http://parlamentariperlapace.it/news/proposta-legge-i-corpi-civili-pace |
I parlamentari per la pace e la iniziativa della società civile
L'appuntamento,
presso la Camera dei Deputati, dello scorso 22 Gennaio, che organizzazioni e reti impegnate sul tema dei Corpi Civili di Pace
hanno condiviso con alcuni deputati e senatori dell'inter-gruppo dei
“Parlamentari per la Pace”, ha rappresentato un punto di svolta
importante di questo annoso itinerario.
Convocato
all'indomani dell'approvazione dell'ormai noto, forse ancora troppo
solo agli “addetti ai lavori”, “emendamento Marcon”, con cui
è stato inserito nella Legge di Stabilità, approvata lo scorso 27
Dicembre, per il periodo 2014-2016, uno stanziamento triennale per
nove milioni di euro per l'invio di almeno cinque-cento giovani
volontari in servizio civile in azioni non-governative di pace,
segnatamente all'estero, in zone di crisi e di conflitto, l'incontro
istituzionale non è stato un semplice aggiornamento dei “lavori in
corso”, bensì un'occasione utile per “misurare” la posta in
gioco, interrogarsi sullo strumento prezioso dei Corpi Civili di Pace
come dimensione cruciale di una Difesa alternativa, civile e
disarmata, e mettere a punto proposte e riflessioni per giungere ad
un pieno ed effettivo riconoscimento di tali contingenti civili.
Non
intendendo, con questo scritto, fare un resoconto analitico o una
“cronaca dei lavori” della giornata, bensì semplicemente offrire
alcuni spunti di lettura e riflessione intorno alla questione, si
sorvolerà su molte delle ancora più numerose riflessioni offerte al
dibattito negli interventi che si sono succeduti. Nondimeno, questa
lettura e queste riflessioni sono oggi ancora più stringenti ed
esigenti, almeno per tre ordini di ragioni.
La
prima: attivare l'attenzione dell'opinione pubblica e in particolare
delle diverse espressioni del movimento per la pace e contro la
guerra, sui passi avanti compiuti intorno all'elaborazione e alle
sperimentazioni per i Corpi Civili di Pace. Al di là della
connessione tra Corpi Civili di Pace, Servizio Civile e Difesa
Popolare e pur nella variegata articolazione delle implicazioni
strategiche ed operative cui questo strumento rimanda, i Corpi Civili
di Pace assolvono ad una funzione centrale di autentica cittadinanza
democratica, vale a dire mettere a disposizione un impegno costante
contro la guerra e di promozione della pace, contro l'escalazione del
conflitto e per la prevenzione della violenza. Ciò
lo rende strumento di società civile e di chi si batte contro la
guerra e per la pace, in tutte le situazioni di minaccia violenta
alla relazione sociale, in Italia come all'estero.
La
seconda ragione è offerta dalla circostanza dell'approvazione
dell'emendamento Marcon, il quale, pur non rappresentando il
riconoscimento pieno ed effettivo dei Corpi Civili di Pace e pur non
consentendo il dispiegamento di contingenti effettivi di Corpi Civili
di Pace nella loro pienezza e compiutezza, costituisce però un passo
avanti decisivo: perché consente al Servizio Civile, attraverso
queste funzioni, di riappropriarsi della propria missione
costituzionale, di difesa civile alternativa al militare e coerente
con i compiti di tutela della pace e di promozione della solidarietà
sociale, contenuti negli articoli 11 e 2 della nostra Costituzione;
e, allo stesso tempo, permette ad alcune centinaia di giovani di
formarsi, attraverso la formazione generale e la formazione
specifica, messe a disposizione dal servizio civile stesso, ai
principi e ai metodi della gestione costruttiva e della
trasformazione nonviolenta dei conflitti, entrando in contatto con
una esperienza umana e concreta, con un'acquisizione di saperi e
consapevolezze, che non potrà che avere grande valenza formativa.
L’art.
1 c. 162 bis della Legge di Stabilità emendata pone le “premesse
dell’istituzione di un contingente di corpi civili di pace”
mediante la spesa di tre milioni per l’intero triennio 2014-2016
per la formazione di cinque-cento giovani da impiegare “in azioni
di pace non-governative in aree a rischio di conflitto o già in
conflitto, o in caso di emergenze ambientali”, nell’ambito del
servizio civile, per la precisione, “organizzato secondo quanto
previsto dall’art. 12 del D.Lgs. 77/2002, che disciplina lo
svolgimento del servizio civile nazionale all’estero”. Tale
articolo, infatti, ponendo tale misura in continuità con le
sperimentazioni, attive sin dal 2004, di caschi bianchi e per il
servizio civile all’estero in zone di conflitto o post-conflitto,
disciplina lo svolgimento del servizio civile all’estero “anche
per brevi periodi e per le finalità previste dall’art. 1, c. 1,
lettera e), della legge 6 Marzo 2001, n. 64” vale a dire in
particolare: «contribuire alla formazione civica, sociale, culturale
e professionale dei giovani mediante attività svolte anche in enti
operanti all’estero».
Non
sfugge, dunque, l'eminente “impatto politico” di tale
indicazione: soprattutto in questa lunga stagione di crisi economica
e di crisi sociale - si potrebbe aggiungere: crisi civile e crisi di
valori - rimettere in moto occasioni e strumenti, risorse e pratiche,
attorno a cui coinvolgere giovani e volontari, amministrazioni
pubbliche ed organizzazioni sociali, su un'idea “altra” rispetto
a quella corrente di proiezione internazionale e di solidarietà
sociale e una modalità differente di impegno all'estero e di difesa
e sicurezza in contesti critici e conflittuali, è certo circostanza
non da poco, da non disperdere e da mettere a valore. Non meno
significativo il concorso delle circostanze: specie in relazione alla
“riforma dello strumento militare” e più recentemente alla
riflessione sulla “riforma del sistema della cooperazione
internazionale allo sviluppo” del nostro Paese.
Il
Consiglio dei Ministri, infatti, ha appena approvato in via
definitiva i due decreti legislativi attuativi della legge delega per
la revisione dello strumento militare elaborati dall’ufficio
legislativo dopo i pareri espressi dalle Commissioni Difesa. Sono
stati adottati appena lo scorso 10 Gennaio, i due decreti:
rispettivamente sugli assetti ordinamentali e sulla ri-organizzazione
del personale (militare e civile) in attuazione della legge delega
per la “riforma” dello strumento militare (legge delega
244/2012). Non si tratta solo di accorpamenti e cambiamenti di nome
ma di provvedimenti con implicazioni significative, soprattutto in
termini di ri-funzionalizzazione del sistema-difesa, di ridefinizione
dei rapporti di potere all'interno del sistema e di tagli di posti di
lavoro per il personale civile. Il tutto, peraltro, mentre si
incentivano operazioni di marketing del sistema della difesa militare
(come quella denominata "Sistema Paese in Movimento" del
Gruppo Navale Cavour) e si prosegue con il potenziamento dei sistemi
d'arma (come nel caso dell’acquisto dei caccia F35), le missioni
militari all’estero e le operazioni militari variamente mascherate
e profondamente condizionanti.
A
sua volta, la legge delega prevede ca. 10 mila esuberi di
lavoratori civili e ca. 20 mila esuberi di militari, che avranno però
trattamenti diversi: per i primi è previsto un piano di
pensionamenti che, ove insufficienti, vedrà di conseguenza la messa
in mobilità, per i secondi è pronto il transito nei ruoli
civili della Difesa. In altri termini, da una parte si garantisce ai
militari il reimpiego e la salvaguardia del posto di lavoro e del
livello stipendiale, dall’altra non ci si preoccupa del
futuro dei lavoratori civili, senza contare le differenze di
retribuzione che si verranno a determinare tra lavoratori e
lavoratrici che svolgeranno le medesime mansioni.
Non
meno importante l'altra circostanza, quella relativa alla
presentazione in Consiglio dei Ministri, il 24 Gennaio, della
proposta di legge di riforma del sistema della cooperazione, con la
revisione della legge 49/1987. Molte le ombre e le preoccupazioni,
anche in questo scenario. La creazione di un viceministro con delega
ad hoc presente in Consiglio dei Ministri sui temi della cooperazione
internazionale allo sviluppo e la nascita di un’Agenzia centrale,
pubblica e trasparente, per la gestione dei fondi e la valutazione
dei progetti corrispondono a due richieste storiche del mondo della
cooperazione. Ma non bastano a colmare le criticità.
Si
registra ancora la mancanza di un Fondo Unico che unifichi tutte le
risorse della cooperazione e, peggio ancora, l’ingresso
del mondo profit nel
settore-cooperazione, con possibilità per le imprese di accedere a
crediti agevolati per
investimenti a scopo di lucro nei Paesi in via di sviluppo,
determinando una pericolosa commistione tra cooperazione e
internazionalizzazione. Il
rischio, anche in questo caso, di “privatizzazione dello sviluppo”
è più che mai aperto e non può non interrogare anche la sinergia
tra lavoro di “pace” ed azione di “sviluppo”.
Ecco
dunque lo sfondo della terza ragione: dare continuità, non solo
funzionale,
ma anche istituzionale,
alle azioni non-governative di pace realizzate da contingenti di
Corpi Civili di Pace, attraverso una legge istitutiva ad hoc, della
quale è stato dato l'annuncio della presentazione alla Camera il 23
Gennaio, sempre su iniziativa di un novero di esponenti
dell'inter-gruppo dei “Parlamentari per la Pace”. Anche in questo
senso, il dibattito è in corso: si tratta di sviluppare un testo
condiviso e recepire i “luoghi” propri dell'impostazione dei
Corpi Civili di Pace che le reti e le organizzazioni hanno già messo
a fuoco, a partire dal principio per cui tale strumento,
eminentemente di società civile, conservi autonomia dal “vincolo
di mandato” governativo.
Come
ha ricordato, in occasione della rassegna, Francesco Vignarca,
segretario della Rete Italiana Disarmo, l'emendamento sui Corpi
Civili di Pace fa propri gli intendimenti della storica campagna
“Sbilanciamoci” e la stessa iniziativa legislativa si propone di
mettere a sintesi
e a regime
la riflessione e le sperimentazioni delle reti tematiche (in
primis Rete Italiana
Disarmo, Tavolo Interventi Civili di Pace, IPRI - Rete CCP), facendo
tesoro delle elaborazioni più mature, tra
cui si ricordano, almeno, il documento sui “Criteri degli
Interventi Civili di Pace” e lo studio di “Ricognizione sui Corpi Civili di Pace”.
Si
apre così, come ha ricordato lo stesso Giulio Marcon durante
l'incontro tenuto alla Camera, uno scenario inedito ed appassionante.
Se, da un lato, non è la prima volta che lo Stato approva e finanzia
azioni non-governative di pace e il Servizio Civile medesimo si fa
“quadro” di azioni civili di pace (si ricordino almeno i progetti
di Caschi Bianchi e Dialoghi di Pace), è adesso la prima volta che,
in maniera esigente, si pone il tema
di formare ed
impegnare i professionisti esistenti nell'azione civile di pace e il
problema di
misurare e calibrare gli interventi, fuori e contro ogni
spontaneismo, non tanto in termini di “proiezione”, quanto
piuttosto di “impatto”, perché le misure poste in essere (dal
sostegno alle vittime alla ricostruzione del dialogo, dalla tutela
dei diritti umani alla promozione del processo di pace), sappiano
traguardare impatti positivi e duraturi. È una sfida che il
movimento per i Corpi Civili di Pace dovrà intercettare e
raccogliere.