giovedì 30 giugno 2016

Vidovdan, incidenti in Kosovo

Gazimestan, Campo dei Merli, Kosovo

Ancora una volta, la celebrazione della ricorrenza di S. Vito (Vidovdan), in Kosovo, è stata attraversata da violenze e polemiche, che hanno fatto salire la tensione nei rapporti inter-comunitari e confermato, ove ve ne fosse bisogno, la perdurante attualità delle conseguenze del conflitto etno-politico degli anni Novanta e la drammatica continuità di un dopoguerra infinito.
 
Presso il Gazimestan, la torre-mausoleo commemorativa, che campeggia nel centro della Piana dei Merli, in Kosovo, poco distante da Prishtina, il capoluogo, circa 1000 persone, tutti serbi del Kosovo, si sono radunate martedì scorso, 28 giugno, nella celebrazione della ricorrenza, per commemorare il giorno di S. Vito e, in particolare, il 627° anniversario della battaglia di Campo dei Merli, anche detta “Battaglia del Kosovo”, uno degli scontri salienti dell'Europa del Medioevo.
 
Per i Serbi del Kosovo, sia in relazione alla propria storia e alle tradizioni culturali, sia in relazione alla storia del luogo e al significato che ad essa viene attribuito, si tratta di una celebrazione particolarmente importante, nella quale si commemora l'eroica sconfitta delle armate serbe e slave, guidate del principe serbo Lazar Hrebeljanović, contro le forze soverchianti dell'Impero Ottomano, guidate sul campo di battaglia dal sultano, Murad, scontratesi proprio il 28 Giugno del 1389.
 
Si tratta di un memoriale importante, come si comprende, ma, di più ancora, di un vero e proprio “luogo della memoria” per i Serbi in particolare, sia in relazione al patrimonio di memoria collettiva e di identità di gruppo che si condensa intorno all'evento, sia in relazione al “luogo” specifico in cui tali eventi hanno avuto posto, un luogo che si è venuto, di conseguenza, caricando di un significato sempre più profondo, talvolta utilizzato dalla propaganda sia per alimentare, con i fasti della celebrazione, la retorica nazionalista, sia per costituire una propria base di legittimazione.
 
Nel corso della celebrazione, Milutin Timotijević, il sacerdote serbo-ortodosso, secondo quanto riportato da fonti di stampa locali, si è rivolto alla folla con le parole: «Gloria e lode al Principe Lazar che è diventato il modello della determinazione del nostro popolo, e il cui esempio ci mostra come vivere! Sarebbe necessario fossimo molti di più, qui, perché se abbandoniamo questa terra, se le madri serbe non avranno più figli - non ci potremo presentare alle porte del Paradiso!».
 
È difficile, per la nostra mentalità, capire queste parole, se non le si contestualizza, detto con semplicità, nella storia e nella geografia. In un senso della storia diffusamente percepito presso i Serbi e, con varianti e differenze, estensivamente, nelle tradizioni cristiano-ortodosse, meno come lineare e razionale che come ciclico ed esemplare, basato cioè sull'importanza esemplare ed il rilievo fondativo associato a determinati eventi e talune figure della storia, tra cui, in misura importante, la battaglia del Kosovo, nei suoi sviluppi, nei suoi presupposti e nelle sue conseguenze.
 
Ma anche nella “geografia dei luoghi”, del Kosovo che, proprio in quanto, per diversi aspetti, culla della cultura e della religiosità serba, tra i nuclei fondativi dell'antico stato serbo medioevale e per l'insistenza di un lungo retaggio religioso e culturale, non solo viene rivendicato come terra natale della nazione serba ma è anche associato ad una idea di resistenza, quella storica, delle armate cristiane contro l'avanzata ottomana, e quella attuale, in cui, dopo la guerra del 1999 e la proclamazione dell'indipendenza del 2008, il governo della regione è nelle mani delle forze politiche albanesi kosovare e i serbi del Kosovo sono ridotti a minoranza, peraltro diffusamente “enclavizzata”.
 
Il portato del conflitto etno-politico e il diffuso sentimento nazionalista, in questa fase, soprattutto da parte albanese kosovara, rendono la coesistenza quanto mai problematica e gli episodi di violenza a sfondo culturale sempre in agguato. Proprio il minibus che conduceva i serbi kosovari a casa, di ritorno dalla commemorazione al Gazimestan, è stato fatto oggetto di lanci di sassi e molotov da parte di estremisti albanesi kosovari e due serbi sono rimasti feriti. Analoghi incidenti presso Mitrovica, dove serbi sono stati fatti oggetto di lanci di pietre e bottiglie.
 
Se impressiona la spirale di violenza, non meno sconcerto desta la reazione politica da parte delle leadership locali, improntata a violenza e contrapposizione. Ramush Haradinaj, leader del partito nazionalista albanese kosovaro AAK (Alleanza per il Futuro del Kosovo), ha lanciato una provocazione nel proporre «di costruire un nuovo monumento, presso il Gazimestan, dedicato alle vittime albanesi della Battaglia del Kosovo». Il ministro del lavoro del governo serbo, Aleksandar Vulin, ha replicato sostenendo che «quelli che non hanno storia cercano di rubare la storia degli altri».
 
Contemporaneamente, a Mitrovica, nel settore serbo della città divisa tra serbi e albanesi, è stato inaugurato un monumento al Principe Lazar, in una cerimonia alla quale hanno presenziato il direttore dell'Ufficio per il Kosovo del Governo Serbo, Marko Djurić, il ministro kosovaro Ljubomir Marić e il vicepremier, Branimir Stojanović, un evento, quest'ultimo, subito condannato dalle autorità albanesi kosovare, che lo hanno bollato come una “provocazione politica”.
 
Separazione delle memorie, incomunicabilità delle culture e strumentalizzazioni della “politica” continuano a dominare la scena, in Kosovo. Occasioni d'incontro, di riduzione della tensione e di facilitazione del confronto sono sempre più necessarie, insieme con nuove leadership, non nazionaliste, e nuove occasioni, di sviluppo e di lavoro, per “umanizzare” le parti e superare la retorica della contrapposizione con le conseguenze dolorose di un conflitto ancora troppo presente.

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