che erano state applicate contro Cuba sin dagli anni precedenti. La portata economica e politica del bloqueo è tale, riprendendo ancora le parole di Fidel, che «non è solo la proibizione da parte degli Stati Uniti di qualsiasi tipo di commercio con il nostro Paese, sia che si tratti di macchinari, sia che si tratti di qualcos’altro, di medicinali. Il blocco significa che a Cuba non si può vendere nemmeno un’aspirina per il mal di testa, o un farmaco antitumorale che può salvare una vita o alleviare le sofferenze di chi si trova alla fine della vita; nulla, assolutamente nulla, può essere venduto a Cuba!». Ogni anno, il report informativo del governo cubano aggiorna sul volume e sugli effetti del bloqueo criminale e questi dati sono importanti per avere un’idea dell’impatto che queste misure ritorsive e coercitive, illegittime e illegali, hanno sulla vita di un’isola di poco meno di 110 mila kmq e poco meno di 12 milioni di abitanti.

Il documento, aggiornato al 2022, esordisce ricordando che «il blocco è una massiccia, flagrante e sistematica violazione dei diritti umani di tutti i cubani. In uno spietato atto di crudeltà, gli Stati Uniti hanno applicato, durante questo periodo, con precisione chirurgica, misure volte a colpire tutti i settori più sensibili della società cubana e creare disperazione nella popolazione»; sono ancora in vigore, inoltre, anche le oltre 240 misure coercitive unilaterali applicate contro Cuba da Donald Trump. «A prezzi correnti, i danni accumulati nei sei decenni di applicazione del bloqueo ammontano a oltre 150 miliardi di dollari. Tenendo conto del deprezzamento del dollaro rispetto al valore dell’oro nel mercato internazionale, il blocco ha causato danni quantificabili in oltre 1326 miliardi di dollari»: per intenderci, quanto l’intero PIL (2022) del Messico. Per questo, «non può essere ignorato l’effetto cumulativo del blocco, e le sue conseguenze, che hanno generato una situazione di scarsità nel Paese. Scarsità e difficoltà nell’approvvigionamento di cibo, medicinali e presupposti per sviluppare processi economici e produttivi sono fenomeni che spesso non possono essere immediatamente quantificati, ma che hanno un impatto innegabile sulla vita quotidiana del popolo cubano».

Senza contare gli effetti della legge Helms-Burton (1996), che ha esteso e rafforzato la portata extra-territoriale del blocco, attraverso misure coercitive contro Paesi terzi, al fine di ostacolare e bloccare le loro relazioni commerciali, finanziarie e di investimento con Cuba. In termini di impatto sui singoli settori, continua il documento, nel settore sanitario «solo nei primi sette mesi del 2021, il bloqueo ha causato perdite per un valore di 113.498.300 dollari»; nel settore agro-alimentare «gli effetti del bloqueo sono notevoli, con una stima, tra gennaio e luglio 2021, di 369.589.550 dollari»; nel settore dell’istruzione, della cultura e dello sport, «tra gennaio e luglio 2021, i danni provocati dal blocco ammontano a ca. 30.032.550 dollari»; ancora, «i danni economici e le perdite … al settore delle comunicazioni e delle tecnologie dell’informazione, comprese le telecomunicazioni, nel periodo gennaio-luglio 2021, sono stimati in 37.520.578 dollari». Infine, «gli effetti causati dal blocco al commercio estero cubano nel periodo gennaio-luglio 2021 raggiungono la cifra di 923.829.755 dollari.Il blocco delle transazioni finanziarie cubane, accompagnato da una campagna di intimidazione senza precedenti contro le banche e gli istituti finanziari che operano con Cuba, ha inciso in modo significativo sull’attività economica internazionale del Paese».

La sfera della salute e quella dell’istruzione sono, senza dubbio, due tra gli ambiti più direttamente aggrediti dagli effetti del bloqueo e che più direttamente si traducono in fortissime limitazioni nella completa fruizione di diritti essenziali come quello alla salute e alla scuola. Dopo la fine (1991) dell’esperienza storica dell’URSS, principale partner commerciale di Cuba, l’isola ha subito una riduzione del PIL del 35% in tre anni, blackout e un calo dell’apporto calorico nell’alimentazione. Tuttavia, mentre pressoché tutti i Paesi cosiddetti “a capitalismo avanzato” andavano adottando misure di tagli, dismissioni e privatizzazioni, nel corso di tutti gli anni Novanta, la spesa pubblica cubana per la sanità è aumentata del 13% solo tra il 1990 e il 1994, nella fase più dura e problematica del «período especial», seguito alla fine dell’Unione Sovietica, e si attesta oggi ad una quota pari al 12% del PIL, con un numero di medici pari a 8 ogni mille abitanti (in Italia sono 4 ogni mille abitanti).

Oggi, Cuba non solo mantiene un sistema sanitario interamente pubblico, gratuito e universale, ma continua anche ad essere all’avanguardia nei progressi scientifici su scala internazionale, come hanno dimostrato le missioni mediche di Cuba a sostegno anche dei Paesi più avanzati, tra i quali, com’è noto, l’Italia (due brigate mediche nel 2020, a Crema, in Lombardia, e a Torino, in Piemonte, e una terza missione medica, tra il 2022 e il 2023, in Calabria, e lo sviluppo, con sole risorse interne, di ben cinque vaccini, tra cui Abdala e Soberana, nello specifico, vaccini a subunità proteica e non a m-RNA). In un suo recente report (2021), l’UNESCO ha riconosciuto il primato di Cuba nella regione nella produzione e sviluppo di vaccini contro il coronavirus.

Quanto all’istruzione, gli effetti principali del bloqueo riguardano il pagamento di costi elevati per il noleggio o l’acquisto di tecnologia, da mercati lontani, con intermediazione di Paesi terzi, la mancanza o carenza di determinate risorse, le difficoltà e limitazioni negli approvvigionamenti: non potendo utilizzare il dollaro USA nelle transazioni internazionali, Cuba è costretta a pagare in euro, perdendo somme ingenti solo nella conversione di valuta. L’impossibilità di fornire tutti i moduli multimediali didattici necessari, le limitazioni nell’acquisizione di libri, strumenti e materiali audiovisivi che integrino l’apprendimento, le carenze negli approvvigionamenti di tecnologia avanzata sono solo alcune delle conseguenze dirette del bloqueo.

All’impossibilità di accedere agli strumenti informatici si aggiungono le problematiche causate dalle limitazioni nell’ampiezza della banda di internet, che incide non solo nel processo educativo e nelle funzioni didattiche, ma anche sull’aggiornamento e la manutenzione dei sistemi informatici in generale e del sistema bibliotecario nazionale; perfino l’accesso a diversi siti web è bloccato se il punto di accesso corrisponde a un IP ospitato sull’isola. Ciononostante, Cuba continua a difendere, sviluppare e fare avanzare il proprio sistema di istruzione, interamente pubblico, universale e gratuito, e ad esso destina oltre il 16% della spesa pubblica (in Italia è l’8%), numeri che fanno di Cuba il Paese latino-americano con il più alto indice di sviluppo dell’istruzione secondo i dati UNESCO. Il sistema di istruzione, in vigenza del bloqueo, garantisce il 100% dei bambini e dei ragazzi.

La dimensione della violazione (delle violazioni) dei diritti umani e della giustizia internazionale che il bloqueo configura è abnorme al punto tale che (praticamente) tutto il mondo si è ripetutamente espresso contro il blocco e per la sua cancellazione. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha già condannato per trenta (trenta) volte il blocco statunitense nei confronti di Cuba; nell’ultima sessione (3 novembre 2022), il risultato della votazione è stato di 185 voti a favore della mozione di Cuba che chiedeva l’eliminazione del bloqueo, e solo 2 astensioni (il Brasile di Bolsonaro e l’Ucraina del regime di Kiev) e 2 contrari (Stati Uniti e Israele).

La prima volta che Cuba ha presentato un progetto di risoluzione alle Nazioni Unite per la cessazione del bloqueo è stata subito dopo la fine dell’Unione Sovietica, nel 1991; la prima volta che la risoluzione è stata messa ai voti è stata nel 1992; allora i favorevoli furono 59; 71 gli astenuti, solo 3 i contrari, Stati Uniti, Israele e Romania. USA e Israele si astennero nel 2016; per il resto sono gli unici al mondo a essere sistematicamente contrari alla fine del bloqueo; l’Ucraina, assente nel 2018, astenuta nel 2019 e nel 2021, ha votato contro nel 2022. Alla fine, la posizione nei confronti del bloqueo verso Cuba finisce per essere anche una sorta di «cartina di tornasole» della posizione degli Stati rispetto alle più elementari norme di giustizia e diritto internazionale.