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L’iniziativa internazionalista è, per tutte le soggettività progressiste e democratiche, solidaristiche e nonviolente, un terreno di impegno strategico e necessario. In queste due parole, vi è anche il senso della traiettoria che è necessario imprimere a questa azione, perché possa essere autentica, sincera, credibile, originale, e, possibilmente, innovativa.
Quando parliamo di iniziativa internazionalista e di solidarietà internazionale parliamo, allo stesso tempo, di un impegno strategico: la parola d’ordine della «pace» è una delle tre intorno alle quali si condensò la formula degli impegni programmatici della Rivoluzione d’Ottobre, nel 1917; sul tema della guerra e della pace e sul rifiuto della guerra imperialistica delle borghesie nazionali e dei cosiddetti «crediti di guerra» si determinò la divisione, nell’ambito delle socialdemocrazie europee, che determinò lo stallo, prima, e la fine, poi, della Seconda Internazionale, ponendo le basi della costituzione della Terza Internazionale; la pace è fondamento costituzionale del nostro ordinamento democratico, tanto è vero che, a norma di Costituzione, «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
Ma, come si diceva, il terreno della solidarietà internazionale è anche un terreno necessario. C’è dibattito, nel campo delle forze antimilitariste e pacifiste, sulla corretta declinazione dell’antimilitarismo e su una corretta definizione di «pacifismo»: è qui appena il caso di sottolineare come le categorie storiche, a fronte del necessario aggiornamento e dell’opportuna attualizzazione cui devono essere sottoposte, continuano a rappresentare il lessico comune delle forze progressiste e comuniste a livello mondiale, e della sentita e condivisa esigenza di lottare contro l’imperialismo (categoria economica, prima che politica, com’è noto dalla lezione leniniana), contro il neo-colonialismo (a sostegno delle lotte per l’emancipazione dei popoli, tenendo sempre insieme i principi cardine della fratellanza, dell’auto-determinazione dei popoli, della non-ingerenza nelle questioni interne dei singoli Stati), contro il militarismo (inteso come vero e proprio «dispositivo politico», cioè, al tempo stesso, dispositivo di comando e di gerarchia di potere su scala internazionale, fattore ordinatore della produzione, a partire dal cosiddetto «complesso militare-industriale», strumento di minaccia o di risoluzione delle controversie e dei confitti attraverso l’esercizio della guerra). Parliamo di pacifismo, quindi, nel senso di una azione strategica per la pace, e parliamo della pace nel senso della «pace positiva», vale a dire del nesso unitario e inscindibile tra pace, emancipazione e giustizia sociale.
Dunque, a partire da tali presupposti, come costruire iniziativa nell’ambito delle questioni internazionali? O, in estrema sintesi, come “fare solidarietà” internazionale? «Fare solidarietà» è sempre una pratica: forte di precise e rigorose connotazioni analitiche, la solidarietà è, sempre e comunque, esercizio di partecipazione e di coinvolgimento. L’iniziativa che si intende costruire in tal senso, pertanto, dovrebbe sempre tenere lo sguardo su almeno tre elementi fondamentali: in primo luogo, individuare sempre con precisione l’oggetto, il tema politico e l’area geografica di riferimento, sviluppando, a partire da questa, gli opportuni rimandi e le necessarie estensioni (è il caso tipico di tre contesti a noi molto vicini: Cuba socialista e il Venezuela bolivariano, che consentono di riflettere sul subcontinente latino-americano; la lotta di resistenza e di auto-determinazione del popolo palestinese, che consente di far luce sul complesso della vicenda vicino-orientale; gli esiti delle cosiddette “primavere arabe” che, con le loro innovazioni e le loro contraddizioni, rimandano e alludono alla vicenda complessiva del Mediterraneo). In secondo luogo, l’iniziativa internazionalista, per essere propriamente tale, dovrebbe sempre consentire di stabilire un «dialogo tra i mondi», tra la nostra realtà vicina e la realtà cui si guarda, per consentire una relazione e uno scambio di pratiche e di esperienze (si pensi all’esperienza bolivariana e alla elaborazione del «Socialismo per il XXI secolo»). Infine, consentire l’intreccio di relazioni, coinvolgendo i protagonisti delle lotte e stabilendo legami di solidarietà (come nel caso delle comunità di immigrate e immigrati, nei nostri territori, attivi in esperienze di lotta).
Declinare efficacia e innovazione, una sfida per l’internazionalismo del nostro tempo.
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